«Sulla pericolosità della cannabis c’è disinformazione e conformismo. I ragazzi hanno bisogno di adulti che si curino di loro»

Intervista allo psicoterapeuta Claudio Risé: «La stampa e il governo l'hanno trasformata in droga innocua, ma anche i genitori la tollerano mascherando il proprio cinismo»

«Conformismo e indifferenza fanno a pugni con l’evidenza: la cannabis è pericolosissima, forse è la droga più pericolosa perché la più diffusa e tuttora la base di partenza per le altre. Lo confermano tutti gli studi e le ricerche scientifiche e anche l’Onu». Claudio Risé, psicoterapeuta e autore del libro Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita, ha sempre avuto una posizione molto netta a proposito delle cosiddette “droghe leggere”, ancora al centro in Italia di una campagna che ne vuole la completa liberalizzazione e ne magnifica le proprietà terapeutiche.

Il dipartimento antidroga degli Stati Uniti ha accusato il New York Times di condurre una campagna faziosa e superficiale a favore della liberalizzazione della cannabis. Eppure, quando fu legalizzata in Colorado, Obama strizzò l’occhio alla legge. Come mai questa schizofrenia?
Esiste un conflitto. Bisogna ricordare che la decisione fu del Colorado e che gli Stati Uniti sono una confederazione dove i singoli stati legiferano autonomamente entro certi limiti, ma già allora l’Onu dichiarò che la legge violava la Convenzione sugli stupefacenti del 1961 cui gli Stati Uniti avevano aderito. Sul governo americano ha pesato il fatto che il partito democratico di Obama è da sempre a favore della legalizzazione della marijuana. Decisiva è la pressione esercitata sulla questione da multinazionali del tabacco e conglomerate dell’intrattenimento che hanno pronti da tempo progetti per l’inserimento di cannabis nei loro prodotti e circuiti. Queste aziende hanno goduto di vistosi rialzi nelle quotazioni in borsa da quando il Nyt ha cominciato la sua campagna. La cannabis non è un’ideologia ma un’enorme fonte di denaro per chi la produce e partecipa in varie forme ai guadagni della sua vendita.

«Una canna ogni tanto non ha mai fatto male a nessuno». Una ritornello che dopo cinquant’anni continua a ripetersi.
Ho dedicato il libro ad alcuni amici, elencati per nome, che sono morti per colpa di questo ritornello. Comunque, come l’Onu ricorda in ogni occasione sulla base di ricerche e verifiche incontrovertibili, la cannabis non solo induce dipendenza, ma può danneggiare il quoziente intellettivo, le performance scolastiche e lavorative e compromettere l’abilità alla guida. Oggi, come dimostra l’aumento dei ricoveri per l’uso di cannabis, i livelli di Thc (tetraidrocannabinolo) delle canne sono molto aumentati e il principio attivo viene persino mischiato con sostanze che lo rendono ancora più pericoloso. Ma anche lo spinello classico viene assorbito dagli organi, incidendo, ad esempio, sulla sterilità e sugli apparati sessuali. Infine, mi chiedo: «Come mai gli Stati più liberali, come l’Olanda, lasciano libera la vendita ai consumatori stranieri, ma cercano di limitare il più possibile il mercato interno?»

Gli studi scientifici mostrano la pericolosità della cannabis, i dati sugli effetti in Colorado sono allarmanti, la Gran Bretagna ha pubblicato numeri crescenti sulla schizofrenia fra i giovani dipendenti dalla marijuana. Eppure è ancora percepita come una sostanza innocua. Come mai?
Considero la cannabis una droga particolarmente devastante, peggiore delle altre proprio perché appare innocua. La rivista Nature, che pur la considera leggera, la mette tra le più intossicanti. Sono noti e stradocumentati i rischi di successive schizofrenie e depressioni che genera nella psiche, soprattutto nei ragazzini al di sotto dei 15 anni. Tutti gli Stati sanno questo. Ma restano contraddizioni e interessi. Ad esempio, in Italia l’Osservatorio della droga diretto da Giovanni Serpelloni ha fatto un ottimo lavoro, ma dall’altra parte campagne mediatiche e politiche trasversali incuranti delle bibliografie ufficiali sui danni della cannabis spingono verso la liberalizzazione.

Si riferisce alla decisione del governo di far produrre la cannabis dallo Stato per inserirla in alcuni farmaci e alla campagna mediatica che ne parlano come panacea di ogni dolore?
Conosco i danni della cannabis e sono contrario a questa sostanza. Se però, come con ogni veleno, gli Istituti di Sanità nazionali e internazionali riconoscono a preparati medici che lo contengono proprietà terapeutiche, questi farmaci devono venire prescritti con ricetta e venduti in farmacia, come l’Onu chiede. Naturalmente, come ogni farmaco, anche questi avranno effetti collaterali che dovranno essere accertati dalle istituzioni sanitarie e segnalati sui fogli illustrativi di accompagnamento. Presentarli come fossero una panacea è grave perché droga e malattia sono questioni serie, dove in gioco c’è la vita, la sua qualità o disfacimento, e la morte. Banalizzarle alimenta un cinismo intossicante.

La stampa fa la sua parte, ma che ne pensa del decreto del governo Renzi che ha abolito la distinzione tra droga pesante e leggera?
È appunto un atto di cinismo semplificatorio. Ho apprezzato invece Giuseppe Remuzzi che sul Corriere della Sera ha sfatato molti miti, non solo sui danni della cannabis, ma su quelli legati alla riduzione del controllo dello spaccio. Aggiungo che l’Onu stesso nelle sue agenzie di controllo della salute e della criminalità illustra i collegamenti tra criminalità e mafie con le doghe, a cominciare dalla più diffusa, la cannabis.

Oggi la cannabis è sempre più diffusa fra i giovani. Parlare loro dei pericoli può aiutarli davvero?
È indispensabile. I ragazzi non sono stupidi, ma purtroppo certe cose non le sanno nemmeno i loro genitori. Persino certi cattolici chiudono gli occhi. C’è molta ignoranza e conformismo. Eppure la questione è centrale: la droga toglie la libertà e quindi rende impossibile ogni educazione.

Oggi si fa di tutto pur di anestetizzare il dolore o per evadere da una vita che pare non rispondere ai nostri desideri. I ragazzi usano la droga anche per questo. Può bastare l’informazione?
I ragazzi hanno bisogno di adulti che si curino di loro. Che sappiano i danni della droga, che non chiudano gli occhi e intervengano se la usano. Adulti capaci di soffrire con loro, persone che amano la vita così com’è e che desiderino camminare al loro fianco, consapevoli che anche i comportamenti ribelli fanno parte dell’adolescente, come i turbamenti. Dolore, ribellione, incertezze, tutto questo non deve essere eliminato o coperto, come vuole la droga, ma percepito come parte di un cammino per arrivare a una meta, un motore per cercare e trovare se stessi. Ciò chiede che l’adulto ci sia e sia interessato a fare lo stesso cammino con il giovane ricordandogliene sempre lo scopo: la realizzazione di sé e l’incontro con l’altro. Il resto è un permissivismo opaco, che maschera appena il disinteresse e la paura della vita. Innanzitutto nei più grandi.

@frigeriobenedet

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