Poco franchi, molto tedeschi

Non c’è da aspettarsi granché dal nuovo asse Parigi-Berlino che dovrebbe prendere per mano il pianeta dopo la “diserzione” di Trump.

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Donald Trump pone fine alla solidarietà dell’Occidente e Angela Merkel raccoglie la bandiera dei valori del mondo libero? Sboccia per reazione il patriottismo europeo? La Germania si mette alla guida di un’Unione Europea sulla via della piena integrazione? Torna l’asse renano, la diarchia Parigi-Berlino con Emmanuel Macron e Angela Merkel nei panni di François Mitterrand ed Helmut Kohl? Ma non diciamo balle, per favore. La rinuncia degli Stati Uniti alla leadership dell’Occidente, che prenderà corpo e proseguirà anche se Trump dovesse cadere vittima di un impeachment perché è nell’ordine delle cose della storia, dove ogni potere egemonico conosce prima o poi il suo tramonto, in Europa produrrà solo un altro sussulto di egemonia bottegaia tedesca e vani sforzi di restaurazione della grandeur francese ammantati di europeismo.

E l’Italia, anziché essere trascinata nell’empireo di un nuovo Sacro Romano Impero europeo, rischia la frattura geopolitica fra un Nord cooptato nella sfera di influenza e di produzione di valore aggiunto tedesca, e un Sud confinato nel purgatorio dell’Europa a più velocità, detta anche serie B europea. Alla Germania non interessa l’Europa, ma la Kerneuropa, l’Europa-nocciolo teorizzata da Wolfgang Schäuble e Karl Lamers che teoricamente (ideologicamente) dovrebbe funzionare da magnete per il resto dell’Unione, ma in realtà è pensata per tenere fuori dai processi i paesi zavorra che indebolirebbero la Germania e integrare più strettamente i paesi e le aree che fanno comodo a Berlino.

La secessione industriale dell’Italia
Cosa stia facendo la Germania e perché, lo ha spiegato bene Dario Fabbri sul numero 4 di Limes: «Le élite tedesche non dispongono di mentalità imperiale. Per la Bundesrepublik l’euro è (stato) soltanto lo strumento necessario a rendere maggiormente competitivo l’export nazionale, imponendolo alla periferia del continente. Situata al centro del sistema europeo per demografia, disciplina sociale e capacità industriale, la Germania persegue una politica estera di ispirazione puramente mercantilistica. L’equazione costi-benefici quale stella polare della propria azione. Nessuna volontà di trasferire parte del surplus commerciale verso altri Stati membri, così da ridurre il differenziale di ricchezza tra soggetti dello spazio comunitario e rendersi indispensabile agli altri. Al contrario, le richieste di adempimento di tale impegno, intrinsecamente imperiale, stanno causando il definitivo allontanamento di Berlino dall’Unione Europea. Combattuto tra il suggerito ruolo di perno continentale e il ritorno alla nazione convenzionale, in questa fase il governo tedesco pensa concretamente di sciogliere il dilemma attraverso il puntellamento della propria sfera di influenza. In apparenza: la realizzazione della cosiddetta Europa a due velocità, ecumenicamente illustrata da Angela Merkel come male minore in vista di tempi migliori. In concreto: la fusione in entità geopolitica dei paesi che compongono il sistema produttivo teutonico e l’area culturale della Mitteleuropa. (…) La svolta investirebbe l’Italia. Industrialmente inserito nella catena del valore teutonica e caratterizzato da un alto livello di sviluppo manifatturiero, il Nord del nostro paese è fisiologicamente attratto nell’Europa centrale. Fino a voler accedere alla massima velocità dell’integrazione continentale e mantenere la stessa moneta dell’avanguardia comunitaria (tedesca). Mentre Berlino accoglierebbe i territori transalpini per ridurre il potenziale ricattatorio della penisola, di fatto neutralizzando la possibilità che l’economia italiana provochi l’implosione del sistema perché troppo grande da salvare. Oltre che per assorbire parte della locale produzione industriale, senza acquistarla direttamente».

Se pensate che siano giudizi viziati dalla condizione subalterna dell’Italia, prendete in mano il Financial Times, giornale della City che ha fatto campagna contro la Brexit, e leggete cosa scrive l’editorialista Gideon Rachman di Angela Merkel all’indomani del discorso nel quale ha detto: «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono finiti. Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani. Naturalmente dobbiamo avere rapporti amichevoli con gli Stati Uniti e col Regno Unito e con gli altri vicini, inclusa la Russia. Ma dobbiamo lottare da soli per il nostro futuro». Commenta Rachman: «Una delle cose più impressionanti della Germania moderna è che, più di qualunque altro paese, ha meditato le lezioni della storia e le ha imparate con scrupolo e umiltà. Per questa ragione è sconfortante che una leader tedesca possa sostare sotto una tenda birreria in Baviera e annunciare una separazione dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti mettendo i due nello stesso mazzo con la Russia. Gli echi storici di questo dovrebbero essere raggelanti. La triste realtà è che la signora Merkel sembra non avere interesse a lottare per salvare l’alleanza occidentale».

Con queste premesse, è ovvio che il ritorno dell’asse renano è solo un miraggio. La Germania e i suoi alleati nell’Unione Europea stanno bocciando tutte le iniziative di Macron presidente così come avevano bocciato quelle di Macron ministro del presidente Hollande. È stata respinta dal vicepresidente della Commissione europea Jyrcki Katainen la proposta di Macron di un Buy European Act che riservasse alle imprese che abbiano almeno la metà della propria produzione all’interno dell’Unione la partecipazione agli appalti per opere infrastrutturali: tedeschi e alleati preferiscono che li vincano piuttosto ditte di paesi asiatici coi quali la Germania ha un alto interscambio. Al richiamo di Macron durante la campagna presidenziale che il surplus commerciale tedesco che da nove anni supera i limiti fissati dai trattati europei rappresenta «un rischio per l’eurozona», il candidato cancelliere della Spd Martin Schultz ha risposto: «Considero sbagliate le critiche al nostro surplus commerciale. Non dobbiamo vergognarci di avere successo». Mentre il cancelliere Cdu uscente Angela Merkel ha commentato beffardamente: «Un grande surplus è frutto della qualità dei nostri prodotti. Ed è frutto anche delle politiche della Banca centrale europea, che noi non possiamo influenzare».

La rivelazione di Varoufakis
Il giorno dopo la vittoria di Macron nelle urne Berlino si è complimentata con lui per l’elezione, ma subito ha ribadito la bocciatura di tutti i punti del suo programma europeista, e cioè la creazione di un’unione fiscale che implicherebbe l’emissione di eurobond (che rappresenterebbero una parziale mutualizzazione del debito dei paesi dell’eurozona), la costituzione di un fondo franco-tedesco per gli investimenti, la creazione di un budget dell’eurozona con un suo ministro delle finanze europeo, il completamento dell’unione bancaria.
Non c’è da meravigliarsi. Il libro di memorie scritto dall’ex ministro greco delle Finanze Yanis Varoufakis rivela che durante i negoziati del 2015 per il salvataggio della Grecia Macron, allora ministro dell’Economia francese, cercò di opporsi alle misure di austerità volute dai tedeschi in cambio della concessione di nuovi prestiti ad Atene, affermando che avrebbero portato al collasso dell’eurozona. Dopo che ebbe dichiarato che l’accordo sul debito greco che Berlino stava imponendo era «l’equivalente moderno del Trattato di Versailles», la Merkel chiese e ottenne da Hollande che Macron fosse escluso dai negoziati. E adesso i due rinnoveranno l’asse franco-tedesco?

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Exit mobile version