La resistenza dei filosofi francesi all’emergenza sanitaria infinita

Il problema non sono gli obblighi, ma il fatto che «si vuole salvare la vita privandola nel contempo di ciò che le dà senso». Le riflessioni di Chantal Delsol e Martin Steffens

Un manifesto all’ingresso di un museo di Parigi ricorda l’obbligo di esibire il green pass Covid

In Italia l’opposizione intellettuale al pass vaccinale e/o alla vaccinazione anti-Covid obbligatoria arriva da pensatori laici di sinistra: Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Diego Fusaro. In Francia riguarda soprattutto pensatori cattolici. Per rendersene conto basta prendere in mano Le Figaro o l’edizione francese del periodico online Aleteia. Vi si trovano gli interventi di Chantal Delsol (fondatrice dell’Istituto Hannah Arendt, membro dell’Accademia delle scienze morali e politiche, insignita del Premio Joseph-du-Teil dell’Accademia delle scienze morali e politiche e del Premio Raymond de Boyer de Sainte-Suzanne dell’Accademia francese) e di Martin Steffens, insignito del premio Umanesimo cristiano (2013) e del premio della Letteratura religiosa (2016).

Un conflitto millenario

In un intervento su Le Figaro del 26 luglio la Delsol (considerata una intellettuale liberal-conservatrice) critica l’ideologia igienista che a suo parere starebbe alla radice delle decisioni del presidente Emmanuel Macron e che è funzionale ad allargare il potere dello Stato sulle persone. «La questione del pass sanitario e del vaccino obbligatorio fa parte della questione politica generale dello stato d’eccezione. Sappiamo che le società occidentali, sin dalle loro origini predemocratiche e prerebubblicane, si erano fatte carico della realtà e delle esigenze di una situazione di pericolo, durante la quale le istituzioni libere avevano il dovere di arrogarsi più potere che nel tempo ordinario. Alla fine del VI sec. a.C. la repubblica romana crea la dittatura come magistratura d’eccezione, dotata di poteri speciali in grado di rispondere a crisi gravi, per esempio a una guerra, e allo stesso tempo come magistratura limitata nel tempo. Perché bisognava evitare che il depositario della carica approfittasse dei pieni poteri per diventare un tiranno, rifiutando di rimettere le sue prerogative, una volta stabilizzatasi la situazione. Questo conflitto millenario fra la necessità di obbedire in tempo di crisi e il timore di obbedire troppo o troppo a lungo – conflitto puramente occidentale, poiché altrove il potere era dappertutto e sempre assoluto – ci insegue dal momento della nostra nascita storica».

«Lo stato d’emergenza si può discutere»

Secondo la Delsol la situazione eccezionale che ha comportato misure eccezionali è esaurita. «Oggi siamo arrivati al punto in cui si può mettere in discussione seriamente, e senza volontà di polemica, l’esistenza di una situazione eccezionale, cioè di una crisi pericolosa per l’intera società. Dopo più di 18 mesi di crisi sanitaria, nel momento in cui si applica il pass sanitario, la situazione non ha più nulla a che vedere con quella iniziale. La maggior parte della popolazione a rischio è vaccinata, cosa che rende improbabile il sovraccarico di lavoro per gli ospedali, che rappresentava la principale preoccupazione del governo. La nuova variante si propaga rapidamente, ma a motivo della dinamica vaccinale i suoi effetti sono attenuati». Viene allora da chiedersi «attraverso quale subdolo panico, attraverso quale contagio dello spavento i nostri governanti pretendono di prolungare – e rafforzare – le misure dello stato d’eccezione».

Non c’è solo la “nuda vita”

Qui entrerebbe in gioco la questione dell’egemonia ideologica dell’igienismo e delle sue conseguenze politiche. «Al momento presente, che vede negli Occidentali una sensibilità esacerbata, il rischio di un virus che uccide minimamente e solo i più anziani già malati spaventa tanto quanto la peste del XVI secolo che sterminava un terzo della popolazione. Occorre tenere conto dello spirito del tempo. Le misure drastiche messe in campo per tutelare la salute corrispondono all’ideologia postmoderna, l’igienismo, e raccontano un nuovo capitolo della biopolitica contemporanea. Si giudicava normale decretare la situazione eccezionale in tempo di guerra, oggi si giudica legittimo decretarla in tempo di Covid. È il semplice segno di uno scivolamento dei valori dominanti. Non si concedono i pieni poteri al governo che quando l’essenziale è in pericolo. Oggi l’essenziale è la “nuda vita”. Il governo si giudica dunque autorizzato a discutere dell’epidemia in seno al Consiglio della difesa, e rinnova permanentemente lo stato d’emergenza, cosa che la dice lunga sulla mescolanza dei generi e sulla perversione dei concetti. […] Un governo aspira ad avere sempre più potere, e se può trovare una buona ragione per mettere al passo la società, lo farà molto volentieri. Basta vedere con quale facilità gioiosa i nostri governanti sono pronti, in questa questione dei vaccini, a considerare i refrattari come dei sediziosi incivili, meritevoli dell’infamia. L’essere umano ama esercitare un potere tirannico. Lo fa trionfalmente quando la legalità glielo permette».

«La salute vale la fine della libertà?»

Oggi, prosegue la Delsol, «la questione si pone in questi termini: la salute perfetta vale la fine delle libertà? Sono disposto a rischiare una malattia, anche grave, pur di potere andare a teatro, fare dello sport o vedere i miei figli? Sono disposto a vedere mia nonna perdere un anno della vita che le resta purché non rimanga sola in una stanza per tutto il tempo di vita che ancora le resta? Detto in altre parole, è l’ideologia igienista stessa ad essere messa in discussione dalle correnti perturbatrici, descritte immediatamente come accolite di idioti, mentre i nostri governanti sono ancorati all’igienismo come se si trattasse per loro di una seconda natura. Il conflitto fra i due è violento, perché le correnti anti-igieniste sono prive di élite pensanti, e dunque sono rozze; e perché gli igienisti sono elitari, intolleranti e sprezzanti».

Conclude la filosofa: «Ciò che merita di essere contestato non è la “dittatura sanitaria”, perché è normale che i cittadini sopportino misure draconiane in caso di pericolo per tutti. A essere contestabile è l’ideologia igienista che eleva il sanitario al rango di valore supremo e assoluto».

I criteri della scienza e quelli degli uomini

L’intervento di Steffens, che ha appena scritto insieme a Pierre Dulau un libro sugli aspetti politici e antropologici della pandemia dal titolo Faire face. Le visage et la crise sanitaire, ha uno stile diverso, perché si tratta di un’intervista, pubblicata su fr.aleteia.org il 16 luglio. I passaggi più interessanti sono quelli che riguardano il rapporto scienza-politica e il rapporto morale-politica. Rispondendo a una domanda sulla prima questione Steffens dice: «Macron afferma nella sua allocuzione che bisogna avere fiducia nella scienza e nei suoi progressi. Emmanuel Macron sostiene di leggere un’ora al giorno. Bisognerebbe che rileggesse Husserl, uno dei più grandi filosofi del XX secolo, il quale mostra che la scienza non è in grado di fornire il criterio ultimo per le nostre decisioni, perché una decisione, per essere umana, non deve soltanto pensare in termini di oggetti e di obiettivi, ma in termini di vita e di relazioni umane. Oggi si vuole salvare la vita privandola nel contempo di ciò che le dà senso, della qualità relazionale che le dona il suo sapore».

«Più che sanitaria, è una crisi della morale»

Sulla seconda questione l’intervistatore chiede: «Mentre lo Stato prende disposizioni sanitarie rigorose per incoraggiare il civismo, nel vostro libro sembrate dire che ci troviamo davanti non a una vittoria, ma ad una sconfitta della morale. Perché?». Risposta: «”Incoraggiare il civismo”? Quando si costringe un ragazzino di 12 anni a farsi vaccinare, pena non poter andare più al cinema coi suoi amici, non si incoraggia il civismo, ma il cinismo. Lo abituate a scegliere il divertimento contro la sua propria libertà di circolazione e di pensare. Quel giovane non è più un cittadino, ma il turista vaccinato del nuovo mondo. Gli si sarà mostrato che il ricatto è uno strumento politico efficace e che non c’è nessuna sfera – dell’intimità, fisica o privata – che lo Stato non possa penetrare. Sì, è una sconfitta della morale minacciare dei cittadini responsabili a colpi di ammende insensate e di penosi coprifuoco. O ripeterci che restando chiusi in casa salviamo delle vite – mentre veniamo a sapere che un terzo dei francesi soffre attualmente di solitudine. Come mostriamo in Faire face. Le visage et la crise sanitaire, questa crisi non è soltanto sanitaria e non è soltanto una crisi morale, ma della morale in quanto tale. Perché sin dall’inizio il ricorso al discorso moralizzatore è servito soprattutto a disfare il legame sociale. È in nome della morale, della cura dei più fragili, che il “distanziamento sociale” prende possesso, per distruggerle, delle nostre comunità di vita».

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Exit mobile version