«Questo è stato Amicone, un uomo preso in un’amicizia»

L'omelia che don Alberto Frigerio ha pronunciato questa mattina nel Duomo di Monza per il funerale

Pubblichiamo l’omelia che don Alberto Frigerio ha pronunciato questa mattina nel Duomo di Monza per il funerale di Luigi Amicone

«Ha sete di te, Signore, l’anima mia» (Salmo 62). Le parole del salmista, che abbiamo ascoltato e ripetuto, esprimono in profondità l’anelito al senso della vita che ha guidato l’intera esistenza del caro Luigi Amicone: dalla giovinezza, quando si avvicinò a Avanguardia Operaria, gruppo extraparlamentare di sinistra, attratto dall’ideale di giustizia, pure connotato ideologicamente, alla vecchiaia incipiente, spesa nell’impegno culturale e politico, a difesa della libertà, contro quella che Pier Paolo Pasolini, autore a lui caro, chiamava «omologazione totalitaria del mondo» (P. P. Pasolini).

I tanti, tantissimi messaggi giunti in occasione della salita al cielo di Gigi – così lo si chiamava fraternamente –, ne parlano come di un uomo inguaribilmente assetato di vita, come di uno spirito libero, irrequieto, appassionato, visionario, audace, sognatore, vitale, solare, creativo, curioso, indomito, audace, ricercatore della verità. In effetti Luigi è stato tutto questo, e bastava accostarlo per accorgersene: impossibile non restare colpiti dalla sua passione e vivacità, che rompeva letteralmente ogni stereotipo e ogni schema?

Quale, dunque, il segreto di una personalità così ricca e travolgente? Certamente la sua figura è debitrice dei tanti talenti instillati direttamente dal cielo, e tuttavia questa sua personalità, così coinvolgente e trainante, è stata forgiata dall’appartenenza a Cristo, che lo aveva conquistato tramite quell’«educatore viscerale, potente e gigantesco» che è stato don Giorgio Pontiggia (così lo descriveva). Anche Luigi, come l’apostolo Paolo sulla via di Damasco, era stato afferrato da Cristo, e trascorse – decise di trascorrere – tutta l’esistenza, fatta di gioie e dolori, certo del legame vitale con Lui, secondo le parole dell’apostolo delle genti: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste così noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 8,35-39).

All’incontro con don Giorgio, che segnò l’inizio di una vita nuova, seguì quello con don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, di cui fu figlio e amico prediletto, che sul finire degli anni ’70 indicò lui e altri amici (Laura, Giancarlo, Giorgio, Antonio, Onorato, Antonio) come il punto di rivitalizzazione del Movimento.

Da Giussani imparò il «mestiere di vivere» (C. Pavese), nell’orizzonte di una fede totalizzante, che si interessava di tutto e illuminava tutto: il rapporto affettivo con la moglie Annalena, con cui visse il per sempre dell’amore, imparando la fedeltà e praticando il perdono, l’educazione dei figli, che guardava crescere con trepidazione, nelle loro scelte di vita, nei loro percorsi accademici, nelle loro gioie e cadute, nella loro malattia, nella costruzione di nuove famiglie, ringraziando dei generi e giocando coi nipoti, abbracciando le loro fatiche e fragilità, proprio come altri avevano fatto con lui.

Per Luigi la fede era un affare serio, che aveva da dire sulle vicende degli uomini e della società: come aveva appreso da Giussani, suo padre e maestro, la fede dice la verità dell’umano, per questo il cristiano è chiamato, non per meriti, ma per grazia, a dirsi ovunque, anche nella controversia culturale e nell’agone politico. Ebbe così inizio Tempi, grande opera culturale e imprenditoriale, certo perfettibile come è di ogni umana avventura, intenta a parlare con spirito critico e libero di educazione, Chiesa, politica, bioetica, nuovi diritti, sessualità, letteratura, arte, nella convinzione che la fede abilita a leggere e abitare con intelligenza la realtà.

Un altro aspetto che colpisce dei messaggi e degli articoli scritti in memoria di Gigi, apparsi su ogni genere di testate, clericali e anticlericali, è la straordinaria capacità di amicizia che ne trapela. Molti, moltissimi hanno scritto, di ogni estrazione culturale e religiosa, di ogni colore e bandiera politica, comunicando stima e affetto: cardinali, vescovi, preti, suore, giornalisti, compagni, lettori, amici e avversari, politici di destra, centro e sinistra, femministe e esponenti delle così dette minoranze sessuali. Luigi parlava con tutti, e raggiungeva tutti, traducendo in vita l’insegnamento assorbito da Giussani, secondo cui il cristiano è chiamato a ricercare e rinvenire riflessi di verità in chiunque, anche nelle persone più improbabili, nella speranza, mai sopita, di poter compiere un tratto di strada con tutti, come accade in maniera emblematica con Giovanni Testori, grande intellettuale e drammaturgo lombardo, che insieme ad alcuni amici incontrò sul finire degli anni ’70, favorendone il ritorno alla fede. Queste le parole di Giussani, così appropriate a Gigi, a un tempo intransigente e accogliente: «Lo sguardo cristiano vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra, in quanto glielo fa riconoscere partecipe di quel disegno la cui attuazione sarà compiuta nell’eternità e che in Cristo ci è stato rivelato […] L’ecumenismo non è allora una tolleranza generica che può lasciare ancora estraneo l’altro, ma è un amore alla verità che è presente, fosse anche per un frammento, in chiunque. Ogni volta che il cristiano incontra una realtà nuova l’abborda positivamente, perché essa ha qualche riverbero di Cristo, qualche riverbero di verità […] L’ecumenicità cattolica è aperta verso tutti e tutto, fino alle sfumature ultime, pronta a esaltare con tutta la generosità possibile ciò che ha anche una lontana affinità col vero. Ma è intransigente sulla equivocità possibile» (L. Giussani, S. Alberto, J. Prades).

Questo è stato Luigi Amicone: un uomo preso in un’amicizia, che ha vissuto di amicizia e ha comunicato amicizia: quella con Cristo nella Chiesa, che per lui si è fatta carne nella realtà del Movimento di Comunione e Liberazione, che ha amato fino alla fine, e che si è tradotta in opera nella vita famigliare e di fraternità, nell’impegno sociale, culturale e politico.

La dipartita di Gigi, che agli occhi umani appare così prematura e precoce, ci lascia sgomenti e attoniti, e ci chiede di riporci in ascolto della promessa di Gesù, Lui che è «via alla verità e alla vita» (Agostino): «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti, io vado a preparavi un posto» (Giovanni, 14,1-2).

Cari Annalena, Francesco, Lucilla, Gloria, Clara, Teresa e Giovanni, quest’oggi Gesù ripete a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e a tutti gli amici qui convenuti: non siate turbati, ma confidate nel Signore della vita! Domandiamo a Luigi, che ora si trova nella comunione dei santi con don Giussani, don Giorgio, don Fabio, Enzo, Emilia e tanti altri amici e amiche che ci hanno preceduto all’altra riva, di sostenerci nel cammino della vita terrena, perché possiamo raccogliere il testimone che quest’oggi ci lascia, vivendo per Cristo, con Cristo e in Cristo, comunicandoLo a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo, nell’attesa di rivederci al cospetto di Dio, secondo le parole di Giobbe, il quale, spoglio di tutto come noi quest’oggi, esclama: «Vedrò Dio» (Giobbe 19,26).

Letture: Gb 19,1.23-27; Sal 62; Rm 8,31-35.37-39; Gv 14,1-6

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