Paolo Becchi, il guru complottista di Grillo che vuole «il ritorno a Karl Marx»

«Ora cambiamo lo Stato poi cambieremo anche la Chiesa». Giorgio Napolitano? Un golpista. Monti? «Gli sputerei in faccia». Pensiero e profilo di un filosofo grillino

No alla «dittatura dell’euro», sì al «ritorno di Karl Marx». «Ora cambiamo lo Stato poi cambieremo anche la Chiesa». Paolo Becchi è un filosofo del diritto dell’Università di Genova e una delle teste pensanti più ospitate sul blog di Beppe Grillo. Becchi è autore di un libro che parla dell’Europa e della fine della seconda repubblica. In Nuovi Scritti Corsari, l’accademico genovese sostiene che il cambio di governo dell’autunno 2011 fu un «colpo di stato sobrio». L’aristocrazia finanziaria riuscì a sostituire la tirannide di un parlamento guidato da Silvio Berlusconi con quella presidenziale dei tecnici. A questa dittatura «legale» si sarebbero opposti soprattutto i grillini e il loro leader Beppe Grillo.

COLPO DI STATO SOBRIO. Il «colpo di Stato sobrio» di cui «Re Giorgio Napolitano» si rese complice, o meglio esecutore pedissequo, riporta Becchi, sarebbe stato concepito sulla scorta dell’insegnamento manualistico di un classico della disciplina eversiva: Tecnica del colpo di stato, scritto dall’ex fascista comunista Curzio Malaparte. Stando alla ricostruzione dell’accademico genoano, Re Giorgio fu colpito dalla prima parola del titolo: «Tecnica». In questo caso, spiega Becchi, la parola non gli suggerì una particolare «tattica insurrezionale», bensì «che la riuscita di un colpo di Stato dipende dal coordinamento tecnico di decisioni prese al livello di quei poteri forti invisibili, impalpabili, ma onnipresenti» che governano il mondo.

TECNOCRAZIA DEL PRESIDENTE. L’ottuagenario tiranno, riposto il manuale sul comodino, avrebbe iniziato a brigare con le forze «invisibili, impalpabili, ma onnipresenti»,  che governano il mondo, riuscendo a ottenere la leva capace di sollevare l’imprenditore Berlusconi dalla Presidenza del consiglio: lo spread, efficacemente «artato» dalla «aristocrazia finanziaria», con cui in meno di ventiquattro ore, Re Giorgio riuscì a sbarazzarsi di Berlusconi e a promuovere senatore a vita Mario Monti. Iniziava così «una Terza Repubblica controllata dai “tecnici”» e dal «potere senza volto» a cui il presidente della Repubblica doveva la riuscita del colpo di stato. Per Becchi, tutto questo fu reso possibile non dalla «violazione in forma legale» della Costituzione ma dalla violazione del suo spirito.

TABULA RASA. Intervistato durante la trasmissione La Zanzara su Radio24, riguardo alle proteste studentesche dello scorso autunno, Becchi ebbe a giustificare l’uso delle armi: «Le rivoluzioni non sono pranzi di gala». Sostenne la necessità della rivoluzione in Italia, «rispetto al marciume» politico: «Ci vorrebbe una grande grandissima pulizia, una totale tabula rasa». Affermò inoltre che se avesse avuto davanti a sé Monti gli avrebbe sputerebbe in faccia. Ma ancor più se si fosse trattato di Romano Prodi, in quanto euroburocrate.

CANCELLARE IL DEBITO ESTERO. Rigettare la moneta unica è una priorità per Becchi, che però avverte: «Il debito rimarrebbe in parte (quella parte posseduta dagli investitori stranieri) in Euro e di conseguenza con la svalutazione a cui andrebbe sicuramente incontro la nuova moneta questo comporterebbe un aumento del debito stesso». L’unica soluzione sarebbe il metodo sudamericano della cancellazione del debito estero: «Penso che una qualche forma di default sarebbe indispensabile. Insomma, potremmo decidere di “ripudiare” una parte, cioè quella parte, del debito». L’economia che ne seguirebbe sarebbe simile a quella di guerra: «Non si può neppure escludere che per proteggere l’economia interna siano necessarie misure di limitazione alla circolazione di merci e capitali».

REPUBBLICA A 5 STELLE. Per il momento, Becchi sembra augurarsi una coabitazione fra democrazia parlamentare e grillismo, il quale avrebbe il compito di controllare l’operato dei politici e dei partiti. «Se il MoVimento potesse assicurare un continuo dialogo con il popolo, un’attività continua di iniziative legislative provenienti direttamente dai cittadini, il Parlamento verrebbe finalmente costretto a discutere pubblicamente e a deliberare su progetti di legge popolari, e non su articoli ed emendamenti “negoziati” nei corridoi e nelle segreterie di partito».

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