Siria. Putin trionfa e Obama cerca di salvare la faccia. Hollande ne esce umiliato

La «stupefacente e incredibile incompetenza» di Obama e la burocrazia dell’Onu hanno incoronato Putin. Che può garantire una tregua insperata

Chi stia vincendo la guerra civile siriana, se le forze governative oppure i ribelli, non è affatto chiaro. Ma chi stia vincendo il braccio di ferro diplomatico che si sta giocando intorno alla Siria, ci si può sbilanciare ad affermarlo: dopo l’accordo Kerry-Lavrov di Ginevra del 14 settembre, è certamente la Russia. Tornata a ricoprire il ruolo di superpotenza globale fiancheggiatrice degli avversari degli Stati Uniti e allo stesso tempo protagonista ineludibile di trattative, negoziati e accordi di pace nella cornice di un rinnovato bipolarismo in edizione ridotta (gli Stati Uniti non vogliono e non possono più giocare al gendarme globale, e la Russia post-sovietica non ha più la proiezione militare e l’appeal ideologico dei tempi dell’Urss).

Di nuovo, come al tempo della Guerra fredda, gli Stati Uniti hanno molti avversari nel mondo, ma solo uno è decisivo per gli equilibri globali ed è l’interlocutore obbligato quando c’è bisogno di una tregua e della soluzione, temporanea o definitiva, di una crisi regionale: ieri l’Unione Sovietica, oggi la Russia.

A dire la verità, il nuovo protagonismo russo è più demerito degli americani e delle Nazioni Unite che merito del governo di Mosca. È grazie alla «stupefacente e incredibile dimostrazione di incompetenza presidenziale», come ha scritto Joe Klein sul Time a proposito della linea seguita da Obama, e ai bizantinismi delle Nazioni Unite che Putin – l’alleato di ferro di Bashar al Assad, che dal 2011 ha rifornito di armi e appoggiato diplomaticamente bloccando ogni risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu – è diventato un ragionevole statista che dalle colonne del New York Times dà lezioni di buon senso e di moderazione all’amministrazione Usa e che sembra venire in aiuto a un Obama incartato dalle sue stesse prese di posizione: prima con la solenne dichiarazione che l’uso di armi chimiche sarebbe stato la “linea rossa” superata la quale gli Usa avrebbero guidato un intervento militare internazionale contro Assad, e poi con la decisione di delegare al Congresso la responsabilità della decisione.

Oggi Obama e Kerry dicono che gli sviluppi della situazione rappresentano un successo della linea americana: grazie alla minaccia di un intervento militare la Siria è stata costretta ad ammettere il possesso di armi chimiche, a firmare il trattato che le proibisce, a impegnarsi a distruggerle con la collaborazione e supervisione della comunità internazionale; grazie alla risolutezza degli Usa non ci saranno più massacri dovuti all’impiego di armi chimiche, più nessun bambino siriano ucciso dal sarin apparirà in filmati e foto.

La verità, però, è che al momento il regime siriano, come d’altronde i sanguinari jihadisti che lo combattono, non subirà alcuna punizione per i crimini contro l’umanità di cui è verosimilmente responsabile, né verrà denunciato al Tribunale penale internazionale. Al contrario, Assad e il suo governo escono rilegittimati dalla vicenda: le Nazioni Unite hanno accolto la lettera d’impegni con cui il presidente siriano accetta di sottoscrivere il trattato internazionale per la messa al bando della armi chimiche, l’accordo di Ginevra fra Kerry e Lavrov ha delineato il quadro nel quale la consegna e la distruzione delle armi siriane avrà luogo e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che formalizzerà tutta l’operazione non conterrà, verosimilmente, riferimenti al capitolo VII della Carta Onu, cioè la minaccia dell’uso della forza contro Damasco se non terrà fede agli impegni.

Passerà la linea russa secondo cui se Damasco non ottempera agli impegni si tornerà in Consiglio di Sicurezza per una risoluzione che preveda l’uso della forza. Tradotto dal diplomatichese: vi deve bastare l’impegno di noi russi, garantiamo noi che Damasco rispetterà l’accordo.

Il falso successo di Washington
Assad, isolato da due anni all’interno della Lega Araba così come a livello internazionale, torna a essere attore politico legittimo. Ma soprattutto evita un raid missilistico e aereo franco-americano che avrebbe indebolito il suo dispositivo militare e aperto le porte a un’offensiva della guerriglia e guadagna tempo per la sua azione di repressione armata dei ribelli. I quali sono gli unici a rigettare gli accordi di Ginevra.

Come ha spiegato il comandante in capo del Libero esercito siriano Selim Idriss, l’accordo consente di fatto ad Assad di proseguire, al riparo da interventi militari occidentali, la sua guerra senza quartiere contro l’opposizione in armi. Del resto, quasi tutte le vittime che il conflitto siriano ha prodotto sino a oggi hanno perduto la vita a causa delle armi convenzionali.

Ma quel che è più grave (dal punto di vista del prestigio e della credibilità americana), è che l’idea di barattare la minaccia di un intervento internazionale contro Assad con la disponibilità del governo siriano a rinunciare alle armi chimiche era già stata avanzata dalla Russia. Ciò che allora non era stato accettato dagli Usa perché vi vedevano una manovra dilatoria volta a far prendere respiro al regime di Damasco, è stato improvvisamente abbracciato e fatto passare per un successo di Washington nel momento in cui le incognite sulle conseguenze politiche e militari di un intervento franco-americano privo di un largo consenso internazionale sono diventate troppo grandi. Il risultato finale, in termini politici, è che gli Stati Uniti non si sono dimostrati capaci di promuovere gli interessi dei loro alleati in Siria (la Coalizione nazionale siriana) e nella regione (Arabia Saudita e Turchia), mentre la Russia ha dimostrato di potere efficacemente difendere il suo alleato siriano.

Un capitolo a parte merita poi la Francia di Hollande, che si è schierata con gli Stati Uniti in una crisi mediorientale come non accadeva dai tempi della Prima Guerra del Golfo. Il neonato asse franco-americano ha prodotto in poche settimane ben due umiliazioni del presidente socialista: la prima quando Hollande ha annunciato un intervento armato che poi Obama ha stoppato. La seconda quando la Francia ha presentato al Consiglio di Sicurezza un progetto di risoluzione che prevedeva l’uso della forza contro la Siria; gli Usa hanno appoggiato l’iniziativa, salvo poi ritirare il sostegno quando Kerrry e Lavrov hanno concluso il loro accordo.

I successi di Mosca e Damasco sono stati possibili, come sopra si diceva, anche a causa dei bizantinismi onusiani. La tanto attesa relazione degli ispettori dell’Onu ha descritto un teatro della tragedia dove i dettagli relativi al lancio, ai vettori, alla qualità degli agenti chimici alludono a evidenti responsabilità del governo, ma non è arrivato a dichiarare apertamente ciò perché il mandato della missione non prevedeva che dovessero essere individuati e menzionati i responsabili. Solo nei corridoi dell’Onu Ban Ki-moon si è potuto permettere di chiamare in causa Assad.

Prima la pace poi la giustizia
Stessa storia per la Commissione d’inchiesta sulla Siria del Consiglio per i diritti umani: creata due anni fa, è già arrivata al suo sesto rapporto, l’ultimo dei quali presentato pochi giorni fa. In essi si denunciano crimini contro l’umanità e crimini di guerra da parte di tutte le forze in campo. Alla domanda di un giornalista nel corso della conferenza stampa del 16 settembre a Ginevra sulla mancata denuncia dei responsabili dei crimini al Tribunale penale internazionale, un esasperato Paulo Pinheiro, presidente della Commissione, ha risposto: «Non è di nostra competenza! Queste cose si decidono a livello di Consiglio di Sicurezza, e lì non c’è unanimità! Che nessuno sia chiamato a rispondere di questi crimini è uno scandalo, ma non prendetevela con noi».

Però a una successiva domanda Pinheiro ha espresso soddisfazione per l’accordo Kerry-Lavrov, che di fatto rinvia a data da destinarsi le eventuali procedure giudiziarie internazionali contro i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità. In che logica si muova l’Onu l’ha lasciato capire Carla Del Ponte, membro della Commissione, nel corso della stessa conferenza: «Anche in passato i processi di pace hanno avuto la precedenza sulla giustizia internazionale. Con la Siria le cose vanno allo stesso modo: c’è una guerra, si cerca di negoziare una pace, e parallelamente la giustizia internazionale percorre la sua strada».

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