La tirannia senza volto del “non partito” del “non statuto”

La legge sulla democrazia nei partiti, il problema dei rimborsi e la doppia morale sui sindaci coinvolti in scandali giudiziari. Tre grane per il M5S di Beppe Grillo

Il Movimento Cinque Stelle ha sempre giocato sulla retorica del “non-partito”. Una strategia che ha dato, più in passato che oggi, i suoi frutti nelle urne. Apparire come “qualcosa di nuovo”, di diverso rispetto ai riti dei partiti classici (Pci-Pds-Pd) o dei partiti carismatici (Forza Italia – Lega) ha sempre aiutato il movimento di Beppe Grillo a raccogliere i voti di chi, stanco delle polverose procedure congressuali o delle mattane o intuizioni del leader, sperava in un nuovo modello di rappresentanza civile. Le parole d’ordine le conoscete: uno vale uno, il non statuto, la democrazia diretta e via web.
Al dunque, però, tale sistema s’è dimostrato più illiberale e antidemocratico del male che voleva sconfiggere, risolvendosi in una sorta di tirannia senza volto. Recenti casi di cronaca illustrano la nostra sensazione.

RIMBORSI E “NON STATUTO”. Ieri, in commissione Affari Costituzionali alla Camera, il deputato pentastellato Danilo Toninelli ha presentato un emendamento al testo di una legge proposta dal Pd. Essa riguarda la riforma dei partiti e li obbliga a certi vincoli di trasparenza finanziaria e a meccanismi di democrazia interna, pena la sospensione dei finanziamenti pubblici. Per il M5S questa è una grana perché, se accettano il criterio della democrazia interna, devono anche slegarsi dal blog di Grillo. Se non lo fanno, perdono i fondi pubblici.
Così i grillini hanno proposto di emendare il riferimento alla democrazia interna, spiegando che il loro non è un partito ma un movimento e che a fare da garanzia alla loro “democraticità” c’è la Costituzione. La cosa non sta in piedi, come ha fatto notare ieri sul Corriere della Sera Antonio Polito, con un solo illuminante esempio: i grillini obbligano i loro eletti al vincolo di mandato, regola espressamente vietata dalla Costituzione.

FINANZIAMENTI. L’emendamento è stato bocciato e i pentastellati se ne sono lamentati. Ma perché? Nessuno li vuole obbligare ad avere le stesse regole dei partiti (è persino stato accettato che abbiano un “non statuto”), ma nessuno può permettere che non abbiano alcuna regola. In verità, la battaglia ne nasconde un’altra e riguarda i finanziamenti elettorali. Come è noto, i grillini si sono sempre vantati di “restituirli”, ma il problema è che, non avendo i requisiti per ottenerli, non potrebbero nemmeno incassarli. Se finora, non essendo chiaro come comportarsi con un movimento senza regole scritte, i grillini hanno potuto giocare sull’ambiguità delle norme e mettersi in posa davanti a grandi assegni sullo sfondo di Piazza Monte Citorio, da domani, se passa la legge, non potranno più farlo.

IL CASO PARMA. Ieri sulla Stampa, Jacopo Iacoboni – giornalista specializzato in retroscena sul mondo grillino – ha raccontato che il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, sta preparando un dossier contro il direttorio grillino che l’ha sostanzialmente espulso dal movimento con una email anonima. Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere nel vedere queste liti da pollaio in cui si rivendicano espulsioni in base a “non regole” di un “non statuto”. L’assurdità sta poi nel cortocircuito con la presunta e totale trasparenza con cui si rivendica di aver ragione. Si mette on line tutto, si pubblica tutto – dagli sms ai messaggi whatsapp – con l’unico effetto distorcente che non si capisca come si possa determinare chi ha ragione. È l’effetto collaterale di non avere regole, si potrebbe ironicamente notare.

ESPULSO? DIPENDE. In verità l’unica regola vera del M5S è che decide tutto Grillo (o il fantomatico server gestito da Davide Casaleggio, se preferite). Altro che “uno vale uno”, qui siamo alla tirannia senza volto d’orwelliana memoria. Quindi “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”, come s’è visto nei casi giudiziari che hanno coinvolto i sindaci pentastellati.
Ieri il Foglio, ad esempio, notava che non c’è solo la doppia morale del M5S che espelle Pizzarotti per un banale abuso d’ufficio, ma non tratta alla stessa maniera il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, indagato per bancarotta fraudolenta. Esiste un caso, quello del sindaco grillino di Mira, Alvise Maniero, già rinviato a giudizio da quasi due anni. Eppure nessuno del movimento gli ha mai detto nulla. Ci sarà un baco nel server di Casaleggio.

Foto Ansa

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