La prevenzione è l’unica via d’uscita contro l’emergenza perpetua

Le soluzioni a problemi come il cambiamento climatico sono solo la conseguenza di interventi agiti per tempo e nel tempo che producono effetti nel medio-lungo periodo. Ma sono proprio questi gli interventi che nessuno vuole fare

Dopo il nubifragio notturno della scorsa settimana, alcune strade di Milano sono rimaste inagibili (foto Ansa)

«Se qualcosa ti tocca nel portafoglio, stai sicuro che te ne accorgerai». Questo vecchio adagio, mi è tornato alla mente vedendo i danni del maltempo che, nelle ultime settimane, si sono ripetuti con abbondante frequenza in Lombardia ed in altre regioni del nord. Sono in particolare rimasto impressionato dai danni nella mia città natale, Saronno, e nel territorio limitrofo, dove oltre il 90 per cento dei tetti sono stati danneggiati e molti completamente distrutti da chicchi di grandine della dimensione di palline da tennis o scoperchiati dal vento.

Pochi giorni fa fa un incontro con i sindaci e un sopralluogo nei comuni più colpiti hanno evidenziato non solo danni per decine di milioni di euro, edifici pubblici e privati inagibili, filari interi di alberi caduti, auto e persino edifici crivellati, ma più in generale uno scenario che sconcerta perché, anche psicologicamente, ricorda quello di un Paese in guerra e di fronte al quale si resta destabilizzati e spesso non si sa come agire.

Chi può trovare, per esempio, gli operai, i teli e le tegole per coprire in poche ore, prima che piova di nuovo, migliaia e migliaia di tetti per evitare danni peggiori? Chi può impedire l’aumento vertiginoso dei prezzi, lo sciacallaggio, le liti per accaparrarsi l’ultima tegola? Certo, è un compito che riguarda le istituzioni e la politica, ma possiamo dire di essere davvero preparati ad affrontare l’emergenza climatica? In passato non avevamo mai assistito a così tanti eventi metereologici acuti, diffusi e violenti in un tempo così breve. Ci sono stati sempre casi singoli, ma in questo periodo ogni giorno siamo alla conta dei danni e persino delle vittime. Pensando solo alla Lombardia, sono migliaia i cittadini che hanno subito sulla loro pelle e nel loro portafoglio, le conseguenze di fenomeni che un tempo si potevano ritenere eccezionali ma che oggi eccezionali non lo sono più.

Cambiamenti climatici, che cosa fa la politica?

Non si tratta più solo di avere i vetri dell’auto frantumati dalla grandine, o danni a qualche tegola del tetto, ormai vediamo le finestre divelte, crepe e buchi nei muri delle abitazioni, tetti interamente distrutti e addirittura frequentemente chi perde la vita sotto un albero caduto o travolto dalla furia degli elementi. Tutto questo rende evidente che il cambiamento climatico è una realtà con cui dobbiamo fare i conti, alla faccia dei tanti negazionisti che ancora imperano. La reazione emotiva, assolutamente comprensibile, che i cittadini stanno avendo, dovrebbe porre l’intero mondo politico in allarme. La domanda che aleggia con insistenza, guarda alle Istituzioni, ed è semplice quanto bisognosa di attenzione: «Cosa avete fatto voi che governate per impedire che tutto questo avvenga?». La risposta non può essere superficiale. Dalla pancia emotiva sento già levarsi il coro del “niente, come al solito!”. In realtà non è così.

In Lombardia, ad esempio, esistono Piani di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici da una decina d’anni, programmi per potenziare le fonti rinnovabili e l’efficientamento energetico, incentivi per passare a veicoli o impianti di riscaldamento con meno emissioni inquinanti e climalteranti, sono state chiuse in anticipo tutte le centrali a carbone, vietati gli oli combustibili, ecc. Benché molte cose siano state fatte da chi ha governato, la verità è che i fenomeni che si stanno ripetendo, sempre con maggior frequenza, non hanno alcuna soluzione immediata nel breve periodo.

Non basta reagire all’emergenza

Le soluzioni a problemi come il cambiamento climatico sono solo la conseguenza di interventi agiti per tempo e nel tempo che producono effetti nel medio-lungo periodo. Ma sono proprio questi gli interventi che nessuno vuole fare, sino a quando non si è costretti dall’emergenza. Pochi sono disposti ad investire risorse per un pericolo che non si vede ancora e che è semplicemente annunciato. Lo abbiamo già sperimentato tante volte in passato con i terremoti o con il dissesto idrogeologico e le frane. Tutti sappiamo che spendere in prevenzione consentirebbe di risparmiare molte risorse a danno avvenuto, ma nessuno è disposto ad accettare che le risorse vadano alla prevenzione anziché verso altri temi, volta per volta, ritenuti più urgenti o comunque più proficui da un punto di vista del ritorno d’immagine.

Anche questo tema porta una riflessione sulla responsabilità della politica, perché quello che sta accadendo oggi ci dice che non possiamo più accontentarci di una politica reattiva che si preoccupa solamente di rispondere all’emergenza. Abbiamo bisogno di una politica lungimirante, che sappia fare scelte anche impopolari o che comunque non producono consenso immediato per mettere le basi che consentano davvero di risolvere le situazioni alla radice.

Quello che sta accadendo sarà un campanello d’allarme per i cittadini elettori affinché riflettano sulle scelte che stanno facendo anche in campo politico, o al contrario sarà l’ennesima occasione per accontentarsi di una reazione emotiva, immediata e magari rabbiosa, che al posto di risolvere i problemi pone le basi per problemi ancora più grandi? Perché alla responsabilità della politica questa volta inesorabilmente si associa quella di ciascuno di noi: siamo davvero disponibili a cambiare i nostri comportamenti e le nostre scelte o ci basterà una volta di più buttare la croce sulle spalle della politica per poi continuare tutto come prima? Il prezzo stavolta però si annuncia particolarmente salato e non solo per il portafoglio.

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