Luigi Bobba (Pd): «I miei voti alla riforma del Lavoro»

Il vicepresidente della commissione Lavoro della Camera e la riforma. Sulle polemiche intorno all'articolo 18 dice: «Il Pd sarà unito sul modello tedesco. Di Pietro, con il "Vietnam parlamentare" fa populismo, ma così rischia di lasciare il paese con un pugno di mosche in mano»

Luigi Bobba (deputato del Pd) è vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, che sarà tenuta ad esaminare per prima il testo della riforma del Lavoro appena varata dal Governo. A tempi.it dà una sua pagella sulla riforma. A cui attribuisce anzitutto il merito di aver affrontato «il tema degli ammortizzatori sociali e della dualità tra lavoratori garantiti e non, oltre alla flessibilità in uscita (articolo 18)». E sulle spaccature intorno al contestato articolo: «Nel Pd prevarrà la linea comune per un modello tedesco».

Onorevole Bobba, che voto dà alle misure per contrastare l’abuso di contratti atipici?
Riconosco un merito generale alla riforma. È dal ’96, con la commissione Onofri isitutita da Prodi e le proposte presentate in materia, che non si interveniva sul divario delle tutele per i lavoratori. Questo, al Governo, va riconosciuto come merito. Sui contratti atipici sono stato uno dei primi firmatari della proposta di legge, circa un anno fa, per il contratto prevalente ed unico, mutuato sulla proposta di Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Ora viene sostituito dall’apprendistato che, di per sé, non è una cosa diversa. Il problema è che non sono state cancellate le altre forme di contratto atipico: però è anche vero che sono stati previsti disincentivi per i contratti precari, e le aziende dovrebbero orientarsi di più sull’apprendistato, visto che il lavoro flessibile giustamente costa di più. Al capitolo contratti darei un 7, perché le forme di scoraggiamento delle finte partite Iva, come quelle dei finti co.co.pro, le trovo soluzioni rilevanti. Adesso bisogna valutare come reagiranno le aziende. Il rischio è che potrebbero scaricare i maggiori contributi sui contratti.

Un voto per l’assicurazione per l’impiego, l’Aspi.
Sei e mezzo. Per l’Aspi la difficoltà era di riordinare un sistema “incriccato” tra cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga e sussidi di disoccupazione. Penso sia necessaria la gradualità per cambiare il sistema. Certamente la copertura dell’Aspi, pur partendo dal principio che fosse universale, nella realtà potrebbe escludere alcune forme di contratto, visto il vincolo delle 52 settimane contributive minime. Ma è anche vero che gli altri atipici sarebbero coperti grazie all’introduzione della mini Aspi (13 settimane contributive in un anno minime, e un sussidio del 70 per cento della retribuzione, ndr). Inoltre, se l’apprendistato diventasse la forma prevalente si potrebbero vedere ulteriori giovani “coperti”. Bisognerà quindi attendere la realizzazione incrociata di questi due nodi. C’è un secondo punto da mettere a fuoco. Di fatto con l’Aspi ci troviamo a dover coprire quei lavoratori che con l’allungamento dei tempi di pensione non verrebbero più coperti dalla mobilità. Dopo gli interventi sulle pensioni, infatti, ci sarebbero già 350 mila “esodati”, e gli attuali strumenti ne coprono meno della metà. Il Governo ha individuato un fondo si solidarietà: basterà?

Veniamo al punto dolente, la riforma dell’articolo 18.
Darei un’insufficienza, perché nel momento in cui il Governo dice di voler sostenere il modello tedesco non lo si può poi “fare a fette”. Occorrevano due cose, in questa riforma, che non ci sono. Da un lato, per gli ingiusti licenziamenti di carattere economico il giudice non ha la possibilità di reintegrare il dipendente. Dall’altro, non si fa nemmeno come in Germania, dove le cause sono risolte da un organismo bilaterale, che scioglie le questioni oggettive prima di arrivare davanti al giudice. Si rischia di indebolire il lavoratore e si lascia al giudice di valutare se la causa abbia un carattere economico oggettivo, rischiando di intasare i tribunali.

Non è che sull’articolo 18 il Pd, “pubblicamente”, non vuole discostarsi troppo dalla Cgil, mentre “in privato” incrocia le dita per questa riforma?
Mi pare che al di là delle diverse sensibilità c’è una convergenza nel mio partito sull’adozione del modello tedesco. Sarà questa la linea, non drammatizzerei oltre. La questione non è l’articolo 18, ma creare nuovi posti di lavoro. Con la riforma si ridistribuiscono equamente le protezioni e il fatto che ci si metta mano è positivo: ma insieme bisogna mettere in campo anche le politiche attive del lavoro, per generare nuova occupazione. E lo Stato deve pagare quei 70 miliardi di debiti che ha con le Pmi o rischia di strozzarle. Se mancano queste cose, avremo regole meno diseguali, ma meno posti di lavoro.

Ma la Cgil…
La Cgil fa il suo mestiere, noi del Pd il nostro. Abbiamo sempre auspicato l’intesa con le parti sociali, ma il Governo non deve certo fermarsi. Semplicemente bisogna chiedersi se l’Italia può ripartire in un clima acceso di scontro. Sinceramente mi è parso che il governo abbia accelerato troppo sui tempi.

E in Di Pietro che annuncia il «Vietnam parlamentare»?
Di Pietro fa tanti annunci e chiacchiere. Non sarà questione di Vietnam, ma solo di normali discussioni. È solo un altro modo per creare le condizioni per crescere e i populismi alla Di Pietro rischiano di lasciarci con un pugno di mosche in mano.

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