Meeting/ Hadjadj: «Ecco perché la certezza non ci piace più»

La quinta giornata di Meeting non lascia tregua: Hadjadj, Gaymard, Bhatti, Fassino, Calderoli, Formigoni, Tettamanzi, Niccolò Fabi, Illy. Tantissimi i personaggi e le storie guidata dalla riflessione sulla certezza del filosofo e scrittore francese: «Non ci resta che un'immensa ed inevitabile certezza di apocalisse, cioè la necessità di una speranza che attraversa la notte oscura»

«Se anche mi confermassero che nel dicembre 2012 ci sarà veramente la fine del mondo, ciò non mi impedirebbe di avere un figlio in novembre, e di scrivere poesie, e di piantare un albero, perché non faccio queste cose solo per l’avvenire terreno, le faccio perché è già partecipare alla vita eterna». Brillante e accattivante come sempre, anche quest’anno Fabrice Hadjadj, filosofo e scrittore francese, non ha tradito la platea che ha affollato l’auditorium, memore degli interventi degli anni precedenti.

Oggi, ha spiegato Hadjadj, la parola certezza viene schivata e respinta con repulsione «per tre motivi»: perché siamo nel tempo dell’incertezza; perché le certezze ideologiche del XX secolo hanno generato i totalitarismi; perché è mortifera in quanto vista come una «medusa che gela l’acqua, ci affascina e ci pietrifica». La «certezza è solidità ma non la solidità della pietrificazione bensì quella del nostro cammino». Ciò che non fa vivere è invece il dubbio: «Se voi non foste certi che io non sia un terrorista norvegese pronto a spararvi non potremmo andare avanti nella nostra riflessione. Lo stesso Aristotele associa il dubbio a ciò che incatena e la certezza a ciò che libera».

Ma la vera certezza ha bisogno di un’evidenza, qualcosa che non abbiamo deciso noi, che ci è data, che, dicono i francesi “spacca gli occhi”, cioè non ci gratifica ma ferisce e sconvolge i piani. Continua Hadjadj: «Nel mezzo dell’incertezza del postmoderno l’unica immensa certezza è quella che aveva capito don Giussani e cioè che c’è qualcosa e non niente. Bisogna partire da questa certezza della vita presente». La vita, il presente dicono «che ho ricevuto la vita da un altro e l’ho ricevuta per darla ad un altro».

Un discorso che nella vita del cattolico Paul Bhatti, consigliere speciale del presidente pakistano Zardari per le minoranze religiose, fratello di Shahbaz, morto assassinato da fondamentalisti islamici, si fa molto concreto. «Da quando mio fratello è stato ucciso e io sono tornato in Pakistan la mia vita è cambiata completamente. Vivo dentro a delle mura, scortato, c’è il rischio che venga ucciso anch’io ma il mio compito ora è portare avanti la missione di mio fratello».

E al Meeting, oggi, è arrivata anche Clara Gaymard per esporre la missione del padre. Lei è una delle 50 donne più potenti del mondo, madre di nove figli, cattolica, manager in una delle più importanti aziende del globo ed è venuta a parlare del padre, Jerome Lejeune, medico, scopritore della genetica moderna, fermo difensore della vita, la cui causa di beatificazione è stata avviata nel 2007. «Mio padre ha scoperto per primo le origini della sindrome di Down, la trisomia 21, per primo ha visto che chi è affetto da questa malattia ha un cromosoma in più. Per questo è il padre della genetica e per questo doveva aspettarlo un avvenire di gloria e riconoscimenti a non finire».

I riconoscimenti arrivano, perlomeno fino a quando Lejeune non si schiera apertamente, su base scientifica, contro l’aborto: «Consideravano i bambini Down – spiega la figlia Clara – come dei mostri. Un giorno, uno è andato da lui e gli ha detto: professore, ci devi salvare, ci vogliono uccidere e noi siamo troppo deboli per difenderci». Lui comincia a difenderli e in cambio prendono a comparire sui muri frasi come: “Uccidiamo Lejeune e il piccolo mostro”. Per la sua battaglia contro l’aborto, non vincerà il premio Nobel. Ma l’eredità che ha lasciato alla sua famiglia e al pubblico del Meeting, lo spiega proprio la figlia: «Mio padre lavorava moltissimo, faceva ricerca, non faceva molti discorsi, non gli piaceva. In punto di morte mi ha detto: “Non ho mai tradito la mia fede”. Mi ha insegnato ad essere umile, semplice, consapevole del fatto che in fondo sappiamo molto poco e che la vita è felicità».

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