Liberalize it. O della schizofrenia del nuovo che avanza

Non c’è relazione diretta fra le nuove norme sugli stupefacenti e la morte di Varani. Ma è certo che la droga fa esplodere personalità deviate. E che il messaggio “non fa male” è passato

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – È difficile arrivare fino in fondo nella lettura dei dettagli dell’omicidio di Luca Varani, anche per chi è abituato alle vicende giudiziarie più crude. A mordere le viscere non sono solo le pratiche sessuali cui i suoi assassini – e probabilmente lui stesso – erano abituati; e neanche la rassegna delle sevizie che si sono moltiplicate sul suo corpo; è piuttosto la banalizzazione di un male gratuito, inferto per noia e per vedere come si muore, accompagnato dal disappunto perché la morte non arriva così presto. È un male che non riesce ad avere spiegazione umana, ma la cui esplosione è favorita da strumenti che la follia in cui siamo immersi moltiplica e mette a disposizione in modo altrettanto gratuito.

È obiettivo che quanto accaduto fra il 3 e il 5 marzo in un appartamento alla periferia di Roma trovi nell’uso massiccio di droga una componente importante. È altrettanto obiettivo che da un paio d’anni l’approvvigionamento di stupefacenti incontra minori ostacoli, grazie a un decreto legge imposto al parlamento dal governo allora appena costituito. Sarebbe illogico stabilire una relazione di causa/effetto fra le disposizioni introdotte nel marzo 2014 e il delitto in questione. Ma è certo che personalità deviate, già propense a gesta assurde, esplodano dopo l’assunzione di droghe; è certo che questa è contrastata molto meno di prima; è certo che essa, grazie al contesto in senso lato culturale condizionato da leggi permissive, ha perso connotazioni negative e timori di punizioni.

E non ci si ferma: in Parlamento centinaia di firme accompagnano la proposta di un’autentica legalizzazione; non basta quella di fatto, già realizzata, va proclamata di diritto, in modo che il messaggio che non fa male sia sancito nel modo più esplicito. In assenza di dati ufficiali, si ha la percezione, da giornali e tg, che gli omicidi provocati nel corso di incidenti stradali causati da conducenti che usano droga siano in crescita; i dati mancano perché è raro che dopo un sinistro si tenti di capire se il responsabile fosse sotto l’influsso di stupefacenti, e perché la sciagurata riforma ha disarticolato le istituzioni che svolgevano il monitoraggio: si procede al buio.

La dinamica perversa somiglia a quella che connota un altro fronte di aggressione alla vita: le leggi e le sentenze che permettono di scegliere un figlio à la carte, di commissionarne il confezionamento a più donne, chi per la cessione dell’ovulo chi per l’affitto dell’utero, di strapparlo a entrambe. Nessuno può assicurare che in assenza di tale deriva normativa qualcuno non ci avrebbe provato, ma il conforto che proviene dalle nuove leggi, e dai media che approvano e rilanciano, moltiplica l’“uso” di essere umani per soddisfare desideri che nulla hanno a che fare con la generosità e con l’accoglienza di una nuova vita.

Andrebbe aggiornato l’insegnamento di Nigel Walker, criminologo scomparso da poco all’età di quasi cento anni, già docente a Yale di Hillary Clinton, il quale era solito ricordare che «la legislazione di una generazione diventa la morale della generazione successiva». Va aggiornato nel senso che oggi le leggi che i Parlamenti mettono a disposizione di una generazione diventano, molto prima che trascorra il tempo del ricambio generazionale, mezzi dei quali chi viene subito dopo si impossessa senza remore di ordine etico. In tanti sul fronte libertario condividono l’impegno di Obama per porre limiti alla vendita (quasi) libera di armi negli States: all’insegna del non alimentare pulsioni violente già presenti, mettendo a disposizione strumenti micidiali. La medesima logica poi non vale né per la droga né per le tecniche di manipolazione genetica: la coerenza è da tempo sfrattata da ambienti culturali e politici oggi egemoni.

«Le parole che dico non han più né forma né accento, si trasformano i suoni in un sordo lamento, mentre fra gli altri nudi io striscio verso un fuoco che illumina i fantasmi di questo osceno giuoco»: così il Cantico dei drogati, di Fabrizio De André. È l’epitaffio dell’oscenità ludica e annoiata di due fantasmi che hanno tolto la vita a un ragazzo di 23 anni. Con mezzi generosamente messi a disposizione dalla schizofrenia del nuovo che avanza.

Foto da Shutterstock

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