L’opportuna “polmonite lieve” che non ha fatto partire Lula per la Cina

Annullato il viaggio con cui il presidente brasiliano voleva distogliere l'attenzione dai problemi interni e riposizionare il paese sullo scenario internazionale stringendo accordi con Pechino

Il presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva (foto Ansa)

Una “lieve polmonite” – con un timing così opportuno da far ricordare quelle celebri di buonanima Leonid Breznev – quella del presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva che, dal 26 al 31 marzo doveva fare un viaggio, annunciato da mesi in Cina, per riposizionare il suo paese sullo scenario internazionale. Sarebbe stata la maggiore delegazione di sempre del Brasile all’estero dai tempi del ritorno della democrazia, con una comitiva degna della corazzata Potemkin, con oltre 120 imprenditori, uno stuolo di ministri, 39 tra deputati e senatori, leader sindacalisti vicini al PT, il Partito dei lavoratori di Lula, oltre ai vertici delle principali associazioni verde-oro.

Disoccupazione e inflazione in crescita in Brasile

L’obiettivo, oltre a quello già dichiarato di coinvolgere i cinesi nel “piano di pace” brasiliano per far finire al più presto la guerra tra Russia ed Ucraina, a detta dei media Valor Economico e Gazeta do Povo, era soprattutto quello di firmare la “Belt & Road Initiative”, la Via della Seta cinese con cui Pechino si è già comprata mezza argentina e aprire a Huawei le porte del 6G verde-oro. Invece tutto è saltato, ufficialmente per una “lieve polmonite” che, comunque, venerdì non aveva impedito a Lula di tenere una riunione straordinaria del suo Consiglio dei ministri, visto che, riposizionamento estero a parte, sul fronte interno le cose per il suo esecutivo non potrebbero andare peggio e, della famosa “luna di miele” dei primi 100 giorni di governo, che si celebreranno il 10 aprile prossimo, questa volta non c’è traccia.

La disoccupazione e l’inflazione, infatti, sono tornate a salire ma, soprattutto, a non funzionare sembra essere la maggior virtù che tradizionalmente Lula ha sempre avuto con il Parlamento, ovvero la sua capacità incredibile di negoziare. Nonostante la sua coalizione allargata comprenda una decina di partiti, infatti, al momento nessuna delle 13 “misure provvisorie” di Lula sono state approvate. Si tratta di atti personali del Presidente della Repubblica, con forza di legge, redatti senza la partecipazione del Potere Legislativo ma che entro 60 giorni, prorogabili per altri due mesi, devono essere sottoposti al Parlamento.

Le misure di Lula bloccate in Parlamento

Ora i primi due mesi scadranno ad aprile e, se Lula non riuscirà ad uscire dall’impasse in Parlamento, rischiano di crollare fragorosamente alcuni dei pilastri della sua campagna elettorale, come il programma Bolsa Família, il sussidio per i poveri che si chiamava Auxílio Brasil sino a fine 2022, di 600 reais (110 euro) con un addizionale per nuclei con persone a carico e gestanti. In ballo anche il programma Mais Médicos, che vuole richiamare i medici cubani in condizione di semi schiavitù in Brasile, e Minha Casa, Minha Vida, il progetto di case popolari che con l’ex presidente Jair Bolsonaro si chiamava Casa Verde Amarela.

L’elenco delle “misure provvisorie” in scadenza include anche il sussidio integrativo per Auxílio Brasil e Auxílio Gás, la riduzione delle aliquote sui carburanti, il trasferimento dalla Banca Centrale, che è autonoma, al Ministero delle Finanze controllato dal governo del Consiglio per il Controllo delle Attività Finanziarie, il COAF, che si occupa di prevenire e contrastare la corruzione ed è responsabile della ricezione e dell’analisi delle informazioni sulle transazioni finanziarie considerate collegate al riciclaggio. Altra molto importante è quella che potrebbe trasferire il potere dalle agenzie di regolamentazione a consigli esterni, legati anche qui ai ministeri controllati dal governo. Il rischio è che siano di fatto svuotate agenzie oggi indipendenti e tecniche come l’Anvisa, l’agenzia di sorveglianza sanitaria, l’Aneel, (energia elettrica), l’ANP (petrolio), l’ANS (agenzia sanitaria integrativa), l’ANA (acqua e servizi igienico-sanitari di base), l’Ancine (cinema), l’ANAC (aviazione civile) e l’ANM (miniere).

Lula e il “caso Moro”

Oltre alle difficoltà con il Parlamento, con il presidente del Senato, Rodrigo Pacheco, vicino a Lula in guerra con quello della Camera, Arthur Lira, Lula è nell’occhio del ciclone anche per un’altra questione, ovvero un’operazione della Polizia Federale che, mercoledì scorso, ha sventato un tentativo del Primo Comando della Capitale (PCC), oggi il principale gruppo criminale del Sudamerica, leader in Brasile del narcotraffico, di uccidere l’ex giudice della Lava Jato, la Mani Pulite verde-oro, Sergio Moro, oggi senatore. Non bastasse, il principale sospetto di pianificare l’attacco, attualmente latitante, il 43enne Patric Uelinton Salomão, noto ai più con il suo alias, Forjado, a capo del commando e membro della “linea finale” del PCC e, come tale, subordinato solo ai vertici della fazione, ovvero a Marcos Willians Herbas Camacho, detto Marcola, ha lo stesso avvocato difensore di uno dei figli di Lula, Fábio Luis Lula da Silva, detto Lulinha.

Lua: «Tutta una montatura»

Il primogenito del presidente era stato accusato dalla Lava Jato di aver ricevuto più di 132 milioni di reais tra 2004 e 2016, circa 40 milioni di euro al cambio medio dell’epoca, dal gruppo Oi/Telemar, attraverso la società Gamecorp ma il suo caso è stato archiviato lo scorso anno, grazie al suo avvocato Fabio Tofic. Lo stesso avvocato che, lo scorso anno, era riuscito a fare uscire dal carcere Forjado, trasferito nel penitenziario federale di Brasilia nel 2019 insieme a Marcola.

Coincidenze scomode aggravate dalle dichiarazioni di Lula, giovedì scorso. «Penso che sia tutto una montatura di Moro. Voglio essere cauto, non voglio attaccare nessuno senza prove, voglio scoprire cosa è successo, ma si vede che è una montatura di Moro», ha commentato Lula con una risata riferendosi all’Operazione Sequaz deflagrata il giorno prima dopo mesi di indagini che hanno scoperto il piano del gruppo criminale più importante del Brasile, il PCC, per rapire alcune autorità, tra cui Moro e la sua famiglia, con l’obiettivo di negoziare il rilascio del loro leader Marcola insieme ad altri membri dell’organizzazione.

Il fronte interno traballante e i dubbi di Washington

Lula non solo ha attaccato Moro, ma anche la giudice Gabriela Hardt, responsabile della firma dei nove mandati di arresto dei responsabili del complotto di omicidio scoperto dall’Operazione Sequaz. Il presidente l’ha accusata di aiutare Moro. La Hardt ha reagito archiviando l’indagine e rendendo pubbliche le conversazioni whatsapp dei criminali. L’Associazione Nazionale dei Commissari della Polizia Federale e quella dei Giudici Federali del Brasile hanno criticato le parole di Lula, ribadendo che le indagini sono state «condotti con la massima cautela» e che «le azioni dei giudici sono importanti per una lotta efficace contro il crimine organizzato».

Ironicamente, il giorno prima dell’annuncio dell’operazione da parte del ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza di Lula, Flavio Dino, il presidente aveva dichiarato in un’intervista al sito web del PT, Brasil 247 che, quando era nella prigione di Curitiba, ripeteva ai visitatori che gli chiedevano come stava una cosa sola: «Sarò bene solo quando riuscirò a inc… Moro». Se al traballante fronte interno aggiungiamo che di certo Washington non fosse felice della sua idea di aderire alla Via della Seta e di farsi fare il 6G da Huawei, mai “polmonite lieve” fu più opportuna e del viaggio in Cina se ne riparlerà tra un mese. Forse.

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