Lo Sri Lanka è «collassato». E la Cina ha le sue responsabilità

La crisi economica è inarrestabile: mancano i fondi per pagare i creditori e i beni di prima necessità. Pechino blocca le trattative con il Fondo monetario internazionale per strangolare il paese asiatico

L’economia dello Sri Lanka è «collassata», nell’isola a sud dell’India mancano tutti i beni di prima necessità, le due principali autorità politiche – presidente e premier – sono dimissionarie e la popolazione prende d’assalto i palazzi del potere. E la Cina, anche se fa di tutto per negare qualsivoglia responsabilità, c’entra eccome.

Lo Sri Lanka è senza soldi e senza presidente

Nel fine settimana centinaia di manifestati, infuriati, hanno assaltato le residenze ufficiali del primo ministro Ranil Wickremesinghe e del presidente Gotabaya Rajapaksa. Il primo si è dimesso lunedì per placare la folla, il secondo ha promesso che lo farà oggi (dopo che ieri è stato bloccato in aeroporto nel tentativo di fuggire). La gente ha fatto il bagno nella piscina presidenziale, dopo aver usato cucina e palestra della massima autorità statale.

La protesta e le immagini pittoresche hanno ovviamente fatto il giro del mondo, ma sono soltanto la punta dell’iceberg. Lo Sri Lanka infatti è nei guai da molti mesi, incapace di ripagare i debiti contratti con paesi e investitori stranieri. Già a gennaio, dopo aver pagato i primi 4,5 miliardi di dollari su un bond in scadenza, il presidente dichiarò in un discorso al Parlamento che le risorse erano finite, invitando i creditori a ristrutturare il debito o a dilazionare i pagamenti.

«La nostra economia è collassata»

Il 22 giugno il premier Wickremesinghe ha annunciato in Parlamento che «la nostra economia è totalmente collassata», senza spiegare che cosa sarebbe successo nelle settimane seguenti. Ma immaginarselo non era difficile: poiché l’isola di 22 milioni di abitanti importa tutto ciò di cui ha bisogno – cibo, benzina, medicine, latte, gas per uso domestico, carta igienica – era chiaro che questi beni sarebbero venuti a mancare.

Il governo dello Sri Lanka deve restituire 51 miliardi di dollari, 7 miliardi quest’anno e 25 miliardi entro il 2026, e non è in grado né di pagare gli interessi né il capitale preso a prestito. La principale fonte di reddito e di valuta estera dell’isola è il turismo, annientato da oltre due anni di pandemia e seriamente danneggiato dagli attentati terroristici di Pasqua del 2019, nei quali morirono oltre 260 persone.

Secondo il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite nove famiglie su dieci saltano i pasti per la mancanza di cibo, il cui prezzo è schizzato verso l’alto a seguito di un rialzo dell’inflazione del 57%, e tre milioni su 22 ricevono già aiuti umanitari d’emergenza.

La dinastia Rajapaksa corrotta e incapace

Debito colossale e turismo azzerato a parte, i politici dello Sri Lanka, la cui corruzione è leggendaria, hanno fatto il resto. Il paese è infatti governato dalla dinastia dei Rajapaksa: oltre al presidente, fino a pochi mesi fa il ruolo di premier era occupato dal fratello Mahinda Rajapaksa, costretto a lasciare il posto a Wickremesinghe a maggio a causa delle proteste popolari. Altri cinque fratelli hanno tutti avuto importanti ruoli politici o amministrativi.

Nonostante la crisi economica, per calmare la popolazione l’allora premier Rajapaksa varò il più grande taglio delle tasse della storia dello Sri Lanka, spingendo le agenzie di rating ad aumentare i tassi di rendimento sui titoli di Stato. Nell’aprile dell’anno scorso, Rajapaksa mise inoltre al bando le importazioni di fertilizzanti chimici puntando tutto sul biologico e cogliendo di sorpresa gli agricoltori. Il presidente non si preoccupò di avere a disposizione sufficiente letame per concimare i campi, con risultati disastrosi, come ben spiegato su Tempi da Bjorn Lomborg: il paese ha dovuto per la prima volta importare riso per un valore di 450 milioni di dollari, le piantagioni di tè sono state devastate con perdite di 425 milioni. Di conseguenza il governo ha dovuto offrire 200 milioni di compensazioni agli agricoltori e inventarsi un piano di sussidi da 149 milioni.

La Cina approfitta del disastro

Che cosa c’entra la Cina con un simile disastro? Pechino è uno dei principali creditori di Colombo e detiene circa il 10% del suo debito, una quota non decisiva all’apparenza e uguale a quella del Giappone. La differenza è nella natura e nello scopo dei prestiti concessi dal Dragone. Il regime comunista, infatti, ha prestato allo Sri Lanka ingenti somme di denaro, senza fare troppe domande e a tassi vertiginosi, per progetti infrastrutturali privi di apparente utilità.

In particolare, i fondi della Cina sono serviti a costruire ad Hambantota, il distretto rurale meridionale dove sono nati i membri della famiglia Rajapaksa, uno stadio di cricket da 35 mila posti (oltre il triplo degli abitanti del distretto), un colossale aeroporto dove non fa scalo neanche un volo commerciale al giorno, un’autostrada di 96 chilometri per collegare la costa al resto del paese e un porto monumentale dove attraccano poche decine di navi all’anno. Per ripagare parte dei debiti, nel 2017 lo Sri Lanka ha ceduto a Pechino per 99 anni l’utilizzo del porto, che si trova in una posizione strategica per la Nuova via della seta cinese.

Tra Sri Lanka e Fmi si frappone la Cina

Ma non è bastato. Oltre a soffiare allo Sri Lanka importanti infrastrutture, la Cina ha promesso di aiutare Colombo prestando altri miliardi, e sprofondando così il paese ancora di più nella “trappola del debito”, ma si è rifiutata di condonare parte di quanto le è dovuto, come invece hanno promesso di fare altri creditori. Questa posizione potrebbe rendere difficile un’operazione di salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale, che punta in parte sulla ristrutturazione del debito, spiega l’Associated Press, ma che pretende che a tutti i creditori siano applicate le stesse condizioni. Se dunque Pechino si rifiuta di ristrutturare il debito, neanche gli altri paesi potranno farlo.

La Cina ha poi dichiarato che i colloqui tra Sri Lanka e Fmi potrebbero far cambiare idea al regime sulla concessione di un ulteriore prestito all’isola. Un vero e proprio ricatto, insomma, che mette il governo davanti a una scelta difficile. Da una parte c’è un sicuro default oggi, dall’altra un probabile default domani visto che lo Sri Lanka non può fare a meno della Cina dal punto di vista degli investimenti e dei turisti. Il problema è che «il paese non è nelle condizioni di chi può rispondere “no” a Pechino», ha dichiarato W.A. Wijewardena, ex vicegovernatore della Banca centrale del paese. Vatti a fidare della Cina.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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