Marino tratta le scuole paritarie come spazzatura. Come se i loro bambini sporcassero più degli altri

Il Comune di Roma taglia le agevolazioni per la tassa sui rifiuti alle sole realtà non statali. Come se non ci fosse una legge che le inserisce a pieno titolo nel sistema di istruzione pubblica

Marilise Blasi quella lettera dell’Ama l’ha letta più volte dall’inizio alla fine. Dopo la traduzione dal linguaggio burocratese e una telefonata chiarificatrice con l’azienda romana di gestione dei rifiuti ha avuto la certezza di quello che aveva intuito da subito: il suo asilo nido convenzionato dovrà versare al Comune oltre mille euro all’anno di tassa per lo smaltimento dei rifiuti, contro i 400 dell’anno scorso. «La riduzione di cui usufruivamo, in quanto scuole, non c’è più, dicono che non ci sono i fondi per mantenerla». In realtà l’agevolazione è scomparsa solo per le scuole non gestite dallo Stato, come spiega la famosa lettera dell’Ama che da settimane toglie il sonno a molti gestori di istituti paritari romani.

Quello di Marilise Blasi è un micro nido, laico, che ospita 18 bambini nel municipio X di Roma, quello con più alta richiesta d’Italia. «Siamo convenzionati, significa che le famiglie pagano una quota, modulata a seconda della fascia Isee a cui appartengono, e il resto lo stanzia il Comune. Da noi il Comune spende, per un bambino che fa l’orario pieno, cioè dalle 8 alle 16.30, circa 715 euro; lo stesso orario, negli istituti statali, costa circa il doppio. Ci trattano come scuole private – protesta – ma la verità è che noi siamo un ibrido e facciamo risparmiare lo Stato». A Roma gli asili convenzionati sono 214, una trentina di essi, tra cui quello di Marilise Blasi, si sono riuniti in una associazione per farsi sentire: Onda Gialla. «Qualche giorno fa il sindaco Marino è venuto nel nostro municipio e ci siamo fatti sentire. Ci hanno ascoltato, ora vedremo cosa succederà. In ballo non c’è un minor guadagno da parte nostra, ma la sopravvivenza del nostro asilo».

Conti salati sono arrivati un po’ dappertutto, a Roma. La tentazione di parlare di aumenti alle scuole dei preti, seguendo una variazione anticlericale della sempreverde retorica anticasta, scompare quando si guarda alle realtà coinvolte: scuole gestite da religiosi, certo, ma anche laiche o ebraiche. Qualche giorno fa molte di queste scuole si sono incontrate, con loro c’era il consigliere comunale di Roma Gianluigi De Palo (Cittadini x Roma), ex assessore e già promotore dell’iniziativa che portò sotto il Campidoglio mille passeggini per protestare contro gli aumenti delle tariffe per gli asili nido e la scomparsa della gratuità per il terzo figlio. «C’erano alcune bollette che passavano da diecimila a 58 mila euro, altre da 6 mila a 43 mila euro», racconta De Palo a Tempi, non escludendo la possibilità di un ricorso al Tar. All’Istituto Santa Dorotea ci sono 250 studenti dall’asilo alla terza media, nel primo semestre del 2014 pagavano 3.361 euro, quello per il secondo semestre, appena arrivato, ammonta a 20.771 euro (600 per cento in più). Dovranno tirare fuori circa trentamila euro anche all’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice di Roma. «Nel nostro istituto contiamo circa 830 ragazzi, di ogni fascia scolastica», ha spiegato la preside, suor Graziella, a tempi.it. «Il sindaco Marino vuol forse dirci che, se chiudessimo, saprebbe come far proseguire il loro percorso scolastico? Avrebbe le scuole statali nei quali dirottarli?». L’architetto Alfonso Corbella, che gestisce due realtà come l’Istituto Sant’Orsola e il Cuore Immacolato di Maria, con 750 alunni dall’infanzia alle superiori, ha riscontrato aumenti tra il 20 e il 25 per cento.

Due criteri, una discriminazione
Le scuole gestite dallo Stato e quelle gestite dai privati pagano la tassa sui rifiuti secondo criteri diversi. Per le prime si considera il numero degli alunni, per le seconde il numero dei metri quadrati. Poi c’è l’articolo 33 bis del decreto legge 248 del 2007, convertito nella legge 31/08, che prevede che per lo svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti delle istituzioni scolastiche statali, il ministero dell’Istruzione provvede dal 2008 a corrispondere direttamente ai Comuni la somma annua di quasi 39 milioni di euro quale importo forfettario complessivo per lo svolgimento del servizio.

Tempo fa le paritarie sono finite nell’occhio del ciclone anche a Milano. Sul tavolo c’era ancora la questione dei rifiuti, perché il cambio dei coefficienti per il calcolo della tassa aveva fatto finire sotto la categoria “birrerie e locali pubblici” i locali refettorio. «Era una quota di circa 14 euro al metro quadrato», ricorda suor Anna Monia Alfieri, presidente della Fidae Lombardia che si trovò a gestire la vicenda. Dall’altra parte del tavolo un’amministrazione di sinistra, di cui fa parte Elisabetta Strada, presidente della commissione Educazione e istruzione del Comune di Milano, arrivata a Palazzo Marino con il vento arancione di Giuliano Pisapia. «A Milano – racconta Strada a Tempi – abbiamo fatto un lavoro, sia sulla tassa rifiuti, sia sulle derrate alimentari e sulle convenzioni per cui il Comune può usufruire di alcuni posti nelle paritarie per eliminare le liste d’attesa nelle proprie scuole, soprattutto quelle dell’infanzia. Ci siamo seduti intorno a un tavolo e abbiamo ragionato con le scuole paritarie, abbandonando logiche ideologiche di contrapposizione, e parlando dei servizi. Personalmente non credo che le scuole non statali dovrebbero ricevere finanziamenti a pioggia, ma credo che non debbano essere discriminate quando offrono un servizio a tutti i cittadini. Nel caso della tassa rifiuti, a Milano abbiamo lavorato sui coefficienti per trovare una soluzione. Non è che un bambino delle paritarie e uno delle statali sporchino in maniera diversa!».

«In quell’occasione – ricorda suor Anna Monia Alfieri – il profondo coordinamento del mondo associativo ha dato frutto. Negli ultimi mesi ho seguito la chiusura di quattro scuole paritarie al Sud. La scuola paritaria deve resistere a questi duri colpi, sferrati da quel pericoloso mix tra esigenza di contenimento dei costi e pregiudizio culturale, per arrivare viva al traguardo del costo standard. Deve resistere non perché sia migliore o peggiore della scuola statale, ma perché fa parte dell’unica garanzia di pluralismo educativo: le famiglie devono avere la libertà di scegliere».

Intanto a Bologna succede quello che altrove sembra impossibile: nel regolamento Tari di Palazzo d’Accursio c’è un articolo che equipara le scuole paritarie e quelle statali quanto a pagamento della tassa dei rifiuti. Indagando si scopre che c’è lo zampino della consigliera comunale di Ncd Valentina Castaldini, che spiega: «Ragionando coi funzionari e sensibilizzandoli sul servizio pubblico svolto da queste scuole (e senza le quali il Comune si troverebbe nei guai), siamo riusciti a portare in aula una delibera in cui anche le paritarie pagano a seconda del numero di alunni».

La responsabile scuola di Forza Italia, Elena Centemero, ha presentato un’interrogazione parlamentare sul caso romano, convinta che la questione, anche se squisitamente locale, abbia una rilevanza nazionale. «Credo che si tratti di una decisione molto grave», spiega a Tempi. «Si tenta di fare cassa vessando le paritarie, che vengono palesemente discriminate e trattate diversamente rispetto alle statali. Questa è una posizione al di fuori della legge 62/2000 che sancisce che il sistema scolastico italiano è costituito da scuole gestite dallo Stato e dalle scuole paritarie». L’onorevole di Forza Italia, con una carriera di insegnante svolta tra il settore paritario e quello statale, prevede ulteriori disagi quando scatterà il piano di 150 mila assunzioni previsto dalla Buona Scuola di Renzi, che rischia di “svuotare” di docenti le paritarie, dove spesso lavorano insegnanti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. «Sarebbe un bel segnale se il governo permettesse che gli insegnanti assunti con la Buona Scuola possano continuare a prestare servizio nelle paritarie in cui già insegnano».

Ha insegnato per molti anni in una scuola non statale anche Simona Malpezzi, deputata del Pd, renziana in forza alla commissione Cultura della Camera. Ed è la sua personale esperienza positiva che la fa sobbalzare di fronte alle sempre nuove versioni del pregiudizio anti paritarie che resiste nel suo partito e più in generale a sinistra. Poche settimane fa lo documentava un servizio dell’Espresso sullo lo scandalo del “fiume di soldi alle scuole private”. «Le resistenze nascono per una mancanza di conoscenza. Si criticano le paritarie pensando ai diplomifici, realtà contro cui le stesse paritarie serie si battono». La deputata democratica invita a un ragionamento: «Come governo dentro la legge di Stabilità noi abbiamo stanziato dei fondi per potenziare la rete degli asili nido, lo abbiamo fatto perché ci crediamo, perché crediamo che i nidi, insieme a forme di part time e flessibilità che le donne devono poter scegliere, siano importanti per costruire una società più giusta. A fronte di questo sforzo non possiamo non riconoscere che, soprattutto nella fascia 3-6 anni, lo Stato non ce la farebbe senza le scuole paritarie. In molte regioni, penso alla Lombardia, al Veneto, ma anche all’Emilia Romagna, c’è un sistema integrato tra pubblico e privato che funziona. Dobbiamo farne tesoro, ricordando che lo stato più laico che ci sia, cioè la Francia, ha raggiunto la parità vera a tutti gli effetti».

Le deputate pd: «Marino, ripensaci»
«Mi stupisce – interviene la deputata democratica veneta Simonetta Rubinato – che il sindaco Marino, che ha sempre dimostrato grande attenzione ai bisogni sociali della città, non abbia valutato attentamente le pesanti e controproducenti ricadute della sua decisione. Mi auguro che ci ripensi, cancellando quella che risulta essere una discriminazione assurda. Essendo stata sindaco di un comune del Veneto, dove le paritarie garantiscono la copertura del servizio a quasi il 65 per cento dei bambini, so anche che l’amministrazione comunale, se vuole, può trovare una soluzione. Noi, ad esempio, stanziammo un contributo straordinario consentendo ai gestori delle scuole d’infanzia paritarie di compensare quanto versato per la Tares. E questo per evitare aumenti dei costi a carico delle famiglie».

Le fa eco Simona Malpezzi: «Sappiamo che quello di Roma è un Comune in sofferenza e spesso durante la fasi di sofferenza bisogna fare delle scelte dolorose. Ciononostante non posso non dire al sindaco Marino che la maggior parte delle paritarie sono scuole dell’infanzia, che operano là dove lo Stato o il Comune non riescono ad arrivare con le proprie forze. E poi dobbiamo ricordare che c’è una legge dello Stato che sancisce la parità. È una legge che porta un nome importante per noi di sinistra, quello di Luigi Berlinguer».

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