Sicilia, proseguono gli sbarchi. Caritas: «Ma non vogliono rimanere in Italia. Scappano in Svizzera e Germania»

Il direttore della Caritas siciliana: «Situazione preoccupante a Porto Empedocle, dove 300 persone sono fuggite prima dell'identificazione»

Con le ultime 700 persone sbarcate nella notte del 21 agosto, si è giunti a quota 1300 immigranti nelle ultime 48 ore approdati in Sicilia. Un flusso costante di sbarchi, che segue rotte diverse dalla consueta Lampedusa. Un gruppo di 110 è arrivato a Siracusa, ben 330 le persone arrivate a Porto Empedocle (Agrigento), più di duecento quelle salvate dalla Guardia costiera al largo di Lampedusa. «Attualmente la situazione più grave è a Porto Empedocle. Da lì proprio ieri mattina si sono allontanate 300 persone arrivate da poco, che si sono disperse nelle campagne prima dell’identificazione» racconta a tempi.it don Vincenzo Cosentino, direttore regionale della Caritas siciliana.

Qual è la situazione in queste ore?
Ci preoccupa Porto Empedocle, dove è presente solo una tensostruttura, e le persone sono costrette a soffrire il caldo e una situazione igienica non semplice, anche per via dei pochi bagni e docce. Proprio in questo paese, però, nelle ultime ore c’è stato il maggior numero di arrivi. Porto Empedocle è nata come una “struttura ponte” che sarebbe servita a “smistare” in tutti i centri italiani le persone che arrivavano da Lampedusa. È diventata invece, per i numeri che fronteggia, una semplice struttura di prima accoglienza. Le persone arrivate in questo centro nelle ultime ore sono etiopi, eritrei e somali: in poche ore si sono raggiunte le 600 persone, e appunto circa la metà sono riuscite ad allontanarsi. Molte di queste persone non vogliono rimanere in Italia, e per questo fanno di tutto per non essere identificati dalle nostre forze dell’ordine. La Caritas locale ha cercato di fare quel che poteva per rifocillarli, oggi so che tutti gli altri che sono rimasti sono stati trasferiti nei vari centri Cara e Cie.

L’altra situazione meritevole di attenzione è quella del siracusano.
Sì, ci sono stati degli sbarchi in questi giorni e per quanto ho saputo sono arrivate persone in fuga dalla Siria. In quella zona c’è il Cie di Pozzallo, e poi le strutture Caritas di Ragusa, Catania, Noto e Siracusa che comunque permetterebbero di fronteggiare la situazione. Anche se per la nostra esperienza vediamo che il vero problema si pone sul lungo periodo: in Sicilia sono rimasti anche centinaia e centinaia di immigrati, ancora clandestini, che gravitano qui dai tempi dei precedenti sbarchi.

Che tipo di aiuto o accompagnamento offre la Caritas?
È difficile, proprio per effetto della crisi. Stiamo offrendo la nostra disponibilità per la prima accoglienza, insieme ai volontari della protezione civile, in attesa che le persone arrivate in queste ore siano identificate. Per coloro che erano arrivati con l’emergenza Nord Africa lo scorso anno abbiamo attivato un progetto di accompagnamento abitativo e di inserimento professionale. All’inizio la Caritas ha offerto, per un periodo variabile da 4 a 6 mesi, un alloggio e l’aiuto nella ricerca di un impiego: in questo modo abbiamo portato sino ad oggi 30 persone ad acquisire completa autonomia. È un numero piccolo, certamente, si è trattato di un progetto pilota a livello europeo. La cosa che mi colpisce è che queste persone non vogliono restare in Italia, le loro mete sono Svizzera, Germania, Inghilterra.

Di recente si è parlato molto di ciò che è avvenuto a Porto Palo (Sr) il giorno di ferragosto, quando i bagnanti hanno salvato 160 persone e offerto i loro pranzi a sacco per rifocillarli. Nel resto della Sicilia vedete atteggiamenti diversi, in queste ore, di insofferenza ad esempio?
Assolutamente no. La Sicilia per natura è accogliente e i siciliani si immedesimano perché anche loro sono stati o sono emigranti. Per questo anche se spesso ci sono persone disoccupate o con problemi economici, noi osserviamo soprattutto episodi di accoglienza. Anche a Lampedusa gli immigrati convivono con gli isolani, come si è visto anche durante la visita di Papa Francesco.

Per quanto riguarda le istituzioni, quali sono le criticità che vede e che andrebbero risolte?
In questo momento osserviamo che i fondi per l’accoglienza sono stati dimezzati. Forse un primo passo da fare, semplice, è quello di costruire una struttura più grande della tensostruttura a Porto Empedocle. Onestamente, nelle passate emergenze, come quella del Nord Africa dell’anno scorso, ho visto che le autorità e il governo sono stati molto presenti, tanto che appunto è decollato anche il primo progetto europeo di inserimento. È vero che si tratta di migliaia di immigrati e molti non hanno le giuste attenzioni, però posso dire che si sta cercando di fare il massimo con le risorse disponibili.

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