Per il Sinodo tante strategie, ma l’essenziale?

Non posso neppure esimermi dall’esprimere qualche preoccupazione circa i primi passi che si stanno muovendo in questa stagione sinodale

This handout photo provided by the Vatican Media shows Pope Francis delivering an extraordinary “Urbi et Orbi” blessing, normally given only at Christmas and Easter, from an empty St. Peter’s Square, as a response to the global coronavirus disease (COVID-19) pandemic, Vatican City, 27 March 2020.
ANSA/ VATICAN MEDIA
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Caro direttore, in questo periodo sono amorevolmente perseguitato (anzi, riperseguitato, come all’inizio della mia avventura cristiana) da una serie di segni e segnali che, come una sorta di filo rosso, mi conducono tutti a riprendere coscienza di quanto mi aveva colpito fin dall’incontro con il servo di Dio don Luigi Giussani e che san Giovanni Paolo II aveva scolpito nella sua prima enciclica affermando che Cristo è «al centro del cosmo e della storia».

Vidi don Giussani esultare di fronte a tale affermazione, che costituiva il fulcro del richiamo che ha dato origine all’esperienza di Comunione e Liberazione. Fulcro che, durante un incontro di ritiro in occasione dell’Avvento, mi veniva recentemente ricordato con questi tre passaggi: memoria di Cristo, esperienza di comunione intorno a tale memoria, presenza nel mondo. Tre passaggi che ho ritrovato nel leggere il “prologo” dell’attuale statuto della Fraternità di Cl, laddove si scrive della «insistenza sulla memoria di Cristo», della insistenza «sul fatto che la memoria di Cristo non può essere generata se non nella immanenza ad una comunionalità vissuta» e della insistenza «sul fatto che la memoria di Cristo inevitabilmente tende a generare una comunionalità visibile e propositiva nella società».

Centralità di Cristo, dunque, confermata, a più riprese, nel libro Generare tracce nella storia del mondo (scritto da don Giussani insieme a Stefano Alberto e Javier Prades ), quando si fa riferimento esplicito alla «gloria umana di Cristo», come ho letto proprio in questi giorni.

Tutto questo ha trovato clamorosa conferma in una lezione tenuta dal compianto cardinale Giacomo Biffi al Meeting di Rimini del 1997 e che ho avuto modo di sentire in video casualmente. In tale occasione il card. Biffi rievocava e descriveva la grandiosa figura di Sant’Ambrogio e verso la fine del suo affascinante racconto affermava che tutto il pensiero e l’azione di quel santo si basava su tre punti, così riassumibili: Cristo, Chiesa e Uomo. Punti che mi sembrano molto simili a quelli enunciati da don Giussani: Cristo, Comunità, Società civile. A conferma che il centro della vita cristiana è la persona stessa di Gesù, che si esprime nella vita della comunità/ Chiesa e che si rivolge missionariamente a tutto il mondo.

Penso che non sia un caso che il prete ambrosiano Giussani si sia espresso sulla linea del fondatore stesso della diocesi milanese. In queste ore ho avuto un altro poderoso richiamo alla centralità di Cristo, quando ho ascoltato l’intervento del prof. Mauro Grimoldi, che ha commentato in modo impareggiabile L’annuncio a Maria di Paul Claudel, grande autore purtroppo poco conosciuto e valorizzato anche in casa cattolica.

Alla fine di detto dramma, uno dei protagonisti afferma con potenza che il mondo e la Chiesa possono riprendersi dalla dispersione solo ritornando anche fisicamente al luogo in cui è stata impiantata la croce di Cristo, senza della quale non si può fare unità né dentro di sé, né dentro la Chiesa, né nel mondo covile. Mi è stato ribadito, insomma, in vari modi che solo ripartendo da Cristo, nato, morto e risorto vi può essere una vera speranza di salvezza. E di questa insistente richiamo non posso che ringraziare il Signore.

Ma non posso neppure esimermi dall’esprimere qualche preoccupazione circa i primi passi che si stanno muovendo in questa stagione sinodale (sia a livello della Chiesa universale che a livello della Chiesa italiana). Per ora vedo tante strategie, tante tattiche, tanti scritti, tante parole, ma mi sembrano assenti le parole essenziali, anzi la parola essenziale.

Per esempio, il grande esperto di cose cattoliche Sandro Magister, partecipando ad un convegno ad Anagni, ha fatto un intervento (dal titolo La Chiesa nel mondo o nell’eremo, che già pone una alternativa equivoca) durante il quale ha criticato che nel documento firmato dal Papa insieme ad altre autorità religiose prima della conferenza ecologica di Glasgow non compaia mai la parola “Dio”, ma nel suo intervento sui problemi sinodali non ha mai usato la parola Gesù, come se non c’entrasse con i problemi attuali della Chiesa, ridotti tutti a livello “politico”.

Uno degli slogan usati da tanti ecclesiastici in questo periodo è che la Chiesa, con il Sinodo, deve “sapersi mettere in gioco”: ma cosa significa, se non viene indicato il punto in confronto al quale operare la verifica, che non può che essere lo stesso Gesù Cristo? Il pericolo insito in questo atteggiamento è di affidarsi più che alla fede in Cristo alle analisi degli “esperti”, che, senza la luce di Cristo, possono facilmente dare indicazioni sbagliate a chi si pone nel loro ascolto. Spero di sbagliare, ma mi pare che si stia ponendo molta speranza in un assetto organizzativo piuttosto che in un confronto di fede: vedo che tutto è stato programmato fino al maggio 2025 con un cammino diviso in tre fasi: fase narrativa, fase sapienziale e fase profetica.

Tutto già a posto dunque: ma rimane spazio per porsi di fronte allo Spirito di Cristo? E se lo Spirito soffiasse da altre parti, questa perfetta organizzazione saprebbe coglierne i suggerimenti? Del resto, lo Spirito parla (ed ha già parlato) poderosamente attraverso i suoi santi della nostra epoca: ma i lavori sinodali saranno in grado di ascoltare questi santi che Dio ci ha mandato? Saranno in grado di guardare a santa Teresa di Calcutta per capire esattamente cosa significa la carità? Sapranno capire veramente l’esperienza missionaria e culturale dei movimenti che in questi settanta anni, attraverso i loro fondatori ora servi di Dio, hanno saputo annunciare Cristo a tanta parte del popolo cristiano? Oppure questi Santi e questi Servi di Dio vengono già archiviati come cose del passato? E sapranno i lavori del Sinodo rileggere anche i padri della Chiesa (per esempio, Sant’Ambrogio) oltre che ascoltare gli esperti del momento? Sapranno ripartire da Cristo invece che dai pensieri mondani correnti, che si infiltrano molto spesso nel corpo stesso della Chiesa?

Lo stesso papa Francesco, nel suo discorso del 9 ottobre, ha ricordato i 3 pericoli insiti nella celebrazione del Sinodo: il formalismo, l’intellettualismo e l’immobilismo. Tali pericoli possono aumentare a dismisura se non si lavora intorno e per il punto nevralgico dell’esperienza comunitaria cristiana, che, ripeto, è Gesù Cristo stesso e non altro.

Spero, naturalmente, che i miei timori e le mie domande siano infondate, per l’amore ed il rispetto cui siamo stati educati verso la Chiesa. Le domande sono poste nella certezza che il cammino del popolo di Dio andrà avanti qualunque siano le difficoltà incontrate, anche perché sappiamo che le tenebre non prevarranno; e nella certezza che la Chiesa è sempre Madre e Maestra. Faccio mio un passaggio del bellissimo Inno alla Chiesa che troviamo in Henri-Marie De Lubac (Meditazioni sulla Chiesa, 1993): «Sia benedetta, o Madre del bell’amore, del timore salutare, della scienza divina, e della santa speranza! Senza di te, i nostri pensieri rimangono sparsi e fluttuanti: tu li raccogli in un fascio robusto. Tu dissipi le tenebre nelle quali ciascuno si intorpidisce o si dispera».

Tutto ciò rifulge quanto più la Chiesa rimane fedele al suo sposo Gesù. Sappiamo che, quando ciò non avviene, «troppo perde il tempo chi ben non t’ama, dolc’amor Jesù sovr’ogni amore» (Laudario di Cortona).

Foto Ansa

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