Se la legge può rendere l’ingiusto giusto, perché non può fare di ogni male un bene?

«Quodsi populorum iussis, si principum decretis, si sententiis iudicium iura constituerentur, ius esset latrocinari, ius adulterare, ius testamenta falsa supponere, si haec suffragiis aut scitis multitudinis probarentur. Quae si tanta potestas stultorum sententiis atque iussis, ut eorum suffragiis rerum natura vertatur, cur non sanciunt, ut, quae mala perniciosaque sunt, habeantur pro bonis et salutaribus? aut cum ius ex iniuria lex facere possit, bonum eadem facere non possit de malo? atqui nos legem bonam a mala nulla alia nisi naturae norma dividere possumus; nec solum ius et iniuria natura diiudicatur, sed omnino omnia et honesta et turpia […] ea [honesta et turpia] autem in opinione existimare, non in natura posita dementis est».
Cicerone, De legibus, I, XVI, 43-44

Se il diritto si costituisse solo sulle decisioni dei popoli, attraverso i decreti dei principi, per le sentenze dei giudici, allora ci sarebbe il diritto di rubare, di commettere adulterio e di falsificare i testamenti, qualora questo fosse approvato attraverso i decreti o le votazioni delle masse. Ma se le deliberazioni e gli ordini degli stolti potessero avere così tanto potere da essere in grado di stravolgere l’ordine della natura attraverso il loro verdetto, perché allora non decidono anche che ciò che è nocivo e pericoloso deve essere ritenuto buono e salutare? Oppure, se la legge positiva può rendere l’ingiusto giusto, perché non può fare di ogni male un bene? In realtà noi non possiamo distinguere una legge buona da una cattiva in nessun altro modo se non in base ad una norma della natura; non solo il giusto e l’ingiusto vengono distinti per natura, ma anche tutto ciò che è buono e ciò che è turpe […] pensare che queste cose siano frutto dell’opinione e non poste dalla natura, è da pazzi.

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