Siria, due anni fa veniva ucciso dai ribelli padre Mourad. Le ultime lettere: «Offro la mia vita con gioia»

Assassinato a Ghassanieh il 23 giugno 2013, scriveva al vescovo: «Cercano di sopprimerci ma non possono nulla, la nostra fede è fondata sulla Roccia di Cristo»

Padre François Mourad ha avuto tante volte la possibilità di andarsene e mettersi al sicuro. Invece è voluto restare nel villaggio di Ghassanieh, nella provincia siriana settentrionale di Idlib, «per servire la sua gente, dando la sua disponibilità ad aiutare il parroco e le suore del convento francescano di Sant’Antonio». Sono passati due anni da quando, il 23 giugno 2013, i ribelli islamisti che hanno conquistato la zona, hanno fatto irruzione nel convento di Sant’Antonio e hanno ucciso padre Mourad con un colpo di pistola.

VITA CONTEMPLATIVA. Originario del nord-ovest della Siria, padre Franҫois Mourad aveva 49 anni e si era formato presso i padri francescani di Terra Santa. Sentendosi chiamato ad una vita più contemplativa, alla fine degli anni Novanta aveva lasciato i francescani e aveva completato i suoi studi presso i monaci trappisti a Latroun, in Palestina. Rientrato in Siria, era stato ordinato sacerdote dal vescovo siro-cattolico di Hassakè. Fondato un piccolo monastero nella provincia di Aleppo, ispirato a San Simeone lo Stilita, era stato cacciato dagli estremisti islamici e si era spostato a Ghassanieh, dove ha proseguito la sua opera prima di essere assassinato.

«SONO PRONTO A MORIRE». Le suore del Rosario, che si trovavano nel convento il giorno dell’uccisione di padre Mourad, hanno dichiarato al suo funerale: «È morto martire, nel pieno senso della parola». Il sacerdote era ben consapevole di questa possibilità, come dimostrano le sue lettere diffuse dall’emittente cattolica libanese Télé Lumière e scritte all’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisib, dal giugno 2012 fino alla sua morte.
Il 18 giugno 2012 scrisse: «Monsignore, siamo in pericolo. Non possiamo né lasciare il villaggio né entrarvi. Hanno attaccato chiese e insegne religiose. Ogni giorno uno di noi scompare. Non so quando verrà il mio momento. Comunque, io sono pronto a morire; e che la mia Chiesa ricordi che ho offerto la mia vita con gioia per ogni cristiano di questo amato paese. Pregate per me».

«HANNO SACCHEGGIATO TUTTO». Dopo il precipitare della situazione, il 20 febbraio 2013, inviò quest’altra lettera all’arcivescovo: «Monsignore, dopo aver bruciato la chiesa greca e distrutto il santuario mariano dei Latini, hanno saccheggiato tutto e distrutto il mio convento e quello dei protestanti. Hanno fracassato e bruciato tutti i simboli religiosi del villaggio e imbrattato con bestemmie contro la nostra religione. Cercano di sopprimerci, ma qualsiasi cosa facciano, non potranno nulla contro la nostra fede fondata sulla Roccia di Cristo. Voglia Dio che Egli ci conceda la grazia di provare l’autenticità del nostro amore per Lui e per gli altri. Siate certi che io offro la mia vita con tutto il cuore per il bene della Chiesa e la pace nel mondo e soprattutto nella nostra amata Siria».

L’ULTIMA LETTERA. Infine, il 17 marzo, tre mesi prima di morire, scrisse: «Monsignore, i giorni passano lentamente e ogni giorno è più buio rispetto al precedente. Si avvicina il tempo in cui dovremo cercare un luogo di rifugio contro i bombardamenti. Di notte, cerchiamo di rimanere svegli per paura di coloro per i quali tutto ciò che porta il nome di Cristiano è un anatema. Eppure, nonostante tutte queste tenebre, io percepisco la presenza misteriosa del sole. Tutto ciò che io spero da Dio è che la Sua Presenza sia vittoriosa sulle tenebre che fan sì che siamo arrivati ​​a questo. Preghi per noi».

@LeoneGrotti

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