Nella foga di demonizzare Maroni e la Lombardia, Repubblica e Corriere fanno una bella figuraccia

Spesso l’ignoranza non è una colpa: uno non può sapere tutto, gli uomini enciclopedici alla Leonardo da Vinci e alla Pico della Mirandola si sono estinti cinque secoli fa, quando il sapere si è fatto specialistico nelle discipline che un tempo ricadevano tutte insieme sotto l’occhio del filosofo/scienziato. Aristotele poteva scrivere di Logica, Fisica, Metafisica, Anima, Etica, Politica, Poetica e Retorica mostrandosi l’uomo più competente della sua epoca. Leonardo è riuscito ad essere artista e scienziato, ingegnere e musicista, scenografo e anatomista. Ma chi volesse ripetere oggi i loro exploit, non potrebbe dimostrarsi eccellente in tutte le discipline e raccoglierebbe sicuramente critiche velenose. Non si può pretendere che i protagonisti della vita pubblica e della comunicazione, solo perché hanno delle responsabilità pubbliche, sappiano tutto di tutto.

L’ignoranza però diventa una colpa quando si pretende di esprimere un’opinione competente su ciò che non si conosce, di ironizzare su progetti e azioni altrui senza aver capito di cosa si parla e addirittura di poter dettare al pubblico dei lettori la retta opinione su ciò che in realtà si ignora totalmente. E quand’è che certe persone si espongono al rischio di vedere messa alla berlina la loro presuntuosa ignoranza? Quando c’è di mezzo la politica. Allora alcuni non riescono a trattenersi, e pur di attaccare un avversario politico o comunque qualcuno che sta antipatico per le sue idee e i suoi atti politici, si piccano di dire la loro su questioni di cui non sono minimamente al corrente. Magari sotto forma di editoriale sulle pagine di grandi quotidiani a diffusione nazionale.

Un caso molto istruttivo di questa patologia culturale e politica è rappresentato dalla polemica contro il “lombard”, un’ipotizzata moneta locale che il presidente della Lombardia Roberto Maroni vorrebbe introdurre durante l’attuale legislatura per rianimare gli scambi commerciali a livello regionale, ospitata dalle pagine di Repubblica e Corriere della Sera. I lettori di Tempi e di tempi.it sanno di cosa si sta parlando: sul n. 19 del settimanale è uscito un pezzo a firma mia dal titolo “Facciamoci una moneta”, ripreso da questo sito col titolo “Va bene l’euro, ma se ci facessimo anche una moneta nostra? In Francia c’è già“, sulla realtà delle monete complementari, presenti negli Stati Uniti e in Europa da decenni e oggi in espansione a causa della crisi dell’euro.

Invece Ivan Berni e Gian Arturo Ferrari, editorialisti rispettivamente di Repubblica e Corriere della Sera, non hanno la benché minima nozione sulla materia, ma pur di attaccare Roberto Maroni si lanciano in commenti sarcastici e presuntuosi. Ecco il tronfio attacco del commento di Ferrari apparso sul Corriere del 15 aprile: «Ci sono tre buone ragioni per cui val la pena stare a Milano. Nell’ordine, il teatro alla Scala, lo stadio di San Siro e l’Antica Barberia Colla, oasi di civiltà. Adesso però ce n’è anche una buona se non proprio per abiurare la cittadinanza, quantomeno per non farsi immediatamente riconoscere come milanesi. Ed è l’introduzione -ventilata? Probabile? Verosimile? Prossima? Auspicata? Imminente?- del lombard, moneta sussidiaria padana di oscura funzione, incerto statuto e opinabile valore, anche propagandistico. Qualcosa di simile, par di capire, alle banconote del Monopoli». Appena un po’ più sobrio, ma ancor più disinformato, l’ex di Radio Popolare Ivan Berni: «Insomma, se le banche non vi fanno credito ecco la Regione che vi riempie le tasche di “lombard” che, s’immagina, potrete convertire in euro in un secondo tempo. Garante il Pirellone. Forse. Su di un simile progetto, che puzza di incostituzionalità e velleitarismo politico, il neogovernatore non ha spiegato se esiste un parere della Bce, della Banca d’Italia, delle istituzioni finanziarie, di qualche economista credibile. Nulla. Però che impagabile piacere poter dire che la Lombardia batterà moneta!».

Ma la Lombardia non batterà moneta anche se introdurrà il lombard, perché le monete complementari sono monete virtuali, elettroniche, di pura contabilità; economisti credibili che le promuovono esistono eccome, tanto che il comune francese di Nantes (amministrato dai socialisti) ha chiamato due docenti della Bocconi, Massimo Amato e Luca Fantacci, come consulenti per il suo progetto di moneta complementare pronto a decollare; non c’è da chiedere niente alla Banca d’Italia e alla Bce, perché in Italia esistono già almeno tre monete complementari, e in Europa decine, la prima delle quali è nata in Svizzera nel 1934; non c’è nessun parere di costituzionalità da richiedere, perché la Costituzione nulla dice sulla moneta, ma semplicemente che «lo Stato disciplina l’esercizio del credito»: in quale valuta, non è la Costituzione a stabilirlo; il lombard non sarà mai convertibile con l’euro, perché questo distruggerebbe la sua funzione di moneta complementare con puro valore di scambio, mentre l’euro tiene valore di riserva; la funzione del lombard non è oscura ma chiarissima: è quella di incentivare gli scambi fornendo liquidità immediata anche quando i propri crediti non sono esigibili; lo statuto è lo stesso di tutte le monete complementari del mondo e il suo valore è identico a quello dell’euro, col quale però non può essere convertito per la ragione detta sopra.

Un mese fa io non sapevo nulla di tutto quello che ho appena scritto: il dibattito scaturito dalla proposta di Maroni, bollata goliardicamente da Pier Luigi Bersani come “creazione del marone”, mi ha incuriosito, ed è così che ho scoperto che due dei massimi teorici della moneta complementare insegnavano nella più importante università specializzata in materie economico-finanziarie della mia città e che stavano mettendo a punto in una città francese amministrata dalla sinistra un progetto simile a quello proposto in Regione Lombardia da Lega Nord e Pdl già al tempo della presidenza Formigoni. Ho cercato di saperne di più, ho fatto ricerche come un qualunque studente che prepara una tesina e sono riuscito a intervistare il professor Amato.

Invece Gian Arturo Ferrari, che vanta un curriculum da paura comprendente la direzione della Divisione libri prima della Rizzoli e poi della Mondadori, e Ivan Berni, che ha fondato e diretto Radio Popolare ed è stato caposervizio di Repubblica, hanno voluto fare i saccenti e hanno rimediato una figuraccia. È la prova che lo spirito di fazione alimenta l’ignoranza e rende incivile il dibattito politico. Crea un clima da guerra civile strisciante, dove l’avversario è un nemico e perciò le sue tesi non vanno esaminate e, se è il caso, confutate, ma vanno demonizzate a priori al fine di eccitare i militanti della fazione a lui avversa. Di questo modo di fare giornalismo faremmo a meno volentieri.

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