Lega, la Procura di Milano è “minimalista” e indaga solo Bossi e i figli

Dietro le indagini a carico del Senatùr e dei suoi figli: la procura di Milano avrebbe scelto una posizione più "minimalista", inviando avvisi di garanzia solo nei casi in cui non poteva farne a meno.

Ciò che è emerso oggi dietro le quinte della notizia dell’iscrizione del Senatùr Umberto Bossi e dei figli Renzo e Riccardo nel registro degli indagati, è la strategia che la procura milanese guidata da Edmondo Bruti Liberati vuole adottare. Una linea che viene definita come “minimalista”: per giorni e fino alla fine, il pool di pm che indaga sui conti della Lega (composto dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai sostituti Roberto Pellicano e Paolo Filippini) ha temporeggiato per decidere quali reati perseguire e quante persone iscrivere tra gli indagati. Il desiderio era quello di distinguersi da John Henry Woodcock, il pm napoletano che ha avviato la prima inchiesta sulla Lega, noto per le sue clamorose ma spesso inconsistenti indagini nel momento in cui arrivano in aula. Ecco dunque perché la procura di Milano ha atteso giorni prima di decidersi a comunicare gli avvisi di garanzia a The Family.

Alla fine, sembra essere prevalsa una linea che in ambito giudiziario è definita “minimalista”: i pm per il momento hanno ad esempio scelto di indagare solo Umberto, Renzo e Riccardo Bossi, oltre che all’onnindagato Belsito (che concorre nella truffa ai danni dello stato con Umberto, e nell’appropriazione indebita con Renzo e Riccardo, i figli del Senatùr che ricevevano una sorta di stipendio per le loro spese dalla Lega di circa 5 mila euro). Restano invece per il momento fuori dall’indagine Rosi Mauro e Manuela Marrone, anche se ancora non sono fuori dai giochi: si cerca infatti di capire, dai bilanci del Carroccio al vaglio degli inquirenti, se i versamenti per la scuola Bosina della Marrone e quelli al sindacato padano Sinpa di Rosi Mauro siano stati effettivamente usati per scopi politici-culturali-sindacali.

È stato invece ricostruito nel dettaglio il sistema usato da Belsito
per la gestione delle spese dei figli di Bossi: con il Senatùr si sarebbe concordato, riferiscono i pm, che Belsito, oltre alla paghetta mensile avrebbe garantito ogni altra spesa senza la necessità di avvertire il Capo quando si trattava di cifre al di sotto dei 4 mila euro. Tuttavia che Bossi sapesse, non sarebbe difficile da provare, hanno riferito i pm. È stato indagato anche il senatore Piergiorgio Stiffoni, per peculato, che avrebbe distolto una cifra rilevante non dal fondo cassa Lega, come nel caso dei Bossi, ma dal fondo per il gruppo parlamentare al Senato: l’entità di questi prelievi però è da ricostruire nel dettaglio, perché per gli inquirenti ci sarebbero ancora dei movimenti “strani” che rendono difficile quantificare quanto è stato distolto da Stiffoni.

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