Le fedi ci rendono stupidi? Contrappunto a Boncinelli e al suo libro contro il sacro

«Sono interrogativi cui uno scienziato, di regola, oppone il silenzio: su ciò che non è verificabile direttamente si deve tacere»

Articolo tratto dall’Osservatore romano – Edoardo Boncinelli, famoso genetista italiano, dichiara guerra al sacro. Il suo recente saggio intitolato Contro il sacro, perché le fedi ci rendono stupidi (Milano, Rizzoli, 2016, pagine 228, euro 18) è una sfida alle manifestazioni di entità superiori.

La “stupidità” cui lo scienziato allude è sinonimo di paura e chiusura. Paura perché impedisce di vedere il mondo come — a suo giudizio — di fatto è: senza senso, dominato da casualità, eredità genetica e influenza dell’ambiente. Chiusura perché, evolvendo dal nocciolo etimologico greco mýo (“mi chiudo”, “sono chiuso”, detto di occhi e di labbra) oppone il mistero al «discorso umano», base di quello scientifico. Dunque, chi crede nel sacro, dal punto di vista di Boncinelli, è vittima di una tendenza psicologica «regressiva», infantile, simile a quella dell’uomo primitivo che immagina divinità dietro a tuoni e fulmini. Ne discende la negazione dei valori, concetti vani e inconsistenti.

L’autore deve però misurarsi con l’assioma di Mircea Eliade, posto a sigillo dei suoi studi sulle religioni: «Il sacro è un elemento della struttura della coscienza, e non un momento della storia della coscienza». Da tradurre così: la cultura dell’umanità fin dalla preistoria si costituisce attraverso la distinzione tra lo spazio-tempo sacro e quello profano, sicché non potrebbe essere immaginata altrimenti. Infatti l’uomo non può liberarsi dalla sottile disperazione indotta dall’assurdo della sua condizione terrena, quando è priva di riferimenti. Quella stessa che tormenta Kurtz, il protagonista del conradiano Cuore di tenebra: se la natura e la vita stessa sono insensate, e nella loro ottica bene e male si rivelano parole vuote, allora ci resta soltanto l’insostenibile orrore dell’esistenza. Tema assai caro a tanti intellettuali del secolo scorso, come Samuel Beckett o Ludwig Wittgenstein. Si guarisce dall’ossessione, commenta Boncinelli, soltanto se si adotta una morale laica, universale, basata sull’imperativo categorico di Kant e sull’etica della responsabilità.

Ma nel suo ragionamento rimangono zone d’ombra. Una anzitutto: il caso che la farebbe da padrone — ammette lo scienziato — in sé non esiste, è solo l’effetto di spinte e controspinte spesso non verificabili. Ma allora, se non sono verificabili, come si può affermare con sicurezza che esse non nascondano una finalità, e magari siano legate a un qualche progetto? Onestà scientifica imporrebbe di non trascurare simili ipotesi. Tanto più che le neuroscienze cognitive ci hanno mostrato come «il nostro cervello sia prevalentemente disposto a comprendere e concepire storie con un capo e una coda, ovvero con uno svolgimento logico» afferma ancora Boncinelli. Come mai, allora, la natura ha predisposto la mente del suo prodotto più avanzato, l’uomo, in modo così clamorosamente inadeguato? Si tratta solo del caso — per dirla all’opposto di Einstein — che gioca a dadi con noi? O magari un cattivo demiurgo alla Cioran si diverte a farci soffrire?

Sono interrogativi cui uno scienziato, di regola, oppone il silenzio: su ciò che non è verificabile direttamente si deve tacere. Già, ma nel frattempo alle donne e agli uomini tocca vivere. E, anche dopo aver chiuso il libro di Boncinelli, l’ombra del sacro non ci lascia. Ideale o efferato, esso abita le nostre istanze più profonde; inesauribile, si propone ogni volta come antidoto all’angoscia paralizzante della morte.

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