Scozia, la caduta di una premier sempre più lontana dal suo popolo

Le dimissioni dell'indipendentista Nicola Sturgeon, che a forza di rincorrere le questioni di genere aveva perso il contatto con gli elettori, ben più preoccupati da salari, scuole e sanità

La first minister del governo locale della Scozia e leader indipendentista dell’Snp, Nicola Sturgeon ha formalizzato l’annuncio delle sue dimissioni (foto Ansa)

Nicola Sturgeon doveva dimettersi. Lo voleva il 42 per cento degli scozzesi (sondaggio Panelbase) e per quanto continuasse a scantonare le domande dei giornalisti su Isla Bryson e ripetere che no, l’annuncio delle dimissioni non aveva nulla a che vedere con questioni e pressioni di “short-term” – come lo stop di Westminster al Gender Recognition Reform Bill voluto dal suo governo – i media del Regno Unito non hanno usato i guanti per identificare la “Chernobyl” morale e politica del primo ministro nell’incarcerazione di uno stupratore in un carcere femminile. «Più Sturgeon cerca di negarlo, peggiore è la ricaduta. Ogni conferenza stampa è stata dominata dalla domanda: Bryson è un uomo o una donna?», scrive lo Spectator.

Sturgeon si dimette: «Sono un essere umano»

La first minister del governo locale della Scozia (la più longeva dell’esecutivo del paese) e leader indipendentista dell’Snp, in carica dal 2014 e nel governo dal 2007, ha ufficializzato le sue dimissioni ieri mattina a Bute House, la sua residenza di Edimburgo, con un appassionato discorso sulla mancanza di energie e privacy dopo tre decenni in prima linea. «Sono un essere umano oltre che un politico», è il succo della dichiarazione che a molti ha riecheggiato il «sono umana, sono esausta», di un’altra first lady, la premier neozelandese Jacinda Ardern che ha annunciato le dimissioni prima di convolare a nozze.

Di tutt’altra pasta Sturgeon, che dopo aver militato per tre decenni sottolinea la “brutalità” della politica moderna e l’urgenza per la Scozia di contare su un leader capace di «dare tutto se stesso» all’incarico, nonché consolidare la causa indipendentista dopo il veto della Corte suprema del Regno Unito a un nuovo referendum sull’indipendenza dopo quello fallito del 2014 (in questo senso Sturgeon e l’Snp non hanno nascosto di recente di voler considerare le prossime elezioni politiche quali un “referendum de facto”).

La first premier vuole «depolarizzare» la politica

Soprattutto Sturgeon ha detto che con le sue dimissioni spera di «depolarizzare» il dibattito politico, lasciando l’incarico a una figura meno divisiva: secondo la first minister infatti le opinioni che le persone hanno su di lei («alcune giuste, altre poco più che caricaturali») rappresentano ormai un ostacolo e una barriera a ogni ragionamento, «dichiarazioni e decisioni che non dovrebbero essere affatto controverse lo diventano rapidamente».

Se le divergenze sul referendum bis (secondo i sondaggi, il 67 per cento degli elettori si oppone alla strumentalizzazione delle prossime elezioni), o le recenti indagini sull’uso improprio dei fondi del partito che coinvolge il marito di Sturgeon, o ancora i numerosi scioperi degli insegnanti scozzesi hanno certamente segnato una battuta d’arresto, è però sul feroce dibattito scatenatosi attorno al Gender Recogniction Reform Bill che Sturgeon ha perso larga parte dei consensi.

Una campagna per l’indipendenza buttata via per l’autodichiarazione di genere

Di più, per l’ex premier scozzese Alex Salmond, Sturgeon avrebbe letteralmente “buttato via” anni di campagna per l’indipendenza della Scozia a causa della riforma del riconoscimento di genere approvata a dicembre dal parlamento scozzese ma bloccata da Westminster un mese fa. Tempi ve ne aveva parlato qui: la norma – che avrebbe avuto gravi ripercussioni sulla legislazione britannica in materia di pari opportunità – stabiliva che non era necessaria una diagnosi di disforia di genere per cambiare legalmente sesso, che l’età minima per la decisione poteva essere abbassata da 18 a 16 anni e che il tempo di attesa fra la dichiarazione e la sua accettazione legale era ridotta da due anni a sei mesi.

«Ridicole» per Sturgeon le obiezioni dei deputati del partito conservatore scozzese e di alcuni dissenzienti del Snp secondo cui la legge avrebbe messo in pericolo la sicurezza delle donne biologiche in luoghi come le carceri, le case protette, «profondamente misogini, spesso omofobi e probabilmente alcuni di loro anche razzisti» secondo Strurgeon i sostenitori di questa posizione, «un attacco frontale alla democrazia» il veto del governo britannico.

Il caso dello stupratore Isla Bryson

Pochi giorni dopo Adam Graham era stato giudicato colpevole dello stupro di due donne. Peccato che nel frattempo si facesse chiamare Isla Bryson e fosse stato trasferito in un carcere femminile quando ancora era in corso il processo che l’ha condannato. Uno stupratore tra le detenute: Sturgeon era stata costretta a farlo spostare in un carcere maschile e ammettere che in caso di violentatori i trans donne non potessero essere trattati come donne. Pochi mesi prima David Bell, lo psichiatra che per primo ha denunciato lo scandalo Tavistock, aveva sollecitato la chiusura immediata della clinica Sandyford, a Glasgow: stesso modello affirming della clinica che sfornava bambini transgender a Londra. Difficile che innanzi a un trans stupratore e abusi su minori gli elettori non iniziassero a discutere l’agenda sempre più hollywoodiana del ministro.

Nazionalismo e agenda woke

«Il nazionalismo si basa più di altre tensioni politiche sulla connessione con il pubblico e il suo umore. I nazionalisti si presentano come qualcosa di più dei manager che possono gestire lo Stato meglio di altri», ricorda sempre lo Spectator: non sarà stata la causa scatenante delle dimissioni – ci saranno certamente ragioni personali o di stanchezza dopo 15 anni di governo (sette come vice primo ministro e otto come premier) -, ma un nazionalista che si dimostra così lontano dal pubblico su una questione viscerale – come lo stupro e il trattamento di uno stupratore – non ha vita facile. Soprattutto se sesso-genere non rappresenta una priorità assoluta per la maggior parte degli elettori: gli scozzesi preoccupati per i salari, le scuole in difficoltà e la scarsa assistenza sanitaria si saranno pur chiesti perché il leader del paese «stesse spendendo così tanto tempo a preoccuparsi dei pronomi di uno stupratore».

Nicola Sturgeon si dimetterà da primo ministro della Scozia, ha annunciato ieri di aver incaricato l’Snp di iniziare il processo per elezione di un nuovo leader. Resterà in carica fino alla nomina del successore. Secondo i sondaggi Yougov la buona stella del premier (apprezzata dal 52 per cento degli intervistati durante il suo mandato) ha iniziato a offuscarsi in concomitanza della vicenda di Isla Bryson, quando il sostegno degli elettori è sceso dal 50 al 44 per cento.

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