Tutto quello che dovete sapere sulla prescrizione, e non vi dicono

«Far sì che un processo duri all'infinito non è giustizia. Il 70 per cento delle prescrizioni matura in fase di indagine preliminare». Parla Beniamino Migliucci, presidente Camere Penali

Dopo che la Camera ha approvato il disegno di legge che allunga i tempi di prescrizione per i reati di corruzione, e il Senato avvia l’esame del ddl anti-corruzione, i penalisti d’Italia sono sul piede di guerra e convocano una manifestazione per il prossimo 31 marzo, dopo aver proclamato lo stato di agitazione. «Contestiamo due cose: una di metodo e una di merito», dice a tempi.it Beniamino Migliucci, presidente delle Unioni Camere Penali. «Sul metodo anzitutto sottolineiamo che c’è un Governo “smentito” in corso d’opera dalla elaborazione di una proposta del tutto diversa da quella originaria che egli stesso aveva avanzato, il tutto per un cedimento della politica alle richieste della Procura, e non dell’Europa come invece vengono fatte passare. Siamo contrari anche nel merito. Non siamo ancora arrivati all’astensione, cioè allo sciopero, ma il 31 marzo abbiamo pensato di dare un segnale chiaro a tutti e spiegare le nostre ragioni».

Perché nel merito dei ddl anti-corruzione e sulla prescrizione siete contrari?
Siamo contrari anzitutto perché questa riforma ci è stata spacciata come un richiamo dell’Europa. Non è così. E quello che si farebbe se il ddl sulla prescrizione diventasse legge sarebbe solo porsi contro una regola costituzionale contenuta nell’articolo 111, che prevede la ragionevole durata del processo. Anziché far sì che un processo si tenga in tempi ragionevolmente brevi, si interviene allungando la sua durata “sine die”, in eterno. Non è ragionevole che una persona offesa veda riconosciuto un proprio diritto dopo vent’anni. Dire che solo se non ci sono più prescrizioni i corrotti vengono puniti va contro il senso di giustizia: la giustizia, per definirsi tale, deve essere esercitata in tempi brevi. L’Europa non ha mai chiesto di allungare la prescrizione ma, letteralmente, ci ha chiesto che «la pronuncia giudiziale di merito sui reati contro la Pa pervenga in tempi ragionevoli».

La magistratura obietta che la prescrizione va bloccata perché non sempre le prove di una corruzione si trovano immediatamente, e che occorre tempo per fare le indagini.
Guardiamo i numeri. Le prescrizioni per i reati di corruzione contro la Pa sono il 3,5 per cento dei casi. Quindi, nel restante 96 per cento dei casi, con la legge attuale si è arrivati a sentenza. È vero, casomai, che il 70 per cento delle prescrizioni matura nel corso delle indagini. Oggi non abbiamo una norma che sanziona l’iscrizione scorretta nel registro degli indagati né le eccessive proroghe. Se un pm, ad esempio, iscrive una persona e poi si accorge di aver commesso un errore e di dover indagare un’altra persona, non gli accade nulla: semplicemente proroga l’indagine, e cambia soggetto. Ora si prevederebbe, invece, che la prescrizione venga sospesa per due anni dopo la sentenza di primo grado, e per un anno dopo quella di appello. Noi penalisti diciamo che se dopo la condanna di primo grado si sospende la prescrizione, va previsto allora anche un termine perentorio per le indagini, entro cui va celebrato il processo. Oggi non esiste alcuna sanzione per il pubblico ministero nemmeno se un fascicolo rimane nel suo cassetto per mesi o anni. Occorrebbe che la politica intervenisse su questo anziché sulle regole costituzionali, permettendo che un processo duri per l’eternità. La prescrizione, oltretutto, è un istituto che ragionevolmente deve essere previsto in uno Stato perché non si può esercitare la giustizia dopo decenni dai fatti.

Non è invece che, come crede gran parte dell’opinione pubblica, la prescrizione è una panacea per gli avvocati, che cercano mille cavilli pur di far sì che i propri assistiti non vengano condannati? 
Sì, è vero che una buona fetta dell’opinione pubblica pensa questo. Ma è una sciocchezza che sia uno strumento a vantaggio degli avvocati. Se – ripeto – il 70 per cento delle prescrizioni matura in fase di indagini preliminari, in quel frangente gli avvocati non hanno alcun potere per fare allungare i tempi. Tutto è nelle mani dei pubblici ministeri. Se le indagini di proroga in proroga durano almeno due anni, e se poi dalla chiusura delle indagini all’apertura del processo passano in media altri due anni, nemmeno questa è responsabilità degli avvocati. Allora perché questi ritardi li devono pagare i cittadini? Perché forse dimentichiamo che i processi più lenti in Italia sono quelli del civile, dove non è prevista la prescrizione: eliminarla o sospenderla, come vorrebbe fare il ddl, significa solo allungare i tempi dei processi e allontanare la giustizia dal cittadino.

Voi penalisti siete contrari anche alle proposte del ddl anti-corruzione che prevede di aumentare le pene: avete proposto, invece, «una seria riforma delle amministrazioni, delle burocrazie e delle leggi sugli appalti». Cioè?
E oltre a noi, queste cose le sostengono anche il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio e il primo presidente di Cassazione, Giulio Santacroce, che all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha ricordato che l’aumento delle pene non costituisce affatto un deterrente, mai, né per la corruzione né per altri reati. Una dimostrazione solare l’abbiamo già con la legge Severino che ha aumentato la pena per la corruzione a 8 anni: se la corruzione è rimasta quanto meno stabile, evidentemente la legge Severino non è servita al suo scopo, ed è stata solo una risposta emotiva per accontentare l’opinione pubblica nel momento. Ritengo che l’opinione pubblica più avveduta sa bene che così non si risolve il problema. Il meccanismo di prevenzione principale è far ruotare i burocrati, soprattutto quelli che hanno poteri decisionali forti, e prevedere norme per l’assegnazione degli appalti semplici e chiare. Da noi bisogna sempre chiedere un’interpretazione delle norme, e da quello poi è molto facile passare alla richiesta del favore. Più è difficile orientarsi, più c’è spazio per la discrezionalità e di conseguenza per la corruzione. Inoltre chiediamo che più un reato è grave, più i processi siano veloci. Non dimentichiamo che il nostro paese è quello dove il 40 per cento delle sentenze viene riformato in appello e dove ogni anno paghiamo 12 milioni di euro all’anno per riparare le ingiuste detenzioni. È bene arrivare allora a sentenze in tempi brevi per non rovinare la vita a persone innocenti e allo stesso tempo per dare giustizia il prima possibile a chi ne ha diritto.

Foto magistrati da Shutterstock

Exit mobile version