Le scuse di Putin a Israele e il precario equilibrio internazionale

Il premier israeliano Naftali Bennet con il presidente russo Vladimir Putin lo scorso ottobre a Sochi (foto Ansa)

Su Fanpage Dopo le parole del ministro degli Esteri russo sulle “origini ebraiche di Hitler”, arrivano le scuse di Putin a Bennett.

Vladimir Putin ha opportunamente chiesto scusa per le parole di Sergj Lavrov sulle origini ebraiche di Adolf Hitler. Il rispetto del carattere sacro dell’Olocausto ebraico è uno degli elementi fondativi della nostra civiltà dopo la Seconda guerra mondiale e va rispettato con cura. Naftali Bennett aveva in questo senso ripreso anche Volodymyr Zelensky che comparava l’aggressione russa all’Ucraina al genocidio hitleriano. Anche Thomas L. Friedman sul New York Times, giornalista ultra impegnato nella lotta a Putin, ha fatto notare a Joe Biden che mentre apprezza gli atti del presidente americano, non ne condivide in diverse occasioni i toni. Talvolta le guerra delle parole possono fare danni come quelle delle armi.

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Su Huffington Post Italia Angela Mauro scrive: «La discussione tra gli Stati membri dell’Ue su un embargo del petrolio importato dalla Russia era in programma già un mese fa, ma prima delle presidenziali in Francia è stata sospesa. Il timore, allora, era che le nuove sanzioni contro Mosca scatenassero ulteriori aumenti della benzina, proteste in piazza, la sconfitta di Emmanuel Macron alle elezioni. Ora il presidente francese è riconfermato all’Eliseo, la discussione è stata rimessa in agenda ma gli stessi timori che l’hanno bloccata un mese fa contribuiscono a bloccarla oggi».

L’Unione europea ha sempre più bisogno di sapienza politica e sempre meno di scatenata retorica.

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Su Huffington Post Italia si scrive: «”Il 9 maggio può partire la Convenzione per la riforma dei trattati, proprio con l’obiettivo di eliminare il meccanismo dell’unanimità e del diritto di veto su molte materie. Sono molto fiducioso, da qui può nascere la svolta per una vera Europa federale”. Così, in un’intervista a Repubblica, il segretario Pd Enrico Letta».

Sarebbe assai opportuno che le prospettive di una maggiore integrazione europea fossero sostenute con pazienti mosse compiute con senso strategico piuttosto che con dichiarazioni essenzialmente retoriche.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Luca Volontè scrive: «Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in visita in Moldavia, promette aiuti in armi al Paese, una bugia che mostra il desiderio di guerra e che impone alla presidente moldava Maria Sandu di rettificare ufficialmente: gli aiuti europei non saranno militari ma economico-sociali. Noi festeggeremo la Dichiarazione Schuman, ma è un paradosso che coloro che oggi promuovono la guerra e la fame dei nostri popoli celebrino i padri fondatori che costruirono l’Europa perché “mai più ci fosse una guerra”».

Non di rado Michel riesce a essere ancora più pasticcione di Ursula von der Leyen

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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «C’era una volta Visegrád. Dentro il vaso di Pandora scoperchiato dall’aggressione russa all’Ucraina tra i tanti problemi creati dal neo-imperialismo moscovita e da vecchi e nuovi nazionalismi c’è anche questo: il gruppo che deve il suo nome alla cittadina sul Danubio in cui fu fondato nel 1991, sede della Sacra Corona di Santo Stefano sotto la quale nel XV secolo Mattia Corvino unificò i popoli della regione, politicamente non esiste più, pur se sopravvivono, per il momento, le istituzioni collettive che hanno sede a Bratislava e un fondo comune che a dire il vero non è mai stato molto ricco».

Pur con tutte le critiche agli aspetti più controversi della politica ungherese e polacca, pur con le preoccupazioni per i legami tra Budapest e Mosca, Soldini ricorda come il processo d’integrazione europea procederà se pragmaticamente si supereranno i nazionalismi costruendo prima logiche regionali, poi federali o confederali. In questo senso la crisi del gruppo di Visegrád può provocare più guasti che soluzioni

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Su Dagospia si riprende un articolo da Corriere.it nel quale si scrive: «L’ex presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva, ha affermato che il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, “voleva la guerra” con la Russia e ha criticato anche il leader russo, Vladimir Putin, invitandolo a “non usare le armi” e a “dialogare”. Le dichiarazioni, contenute in un’intervista a Time, che gli ha dedicato la copertina, sono state divulgate oggi. Lula ha anche detto di trovare “strano” il comportamento del presidente ucraino».

Per comprendere il nuovo scenario che si determinerà con la guerra ucraina, bisogna valutare con attenzione i movimenti che si stanno determinando su scala internazionale. E’ interessante in questo senso capire come in Brasile non sia solo il populista Jair Bolsonaro a essere critico delle mosse di Washington ma anche un uomo di sinistra come Lula.

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Su Startmag Mario Orioles scrive: «Se osservate con le lenti della storia e dell’attualità, le relazioni tra Cina e Pakistan appaiono più salde che mai, ricorda Goldman. Non c’è solo l’investimento cinese da 62 miliardi di dollari nell’ambito del maxi progetto delle vie della Seta che prevede la realizzazione del Corridoio economico tra i due Paesi. C’è anche la concreta realtà delle forniture militari di Pechino, che consentono all’aviazione di Islamabad di sfoggiare, oltre agli F-16 Usa, il caccia cinese J-10C. Non si può dimenticare, poi, che fu proprio la Repubblica popolare a mettere a disposizione del Pakistan il know how per il suo programma nucleare. Una collaborazione proseguita con il sostegno di entrambi i Paesi ad un altro programma nucleare di estrema pericolosità: quello della dinastia dei Kim della Corea del Nord. E a chi, se non alla Cina, si è rivolto l’ex primo ministro Imran Khan per un bailout da 9 miliardi di dollari che, lo scorso febbraio, ha impedito al Pakistan di fare default su prestiti in scadenza a giugno?».

I movimenti nel centro dell’Asia hanno peso fondamentale per gli assetti globali e potrebbero portare anche a un riavvicinamento tra Nuova Delhi e Pechino

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Su Scenari economici Giuseppina Perlasca scrive: «Il Giappone è scettico sulla propria capacità di seguire le orme dell’Ue e dell’embargo del petrolio e dei prodotti petroliferi russi, ha affermato oggi il ministro dell’economia, del commercio e dell’industria del paese Koichi Haguida, citato da Reuters. Pare che essenzialmente il problema sia collegato al fatto che la strategia non danneggi, anzi avvantaggi, la Russia».

Certe mosse americane di escalation nei confronti di Mosca, mettono in difficoltà anche gli alleati più fedeli.

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Su Startmag Marco Dell’Aguzzo scrive: «Secondo i dati riportati da Bloomberg, ad aprile la Libia ha caricato sulle navi, per l’esportazione, 819 mila barili di greggio al giorno, contro i 979 mila di marzo. Un numero inferiore di carichi si sono pertanto diretti verso i principali acquirenti del paese, ovvero l’Italia, la Spagna e la Cina».

Senza trovare un qualche equilibrio nei rapporti internazionali, si succederanno episodi critici per l’economia mondiale in ogni angolo del pianeta.

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Sul Post si scrive: «Il Partito Democratico ha annunciato di aver depositato una proposta di legge identica al disegno di legge Zan contro l’omotransfobia e altre discriminazioni, approvato alla Camera e poi, dopo mesi di scontri e discussioni, affossato al Senato lo scorso ottobre dai partiti della destra e da un certo numero di “franchi tiratori».

Nella difficile situazione che sta vivendo l’Italia, assieme al resto del mondo, è proprio un’idea brillante riproporre lo scontro sulla legge Zan? In realtà la politica italiana avrebbe bisogno di una nuova legittimazione che può derivare solo dal voto popolare. Definire un orizzonte che consentisse di andare presto alle urne, sarebbe un dovere per tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia italiana.

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