Leoluca Orlando, l’alfiere dell’antipolitica che ricopre incarichi pubblici da 32 anni

«This is Sparta!» è il celebre (e sbertucciatissimo) motto di 300, film di spade, scudi, cazzotti e fomento tra gli amici. «Io sono l’antipolitica» è il recente slogan coniato da Leoluca Orlando come volano della sua ennesima corsa come sindaco di Palermo. Lo stesso Orlando che, non più di qualche mese fa, proponeva «l’aramaico» come estrema ratio per spiegare ai cocciuti giornalisti che no, lui mai e poi mai si sarebbe candidato alla guida del capoluogo siciliano. I fatti sono noti. Rita Borsellino, appoggiata dal Pd romano e dall’Idv, ha perso la sua ennesima prova elettorale, consegnando la vittoria delle primarie a Fabrizio Ferrandelli, gattopardesco ex pupillo proprio di Orlando. Che Ferrandelli risulti indigesto a quattro quarti della propria coalizione è un dato di fatto, al punto che la sua campagna elettorale e quella dei Democratici stanno procedendo parallele ma separate. A voler perdere una manciata di secondi, ci si accorge che nelle prime dieci pagine della ricerca immagini di Google mai una volta il simbolo del Pd compare davanti, dietro, sopra o sotto il volto di Ferrandelli.

Ma da qui a candidarvisi contro, il passo era lungo. L’ha compiuto l’Orlando piè veloce, con la facile scusa di primarie falsate da irregolarità nel voto e di voler interpretare la volontà di tutti i palermitani. Esclusi, evidentemente, i quasi diecimila che alle primarie di coalizione apposero una X accanto al nome del prode Fabrizio. Non teme gli strali di grillini e forconi (entrambi in pista con un proprio candidato) e spergiura che la sua è la vera antipolitica. Non sete di potere, ma umile e semplice servizio nei confronti della propria città. «Da candidato sindaco prenderei solo 2.300 euro». Altro che gli emolumenti e i benefit che percepisce adesso da deputato dell’Italia dei Valori.

Il novello alfiere dell’antipolitica deve convivere con una biografia che dell’avversione agli incarichi pubblici non ha di certo fatto il proprio marchio di fabbrica. Consigliere comunale proprio a Palermo dal 1980 al 1995, fu sindaco Dc della città nel quinquennio successivo. Nel 1991 eletto all’Assemblea regionale, entrò alla Camera l’anno successivo. Una fugace esperienza, la sua prima volta a Roma. Già, perché nel 1993 tornò a fare il sindaco, incarico che ricoprì fino all’alba del nuovo millennio. Senza farsi mancare un incarico (e rispettivo emolumento) da deputato europeo dal 1994 al  1999. Dopo essere stato sconfitto nella corsa per la presidenza della Regione, dal 2001 al 2006 ha ricoperto l’incarico di deputato siciliano. Per poi approdare a Roma nel 2006 – rieletto nel 2008 – nelle fila del partito di Antonio Di Pietro. Nel frattempo, nel 2007, ci riprovò. Dove? Sempre a Palermo ovviamente.

Venne sconfitto da Diego Cammarata per una manciata di voti. Reagì come sempre, denunciando brogli. Oggi si merita un sincero in bocca al lupo per la pervicacia con cui si (ri)propone ai suoi concittadini. Ma una domanda sorge spontanea: onorevole Orlando, che c’azzecca l’antipolitica?

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