Notizie dal futuro. Quando non ci sarà più bisogno di noi

Pubblichiamo la rubrica di Marina Corradi contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Milano, maggio. Leggo ogni giorno notizie dal futuro. Le automobili si guideranno da sole, e lasciato il padrone in ufficio torneranno indietro, per portare a scuola i bambini; e mi immagino nelle albe delle nostre città questa moltitudine di auto robotiche, vuote, i fari accesi, disciplinate ai semafori.

Leggo che in molti lavori gli uomini saranno sostituiti da ologrammi, immateriali volti di hostess gentili che ci guideranno per uffici e musei. Per non dire delle fabbriche, dove si produrrà senza bisogno di operai. La presenza umana sarà sempre meno rilevante, sapendo ormai le macchine fare tutto meglio di noi.

E gli uomini, cosa faranno? Nasceranno dopo un’accurata selezione per eliminare gli esemplari difettosi, verranno al mondo su misura e ordinazione. Vedo già oggi, in certi esperimenti, l’ansia di arrivare alla gravidanza artificiale. Si nascerà in bottiglia, come nel Mondo nuovo di Huxley? Ci promettono poi che si vivrà molto a lungo, cent’anni e oltre. Con una pensione da niente però, e una sanità non in grado di provvedere a tanti vecchi. Mentre a curarci, a noi nonni, saranno i badanti-robot, e il medico ci visiterà virtualmente, via web.

Malgrado le notizie dal futuro ci vengano presentate in un’aura di lucente meraviglia, io non riesco a rallegrarmi. Mi raggela pensare a una Milano percorsa da auto vuote, da tram che si guidano da soli. Mi ricordo quando c’era il bigliettaio, che conosceva i viaggiatori abituali, e parlava in dialetto. A chi chiederemo la strada, in una città di automi? A un ologramma di vigile, certo, che ce la indicherà senza esitazioni. Però, che gelo.

Io sarò poi tra quei vecchi cui gli ospedali rifiuteranno cure e interventi costosi. Un giorno il mio medico mi visiterà online e mi spiegherà gentilmente che ho bisogno, per vivere, di un farmaco che la mutua non mi passa. Poi chiuderà il collegamento. Clic. Ci si dovrà abituare. O forse sarà il tempo della morte somministrata compassionevolmente, volonterosamente, a chi di vivere così non si sentirà più capace.

E magari un giorno, ormai un po’ annebbiata, mi fermerò davanti alla toilette di un bar, confusa davanti alle indicazioni per i diversi gender. Forse un gentile sconosciuto mi chiederà a quale gender appartengo, e io non saprò che dire.

Le notizie dal futuro mi inquietano, dovrei smettere di leggerle. Oppure ogni uomo viene al mondo per vivere, semplicemente, gli anni suoi. Ai miei bisnonni dovevano apparire mostruose le prime automobili, ai miei nonni la tv sembrò una rivoluzione. Forse il futuro fa paura solo a chi non ne ha più molto davanti?

Fra me sono contenta di avere visto un tempo in cui c’era ancora bisogno degli uomini, in cui si nasceva anche per caso, o per “sbaglio”, e sani o no e brutti o belli, un tempo in cui si invecchiava senza vergogna. E nessuno chiedeva di essere aiutato ad andarsene prima – perché quell’imperfetto mondo, tuttavia, lo si amava.

Foto robot da Shutterstock

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