Pedagogia della libertà

Paternità, obbedienza, accettazione e gratuità. «Se riusciamo a guardare l'altro con gli occhi di Maria scopriremo lentamente in lui il volto di Cristo»

La Consegna delle chiavi, Pietro Perugino, 1481-1482, Cappella Sistina, Vaticano

Pubblichiamo la lezione tenuta da madre Cristiana Piccardo presso il Monastero di Nostra Signora di Coromoto in Humocaro (Venezuela), in occasione del convegno organizzato per i 40° anni di fondazione del monastero trappista (12 gennaio 2023).

Non vorrei parlare di quel tipo di libertà vana e illusoria della quale comunemente si dice “Voglio fare quello che voglio”. “Che nessuno si intrometta e mi obblighi a fare e pensare quello che non voglio”. Questo vuol dire che io sono il dio di me stesso, che ho il diritto di definire la mia identità. Questa non è libertà, ma affermazione della propria istintività. Questa affermazione tanto fortemente istintiva e individuale crea un vuoto inestinguibile e introduce questa forma di individualismo all’esperienza del nulla: niente dietro di noi, niente davanti a noi.

1) Paternità

La vera libertà è un’esperienza che tocca profondamente la struttura fondamentale dell’uomo, la natura dell’essere umano e la sua realtà esistenziale.

La vera libertà ha bisogno di un’origine personale, di una forza originaria, cioè della realtà paterna. Non riconoscere questa realtà significa non conoscere qualcosa di essenziale che tocca l’umano nella struttura che più le è propria: la questione dell’origine e dell’appartenenza. È davvero questa l’esperienza che ci apre all’appartenenza suprema a Dio.

Creatore. Nella vita si può conoscere il dolore dell’assenza di un padre; tuttavia, nella misura nella quale la persona incontra qualcuno che la ama, la protegge, la sostiene, la corregge e la aiuta, recupera l’esperienza di una paternità che la genera di nuovo. Nel Vangelo la posizione di Gesù è chiarissima: “Io faccio sempre la volontà del Padre”. È certo che il Mistero Trinitario abita integramente in Cristo; tuttavia, il riferimento al Padre è constante in ciascuno dei suoi discorsi. Solo attraverso l’esperienza profonda e reale della paternità umana possiamo aprirci al mistero della paternità divina, alla consapevolezza di un destino.

Questo significa libertà. È libera la persona che sa da dove viene e dove va. San Bernardo afferma che l’immagine e somiglianza col Creatore che Dio ha impresso nell’uomo al momento della creazione, contengono in se stesse il dono divino della libertà. (Trattato “Grazia e libero arbitrio”).

Oggi la dimensione della paternità ha subito in tutto il mondo una forte diminuzione di significato, per esempio qui in America Latina incontriamo una società cosiddetta matriarcale, perché sono le madri che per lo più sostengono affettivamente ed economicamente il nucleo familiare. Si dice che siamo passati dal patriarcato ad un matriarcato di diritto che nel nostro continente cerca di imporsi sempre di più. Questa situazione colma l’uomo di ricchezza affettiva, però di solito non educa alla libertà e alla responsabilità.

2) Obbedienza

Una delle forme più grandi di libertà è senza dubbio quella che chiamiamo obbedienza.

L’obbedienza è la forma più grande di libertà quando non è passiva esecutiva e mal sopportata, cioè coercitiva. Esempio tipico di questa forma di obbedienza vissuta passivamente è l’uso dell’espressione “la madre dice, la madre vuole, la madre chiede…” [si riferisce al ruolo della madre abbadessa nel monastero, ndr.] che è una forma di scaricare sull’autorità qualsiasi tipo di responsabilità.

La vera libertà riconosce nell’autorità quel filo rosso che la connette al mio padre terreno e a mio Padre eterno, e che arriva a me come l’onda benefica di una filiazione che vuol vivere con amore ciò che ha ricevuto. Certamente riceve un’indicazione e un ordine, però la persona che lo vive liberamente lo assume sempre con una forza creativa e liberatrice che fa dell’ordine una bellezza creatrice e utile per tutti.

Nel Vangelo di san Giovanni (Gv 8, 29) troviamo un esempio paradigmatico, definitivo. Gesù dice: “lo faccio sempre quello che il Padre mi chiede”. Gesù trova nell’obbedienza al Padre la libertà più piena. Nell’esperienza della sua relazione con il Padre trova la sua origine, la sua appartenenza e il suo destino. Anche il cammino che san Benedetto indica verso la libertà passa per l’obbedienza: “Ascolta, figlio, … accogli con amore l’esortazione di un padre buono e mettila in pratica, affinché per il lavoro dell’obbedienza ritorni a Colui dal quale ti eri allontanato per il peccato della disobbedienza”. (RB Prologo, 1)

3) Accettazione e gratuità

La vera libertà in relazione con la paternità possiede come elemento essenziale l’accettazione.

Sentirci accettati da Dio non è solo un’esperienza di fede, ma è un accorgerci che ad ogni istante siamo “respirati” da Dio e sostenuti dalla sua volontà.

Se la libertà è un’accettazione personale, questo implica la piena accettazione dell’altro e della sua libertà. La tentazione più normale è quella di pretendere che l’altro corrisponda al nostro giudizio o al nostro desiderio. Però Gesù non si muove così (Mt 5, 1). Quando sbarca coi suoi discepoli nella terra dei Gebusei va al suo incontro un orribile indemoniato. Tutti hanno paura, si allontanano o cercano di incatenarlo. Invece Gesù si ferma, lo guarda con dolcezza e gli chiede come si chiama. La narrazione continua con la fuga dei demoni che entrano nella mandria dei porci e che si precipitano e affogano nel mare. Però quel che ci interessa è l’attitudine di Gesù che guarda l’indemoniato con attenzione ed affetto, e che suscita affetto fino al punto che, liberato dai demoni, l’uomo non vuol più separarsi da Gesù e rimane ai suoi piedi supplicandolo di portarlo con sé. Gesù invece gli impone di tornare casa sua e diventare un apostolo. L’accettazione di Gesù ha trasformato l’altro da demonio in santo, e soprattutto in uomo libero. Ai piedi di Cristo esplode la pienezza della sua libertà.

L’attrazione che l’indemoniato sperimenta per questo essere unico che è Cristo, è fonte non solo di salute, ma anche di libertà e di dignità

Dio, facendoci partecipi della sua libertà, ci comunica anche l’essenza del suo amore infinito: la gratuità. Perché se uno è veramente libero e rispetta profondamente la libertà dell’altro, realizza l’espressione più significativa della gratuità. Tutti abbiamo bisogno di appoggio, sostegno e riconoscimento, che possono realizzarsi solo quando la nostra libertà è riconosciuta e rispettata.

Una delle più alte espressioni di comunicazione di gratuità e di libertà ci viene dall’episodio evangelico che vede Gesù seduto coi suoi apostoli alla riva del lago di Galilea. Pietro lo ha tradito, lo ha rinnegato, però Gesù lo guarda con amore e gli pone un’unica domanda: “Mi ami tu più di questi?”. In questa chiamata all’amore fluisce tutta la libertà di Cristo, tutta l’eterna gratuità del Padre e risuona potentemente nel cuore di Pietro con la forza di una fedeltà che lo porterà fino al martirio. Ogni volta che nella relazione umana non si sottolinea il limite, la povertà o la debolezza dell’altro, ma si dà comprensione ed amore, si rende l’altro più capace di essere se stesso, più capace anche lui di libertà e di gratuità. Questa è la pedagogia che dobbiamo applicare per educare le nostre giovani a una vera libertà, che riceva dalla infinita libertà di Dio la gratuità della sua esistenza. Se si continua a sottolineare il limite e il difetto non si educherà mai alla vera libertà. Questo si potrà fare solo aiutando l’altro a riconoscere il dono di grazia ricevuto da Dio, a svilupparlo e a manifestarlo.

C’è una parola che mons. Camisasca ama molto, e che si trova nel primo libro del Paradiso di Dante, ed è “transumanare”. Transumanare significa andare più in là delle possibilità umane, significa dilatare l’essenza della nostra libertà fino alla suprema visione della libertà di Dio.

Però l’interessante è che Dante trasumana attraverso lo sguardo di Beatrice, uno sguardo luminoso ed amante che sembra contenere l’infinita visione dell’amore. E questo sguardo si posa su Maria che, a sua volta, sa guardare con infinito splendore il mistero di Dio. È attraverso questi sguardi che Dante può vedere trasumanato l’infinito splendore dei tre circoli che rivelano una presenza ineffabile. Però al cuore di questa presenza Dante scopre un volto, il suo volto, e questo spiega come al cuore della Divinità e del dolce sguardo di Beatrice e di Maria c’è l’uomo. Questo è quello che dice Dante, però io personalmente preferisco pensare che il volto che Dante vede al cuore della Divinità è il volto di Cristo.

Perché Cristo è tutto, in tutto e per tutto. Un’immagine poetica di insuperabile bellezza, che tuttavia ci aiuta a pensare nella nostra pedagogia. Se riusciamo a guardare l’altro con gli occhi di Maria scopriremo lentamente in lui il volto di Cristo. Vivere la pedagogia della libertà è solo questo: scoprire in tutti il volto di Cristo.

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