Quando Renzi tornerà a fare Renzi

L’unità del partito. Il ritorno dei fuoriusciti. La legge elettorale. Il governo e le tasse. Il destino della Rai. Alla vigilia delle primarie del Pd, il “duro” dello staff dell’ex premier anticipa i suoi piani per il giorno dopo il trionfo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il duro scalda i motori per il rush finale. Mancano pochissimi giorni alle primarie che dovrebbero incoronare per la seconda volta consecutiva Matteo Renzi segretario del Pd. E con un savoir-faire tutto siculo, il duro si aggira nei corridoi del Palazzo: abito grigio di ordinanza, cellulare sempre in mano, occhiale che inforca e toglie a ritmo incessante. È il più gettonato del Transatlantico di Montecitorio, lo stesso che attende imbambolato le primarie del suo partito. Se non si fosse ancora compreso, il duro è Michele Anzaldi, parlamentare Pd e capo comunicazione della mozione Renzi-Martina, fra i pochissimi privilegiati a parlare continuamente con l’ex premier di Rignano sull’Arno. «Ma non sono il suo portavoce», ripete di continuo.

Anzaldi da Palermo conosce ogni mossa del fiorentino, lo ascolta e gli sciorina consigli con il timing e l’autorevolezza dello spin doctor. «Con Matteo ci sentiamo e scriviamo continuamente. Lo sapete, adora utilizzare il cellulare». «Ma non gli chiedo mai dov’è», precisa sorridendo a Tempi. E così mentre inizia la discussione con Anzaldi – che nel suo curriculum di ferro può anche annoverare il ruolo di portavoce di Francesco Rutelli – si consumano scontri fra i membri dell’esecutivo Gentiloni che si occupano dei conti pubblici – su tutti Pier Carlo Padoan – e appunto Renzi. Iva sì, Iva no, aumento delle sigarette sì, aumento delle sigarette no.

Ruota attorno a questi temi l’interventismo renziano. «Il termine scontro mi sembra una parola eccessiva», replica con un garbo tutto siciliano Anzaldi. E allora di cosa si tratta? «È una cosa trasparente, una cosa alla luce del sole. Trattandosi di un governo di coalizione può succedere che si presentino visioni differenti. L’esecutivo deve tenere conto del partito di maggioranza, ovvero del Pd». E si torna al punto iniziale della conversazione. Cosa sarà il nuovo Pd targato Renzi?

Addii e pentimenti
Alla vigilia delle primarie Anzaldi la prende larga prima di argomentare la questione. Perché è cosa certa che ai piani alti del Nazareno si pensa già al prossimo primo maggio, quando Renzi e i suoi torneranno a guidare la compagine. «Questa domanda andrebbe posta ai dirigenti del Pd che avranno nuovi incarichi». Poi, però, pian piano Anzaldi fa uscire il suo animo e rivela la strategia che potrebbe essere in un certo senso quella del futuro segretario: «Sicuramente il Pd dovrà svolgere il ruolo di primo partito della maggioranza e aiutare il governo di coalizione a fare scelte più vicine alla gente e in particolar modo al nostro elettorato».

Con passo felpato il duro Anzaldi da picchiatore si fa colomba e prova a ragionare su cosa succederà: «Auspico in primo luogo l’unità del partito e alcuni ritorni». Di chi? Delle truppe di Pier Luigi Bersani che hanno fondato assieme a Massimo D’Alema il cartello/partito Movimento dei democratici progressisti? Anzaldi non tratteggia il profilo di chi potrebbe avere commesso un errore e potrebbe decidere di tornare alla casa madre. Ma assicura con una certa fermezza che «tanti dei fuoriusciti potrebbero averci ripensato». Nemmeno finisce di pronunciare queste parole che sbotta così: «Senta, parlare di queste cose non ha senso perché non conosciamo la legge elettorale». Con Anzaldi è così, non si fa in tempo ad approfondire una questione che lui subito ne pone un’altra altrettanto importante ai fini del ragionamento politico.

Ma quale voto anticipato
Ecco, la legge elettorale. Il sistema di voto divide il palazzo, il capo dello Stato Sergio Mattarella invita le Camere a porre rimedio. Anche il Pd è diviso sulla formula della riforma. Fra chi appunto, come i cosiddetti renziani, invocano o il Mattarellum o l’Italicum, e chi, come Dario Franceschini, preferisce un sistema proporzionale con un premio di maggioranza alla coalizione. Su questo Anzaldi riprende il bastone e ricomincia a picchiare: «Non sono cose in cui sono competente, ma mi sembra che nell’ultima riunione con i parlamentari si sia dato mandato al partito di puntare sul Mattarellum o su un Italicum modificato».

Raccontano i retroscena che l’ex premier Renzi non intenda perdere tempo. Dopo il bagno di folla delle primarie del 30 aprile desidera tornare al voto. Fine giugno è un miraggio, ma la prima domenica di ottobre potrebbe essere il punto di caduta. «Ma di cosa parliamo?», batte il pugno Anzaldi che sul ritorno al voto si fa colomba e dissente da Renzi. «Non c’è sondaggio che dica: a voi del Pd conviene tornare alle urne perché tanto sarà una passeggiata». Sostiene Anzaldi che sia preferibile aspettare. Il che significa, tradotto dal renzismo-anzaldismo, mantenere la calma e uscire dalla modalità “vi asfalto tutti”. Però «su alcune cose ha ragione Matteo, si fa così e basta. Tasse no. L’Iva non si alza. Avete visto cosa è successo sull’Iva? Mi sembra che il governo abbia fatto un passo indietro».

Il tono della voce cambia quando si vira sulla Rai. Anzaldi è membro della Commissione di vigilanza, e da anni si occupa delle questioni legate a viale Mazzini. Sono ore concitate per l’azienda della radiotelevisione pubblica. Il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto (CDO) è nell’occhio del ciclone. E dopo la contestatissima puntata di Report sui vaccini è fortemente indebolito. Si rincorrono voci di sue prossime dimissioni, ma CDO al momento resiste sulla tolda di comando. Anzaldi invece non aspettava altro.

Il problema Campo Dall’Orto
«Lo denuncio fin dal giorno del suo ingresso a viale Mazzini», dice a Tempi. «Quello che è successo con il piano editoriale ha la prosa di una farsa. Il piano non è stato nemmeno presentato. Carlo Verdelli (ex direttore editoriale per l’offerta informativa Rai, ndr) si è dimesso ed è stato sostituito da chi non è nemmeno giornalista». Appunto, da chi è stato sostituito Verdelli? «Da lui stesso: CDO guida anche la struttura editoriale. Gli italiani gli hanno consegnato i soldi garantiti del canone in bolletta, con evasione zero, ma non è riuscito a portare a casa un solo risultato. Dopo quasi due anni non c’è neanche uno straccio di piano per l’informazione. E non solo. Pensiamo al Giro d’Italia, che lui ha portato da 5 milioni di euro a 12 milioni di euro di costi: più che il doppio. Ma nessuno sa se questo aumento di spesa porterà anche un raddoppio degli introiti e come. O triplicheranno solo gli inviati e gli appalti?».

Ma CDO è stato selezionato dall’ex premier. Una sua uscita non rappresenta una sconfitta renziana? Anzaldi nega e non nega: «No, perché? Campo Dall’Orto aveva il miglior curriculum su piazza. Poi, da premier, Matteo si è giustamente disinteressato della Rai, lo ha lasciato fare con pieni poteri, ma il risultato è che dopo neanche due anni l’intero Consiglio di amministrazione ha firmato una lettera aperta contro l’operato del direttore generale a proposito della vicenda Verdelli e del piano informativo. Una vera e propria sfiducia di fatto, per di più pubblica».

@GiuseppeFalci

Foto Ansa

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