Quei ragazzi in marcia per l’amico Marco Gallo ci ricordano cos’è il cristianesimo

Magari nessuno di loro, crescendo, conserverà quel che ha visto lungo il tratturo verso il santuario di Montallegro. Però la strada è quella lì, una proposta con cui cimentarsi nella vita

Primo maggio 2011. Un ragazzino di Monza prende e va a Roma alla beatificazione di Giovanni Paolo II. E mentre è lì, di tutto quel che passa nel fiume di pellegrini, viene folgorato dalle parole pronunciate da Karol Wojtyla appena eletto papa. Correva l’anno 1978, ma quelle parole incendiano un cuore giovane la mattina di 33 anni dopo. «Vi prego, vi imploro, permettete a Cristo di parlare all’uomo, solo lui ha parole di vita, sì!, di vita eterna». Sei mesi dopo quella mattina, in un’altra mattina, mentre va a scuola in motorino, Marco Gallo muore di schianto. Aveva 17 anni.

Il 5 novembre scorso, nel terzo anniversario dalla sua morte, mamma Paola, papà Antonio e le sorelle Veronica e Francesca ripropongono (come lo scorso anno) un pellegrinaggio al santuario della Madonna di Montallegro, sopra Rapallo. Centinaia di ragazzi si ritrovano di buon mattino ai piedi della funivia. Zainetti in spalla, si mettono in marcia lungo il tratturo, camminando in silenzio tra lecci e ulivi secolari. Intanto alla funivia arriva anche una volante. Qualcuno, alla visione di tanti zainetti, ha avvertito la polizia temendo un rave party o qualche altra diavoleria. «Un pellegrinaggio? Ci avete fatto un regalo».

E così, per una volta, anche per i poliziotti, la giornata non comincia con una brutta notizia. In cima al Monte Allegro, dove il panorama si allarga sul golfo fino a Portofino, prima c’è Messa, poi pranzo al sacco. Infine, canti corali. Dagli spiritual a Giorgio Gaber, dai cori alpini all’“improvviso” di Mina. Musica e canti fino all’imbrunire. Mentre turisti domandano, curiosano, stupiscono. «Ma quanti amici aveva questo ragazzo!».

La sera, dopo il passaggio dal camposanto, la casa della famiglia Gallo è ancora piena di festa, conversazioni a tavola, ragazzi che cantano. Gli occhi si chiudono alla notte portando con sé una giornata di paradiso. A un certo punto del pomeriggio un professore di Marco – liceo scientifico Don Gnocchi di Carate Brianza – si era alzato tra i ragazzi seduti sulla scalinata del santuario e li aveva invitati a preparare con cura, distribuendosi incarichi e responsabilità, il pellegrinaggio del prossimo anno. «Perché sia un gesto ancora più pieno di significato».

Magari nessuno di quei giovani di Monte Allegro, diventando grande, conserverà quel che ha visto. Magari ci sarà chi dirà “no” e chi avrà notti da Innominato. Però la strada, la strada è quella lì, di una proposta con cui cimentarsi e verificare lungo il tratturo della vita. Tutta la vita è fatta della fede che si dà a qualcosa e a qualcuno. Tutto il mondo subisce la fede in qualcosa e in qualcuno – siano la scienza di Darwin o le mutande di Lady Gaga – e subisce la fede in obbedienza impersonale ad autorità impersonali che improntano l’immaginario collettivo. Ma quando la fede ce la si dà tra persone e diventa proposta di cammino, allora la vita diventa vita.

Il cristianesimo è solo questo, così abbiamo pensato, un incendio di rovi e di sterpaglie, dentro le sclerotizzate strutture sociali ed ecclesiali.

@LuigiAmicone

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