Potremo un giorno essere citati in tribunale da un chihuahua?

La tutela degli animali come esseri senzienti si manifesta nelle decisioni dei tribunali, che sempre più interpretano la legge nella direzione del rispetto delle caratteristiche non solo etologiche della specie, ma addirittura “psicologiche” dell’animale

Tratto da comunitare Potremo un giorno essere citati in tribunale da un soriano o da un chihuahua? Scherzi – non troppo – a parte il tema dei diritti degli animali è sempre più sentito dall’opinione pubblica, come dimostra anche la crescente attenzione mediatica su temi come la sperimentazione animale (come insegnano il caso di Caterina Simonsen o la recente legge sulla SA), o lo sdegno che ha accompagnato vicende come quella della giovane giraffa Marius, recentemente soppresso dallo zoo di Copenaghen per evitare che si accoppiasse con i consanguinei. Se ne è parlato qualche tempo fa al convegno Noi e i diversi: gli animali, tenutosi presso l’Università di Padova.

Nel 1978 fu emanata presso la sede dell’Unesco una Dichiarazione universale dei diritti dell’animale, la quale all’articolo 1 asseriva che “Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza”. Secondo il testo, che non ha valore giuridico vincolate, ogni animale ha diritto al “rispetto, alla considerazione, alle cure e alla protezione dell’uomo”; si parla inoltre di biocidio nel caso di “uccisione di un animale senza necessità”, addirittura di genocidio (‘genocide’) per “ogni atto che comporti l’uccisione di un numero di animali selvaggi”, comprendendo nel concetto anche l’“inquinamento e la distruzione dell’ambiente naturale”.

Una sensibilità per gli altri esseri viventi che negli ultimi tempi si sta diffondendo in tutto il mondo, con diversi livelli di protezione e gradi di penetrazione a livello di normativa locale. Nel 2007 il parlamento regionale delle Isole Baleari (Spagna) ha ad esempio emanato una Dichiarazione dei diritti della grande scimmie antropomorfe, che nelle intenzioni estende a scimpanzé, gorilla e orangutan alcuni diritti fondamentali, con l’obiettivo di includerli assieme agli umani nella “comunità dei pari”. Per limitarsi a situazioni più vicine a noi ricordiamo il Regolamento per la tutela degli animali (emanato il 26 ottobre 2010, n. 84), con il quale il Comune di Padova “riconosce agli individui ed alle specie animali non umane il diritto ad un’esistenza compatibile con le proprie caratteristiche biologiche”.

Le dichiarazioni insomma si moltiplicano: secondo molti un bel passo avanti rispetto a sistemi giuridici che – come quello italiano – continuano sostanzialmente a considerare gli animali come cose: oggetti, piuttosto che soggetti di diritto. Non tutti però sono d’accordo che questa sia soluzione la migliore: “In realtà il dibattito sui diritti degli animali è un po’ superato – spiega Giorgia Zanon, docente di diritto romano presso l’Università di Padova –. La strada verso cui si sta andando è un’altra: quella di imporre all’uomo la tutela degli esseri senzienti, nel rispetto della diversità delle altre specie animali”.

Diritti agli animali vs maggiore responsabilità per gli esseri umani

I problemi comunque non mancano, anche considerando la situazione da un punto strettamente tecnico. Riconoscere una nuova categoria di portatori di diritti non è mai un’opzione neutra, e comporta sempre una riorganizzazione della società. Soprattutto però si pone il problema del contenuto effettivo e della concreta azionabilità di questi nuovi ‘diritti’: chi potrà eventualmente farli valere in tribunale, se non appunto un essere umano? Nel diritto è fondamentale la volontà individuale: come sarebbe possibile decifrare quella di un animale, per quanto intelligente? “Ormai siamo abituati, quando si parla di diritti, alla retorica – continua Zanon – Se invece si vuole una tutela davvero effettiva ci sarebbe piuttosto di puntare sulla responsabilizzazione dell’uomo, come custode degli altri esseri viventi”.

È proprio questo il percorso seguito dal Trattato di Lisbona, il quale nel 2007 ha riconosciuto in sede europea “le esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”, secondo una tradizione di pensiero che risale per lo meno al filosofo inglese Jeremy Bentham, il quale intravvedeva proprio nella capacità di soffrire il trait d’union tra l’uomo e le altre specie. Una strada in cui l’Unione Europea è stata del resto preceduta anche dalla recente riforma della Costituzione tedesca (2002, art. 20a) e dall’ultima Legge federale svizzera sulla protezione degli animali del 2005. Quest’ultima in particolare si applica ai vertebrati, con la possibilità di una futura estensione della tutela sulla base “dei ritrovati scientifici inerenti alla sensorialità degli altri invertebrati” (art. 2).

Anche nel sistema italiano il tema si sta facendo strada, anche se il codice civile è ancora quello del 1942, dove gli animali sono considerate essenzialmente ‘res’: lo dice espressamente l’art. 820, dove i parti vengono qualificati come ‘frutti della cosa’, al pari dei prodotti agricoli. Un’importante inversione di tendenza però c’è stata con la legge 281 del 1991 in tema della tutela degli animali d’affezione e di prevenzione dal randagismo, che tra le altre cose ha abolito la soppressione dei cani randagi e ha stabilito la tutela dei gatti che vivono in libertà. Successivamente la legge 189 del 2004 ha anche rafforzato la tutela penale contro il maltrattamento e l’abuso. Non solo: la tutela degli animali come esseri senzienti si manifesta anche nelle decisioni dei tribunali, che sempre più interpretano la legge nella direzione del rispetto delle caratteristiche non solo etologiche della specie, ma addirittura “psicologiche” dell’animale. È ad esempio il caso della recente decisione del Tribunale di Milano del 13 marzo 2013, il quale, in una causa di separazione tra i coniugi, ha riconosciuto la possibilità di regolare la permanenza di un cane ‘presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento dello stesso’, sulla base dell’assunto che ‘l’animale non può essere più collocato nell’area semantica e concettuale delle cose’.

La questione rimane comunque aperta. Se da una parte i recenti studi sulle piante pongono grossi problemi sul fatto di individuare la sensibilità come parametro per la tutela, dall’altra il pericolo è quello di continuare a sfornare norme-propaganda, senza incidere concretamente sulle condizioni degli altri viventi: “Un passo avanti, ad esempio, è rappresentato dai comitati etici di controllo su attività come l’allevamento e la sperimentazione – continua Zanon – Purché ovviamente questi organismi siano investiti di una responsabilità effettiva, e possano a loro volta essere oggetto di controllo e di sanzioni”. Alla politica dei diritti – più proclamati che reali, si rimprovera da più parti – si contrappone insomma quella dei piccoli passi, incentrati innanzitutto su una progressiva estensione della tutela e un graduale miglioramento delle condizioni di vita dei nostri compagni di strada appartenenti alle altre specie. Vedremo quali delle due vincerà.

@dmdarpizio

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