Se la droga diventa uno «stile di vita»

Bell'editoriale di Polito su un'emergenza sottaciuta e, ormai, accettata. Ma occorre arrivare a parlare delle "droghe leggere"

Un plauso ad Antonio Polito che oggi con un editoriale sul Corriere della Sera (La droga e i silenzi colpevoli) torna su un’emergenza sottaciuta e sottovalutata. Polito centra bene la questione ricordando l’imbarazzato silenzio di tanti intellettuali e della società in genere su un tema su cui ormai pare calato un grande silenzio, sebbene «molti esperti, alle prese con la forte recrudescenza del consumo e delle morti per droga, parlano di un “ritorno agli anni 70″».

Non c’è più un Pasolini

Non c’è più un Pasolini e non c’è più nemmeno la percezione che così si rovinano delle vite:

«La vera grande differenza tra ora e allora è che non c’è più un Pasolini, e per la verità non c’è quasi più nessuno, che si interroghi sul perché: se cioè si tratti solo di una questione privata, di chi si droga e delle loro famiglie; o se esista invece un qualche nesso tra la cultura del Paese e questa rinnovata emergenza, e dunque sia una questione pubblica, culturale e sociale, e perciò in definitiva politica».

Uno stile di vita

L’editorialista del Corriere comprende bene che il punto dolente della discussione è che la droga trova spazio laddove c’è un vuoto, esistenziale ed educativo. Non essendoci una proposta non diremo “forte”, ma almeno convincente, di qualcosa d’altro per cui valga la pena esistere, questo vuoto è colmato col surrogato di sostanze velenose, autodistruttive:

«Il problema è proprio lì: diamo sempre più per scontato che l’istinto di fuga dal male di vivere richieda l’aiuto di una sostanza, il conforto di una dipendenza. Accettiamo che i nostri figli siano così immaturi da non reggere altrimenti il dolore dell’esistenza. Per questo abbiamo smesso di combattere la battaglia contro la droga».

Il tema è, soprattutto, che ormai questa emergenza sia stata accettata, digerita, “normalizzata”: è diventata uno «stile di vita».

Leggera come la peste

C’è solo un appunto da fare al bell’articolo di Polito. Se, come ha detto il capo della Polizia e prefetto Franco Gabrielli a San Patrignano, ci sono stati «ulteriori sdoganamenti culturali» che hanno portato a ritenere alcune «droghe meno pericolose di altre» e che queste sono la porta d’ingresso verso «sostanze letali», non si può, come fa Polito, scrivere che «non ci interessa riaprire il dibattito sulla liberalizzazione delle droghe cosiddette “leggere”».

Il punto, invece, è esattamente questo. Se lasci una “zona franca” sulle cosiddette “droghe leggere”, finisci poi proprio per arrivare a tollerare la diffusione della droga, a ridurla a questione privata, a stile di vita. Occorre avere il coraggio di arrivare fino a lì, cioè fino al punto oggi, socialmente e culturalmente, più divisivo. Dire, cioè, che sono sì leggere, ma “leggere come la peste”.

Foto Ansa

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