Magnaschi: La macroregione di Formigoni non è solo un’idea. È una necessità

Questa sera il direttore di Italia Oggi parlerà al Meeting con Formigoni. «Si è aperta la strada per uno stato europeo dove le macroregioni svolgeranno una funzione più importante degli stati»

Nel tardo pomeriggio di quest’oggi, il programma del Meeting di Rimini prevede un incontro con il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni; Lodivico Festa giornalista, saggista e storico collaboratore di Tempi; il giornalista Oscar Giannino e il direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi che con tempi.it ha discusso su quello che sarà uno dei temi centrali dell’incontro: la macroregione del nord.

Direttore, questa sera interverrà al Meeting di Rimini in un incontro su presente e futuro della regione Lombardia. Negli ultimi tempi si è molto parlato della macroregione del nord. Un direttore di un quotidiano giuridico-economico come lei, che idea si è fatto?
La macroregione nord non è una nuova idea perché fu proposta nel 1947 da un gruppo di professori dell’Università Cattolica di cui faceva parte anche un giovane ricercatore chiamato Gianfranco Miglio. La stessa idea è stata successivamente rilanciata, ma con scarso successo, da altre personalità. Fra i degni di nota vi è Piero Bassetti, primo presidente della regione Lombardia e Guido Fanti, primo governatore dell’Emilia Romagna; ricordo che quest’ultimo era un comunista e, a causa della sua compiacenza all’idea di macroregione, fu silurato dal suo partito e allontanato nel ricovero per i ricchi politici che era ed è tutto’ora il Parlamento europeo.

Non sembra che il progetto abbia avuto un futuro felice…
Non se ne è parlato per vent’anni, anche perché l’idea fu ridicolizzata dalla Lega, che invece avrebbe dovuto rilanciarla. L’uscita di scena di Bossi che pasticciava con le ampolline sul Po, pone delle condizioni tali da impostare un dialogo serio e maturo con i leghisti; non a caso l’argomento viene rilanciato da politici del calibro di Formigoni che, nella sua storia di presidente, l’ha sempre avuto come retropensiero da attuare. Ora anche la Lega pare interessata e l’ipotesi non è esclusa neppure da alcuni esponenti del Pd. Mi auguro che si concretizzino le circostanze politiche per dare vita a questa idea.

C’è chi malignamente parla di una ulteriore sovrastruttura di governo, è così?
Non si tratta di inventare un altro livello di governo di cui ne abbiamo già fin troppi, ma di trovare nuovi modi per lavorare. Come diceva Darwin: «Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più ricettiva ai cambiamenti». Tenere come area di riferimento strategico il nord (l’inclusione dell’Emilia Romagna dipende dalla preveggenza del Pd) è un asso nella manica.

Ci sono degli aspetti negativi nel progetto?
L’aspetto negativo da tenere in considerazione è psicologico. La macroregione del nord sembrerebbe contro il centro e il sud, ma la si può vedere sotto un’altra prospettiva: un progetto che efficientizza un’area già funzionante del paese e che può agire come benchmark per le aree più arretrate. Se si riuscisse a proporre l’area del nord, non come un’idea dei primi della classe, ma come un’entità che potrebbe tirar fuori dal paese anche il resto dell’Italia, sarebbe una interessante via politica.
Quali sarebbero i rapporti tra Stato centrale e macroregioni?
Il problema non è decentrare il potere, ma raggiungere delle dimensioni in cui questi poteri possono essere più efficienti. Aggiungo un paradosso: nell’Unione Europea, che era stata concepita come l’entità nella quale gli stati si scioglievano, in tutte le aree si è vista una crescita dei poteri locali variamente definiti. L’Unione europea mette in crisi gli stati, ma non le aree infrastatali che hanno delle dimensioni per raggiungere gli obiettivi che si pongono. La macroregione del nord si situa perfettamente in questo momento: si parla di politica liquida, ma sono gli stati ormai ad essere liquidi. È il momento di occupare degli spazi enormi di iniziativa.

Gianfranco Miglio, a seguito della caduta del muro di Berlino, affermò che lo stato moderno è morto e che bisogna riproporre un modello di società medievale: da qui l’ipotesi delle macroregioni. Lo stato moderno ha ancora senso di esistere nella forma in cui lo conosciamo?
Con il 1989 è andato in fumo un’organizzazione ottocentesca che viveva sullo stato, sulla difesa dei confini, che si tutelava dagli altri e rimaneva chiuso al mondo. Ora la dimensione minima è quella europea. Con la polverizzazione dei confini attraverso Schengen e l’introduzione del sistema di moneta unica si è aperta la strada per uno stato europeo dove le macroregioni svolgono una funzione molto importante e in prospettiva superiore agli stati di matrice ottocentesca.

@giardser

 

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