Referendum giustizia. I nostri cinque sì, nonostante tutto

Sebbene le perplessità sui quesiti e lo strumento siano fondate, noi voteremo per testimoniare che di un certo giustizialismo ne abbiamo piene le tasche

L’altro giorno sul Foglio Guido Vitiello l’ha detta giusta: «Il 12 giugno è probabile che andremo di nuovo a incocciare contro l’iceberg di un sistema politico, mediatico e giudiziario che ha ostentato per mesi la più glaciale indifferenza. Ma sapete cosa vi dico? […] Andrò a votare e voterò cinque sì, e dalla mia piccola prora di carta vi incoraggio a fare altrettanto. Perché non sono quesiti da risolvere, sono testimonianze da dare, da fornire, da confermare».

È un po’ anche il nostro sentimento di fronte a un tema (la giustizia) cui teniamo moltissimo e uno strumento (il referendum, in particolare “questo” referendum) che ci fa incazzare moltissimo, soprattutto perché temiamo un esito nefasto e l’affossamento di questioni che non andrebbero affossate.

Finora abbiamo perso

Mani pulite è una storia conclusa ma non risolta, scrivevamo mesi fa su Tempi. La radice della malapianta giustizialista è lì, in una stagione che ha sconvolto e ribaltato ogni più elementare senso del diritto, portato il processo a svolgersi in pubblica piazza anziché in aula, a «io-a-quello-lo-sfascio» come motto rivoluzionario antiberlusconiano, a un uso delle intercettazioni e dell’avviso di garanzia come ghigliottine per decapitare l’avversario, all’idea che gli innocenti siano colpevoli che l’hanno fatta franca, al sospetto dello Stato mafioso e a tante altre cose, che sapete meglio di noi, non stiamo qui a tediarci. È la nostra “guerra dei trent’anni”, per usare il titolo dell’ultimo libro di Filippo Facci. E possiamo tranquillamente dire che finora l’abbiamo persa.

Perché se dopo lo scandalo Palamara e l’avverarsi della profezia craxiana («finiranno con l’arrestarsi fra loro») tutto quel che si riesce a portare a casa è la flebile riforma Cartabia e cinque referendum il cui esito pare segnato, bè, comunque vada domenica, c’è ancora molto da battagliare prima di portare a casa la pelle.

Un voto di testimonianza

Gli amici di Esserci hanno già detto l’essenziale. Noi qui spieghiamo la seconda parte del titolo del nostro articolo. E cioè: “nonostante” il fatto che i testi dei cinque quesiti siano ostici, “nonostante” il fatto che lo strumento referendario sia una tagliola inadeguata a trattare certe questioni che avrebbero bisogno di un intervento più ampio, “nonostante” alcuni quesiti (carcerazione preventiva) potrebbero avere esiti indesiderati, “nonostante” – come già successo per la responsabilità civile dei magistrati nel 1987 – poi un modo di fregare la volontà popolare esista sempre, “nonostante” tutto questo e molto altro, noi voteremo cinque sì.

Perché ne abbiamo piene le tasche di una giustizia ridotta a inquisizione, di giudici che s’atteggiano a sacerdoti della legalità, di magistrati attivisti, di magistrati influencer, di magistrati che fanno le leggi anziché servirle, di oltranzismo manettaro grillino, di giornalisti che fanno i pm e pm che fanno i giornalisti, del moralismo giacobino che divide il mondo in buoni (gli amici) e cattivi (i nemici). Basta. Cinque sì per dire che noi non saremo mai complici di questa roba. Cinque sì di testimonianza e poi vada come vada.

Foto Ansa

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