Se Dio è amore, non può mancare nei suoi figli il buon umore

Pubblichiamo la rubrica di Pippo Corigliano contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

I cristiani sanno che Dio è amore e sono chiamati a essere dei maestri dell’arte di voler bene. È un’arte non facile, che non si finisce mai d’acquisire. Il buon umore ne è uno degli aspetti principali.

La sua vera radice è l’identificazione con Gesù, che il Signore ci dona se alimentiamo il nostro animo con la lettura continua del Vangelo e di libri spirituali, con la confessione e la comunione, con la recita affettuosa del santo rosario e con la guida di un buon padre spirituale.

Gesù non è solo la via (la guida) e la verità, è anche la vita e i santi ci meravigliano per la loro vitalità malgrado le prove che devono affrontare. L’identificazione con Gesù porta con sé un’allegria inarrestabile che accompagna il dono totale di sé. D’altro canto non possiamo pretendere da noi un’attività inarrestabile. Gesù stesso dice: «Non affannatevi» (Mt 6,25). Quel minimo di riposo e di distensione ci vuole, semmai con attività intelligenti che distraggano e ci rallegrino. «È importante che una mamma canti», disse un pedagogista. Le persone intorno a noi le vorremmo virtuose sì, ma anche allegre.

I bambini amati dai genitori sorridono molto e noi siamo bambini davanti a Dio. Sappiamo di essere amati. Il buon umore è una virtù già di per sé. Se manca, probabilmente c’è una barriera fra Dio e me. Allora conviene mettermi alla presenza di Dio e dirgli: «Signore, perché mi sento triste?». E scopro i lacci dell’amor proprio, prima fonte di ogni tristezza, e imparo a non prendermi troppo sul serio.

Foto bebé da Shutterstock

@PippoCorigliano

Exit mobile version