La protesta dei trattori e la crisi della rappresentanza

Chi ha organizzato le manifestazioni di rimostranza non si riconosce nelle organizzazioni tradizionali. Questo è un bene? Io credo di noi, per almeno due ragioni

Un trattore del movimento “Riscatto Agricolo” a Roma, 9 febbraio 2024 (Ansa)

Le proteste degli agricoltori, che con i loro trattori hanno organizzato manifestazioni e blocchi del traffico in tutta Europa, debbono interrogare chiunque abbia cuore le ragioni di una società ordinata e concorde. Certamente dietro la protesta c’è una situazione critica che riguarda le condizioni dell’agricoltura in Europa, i limiti della politica comunitaria, le oggettive difficoltà di una catena distributiva che erode il valore, lasciando ai produttori poco o nulla.

Su questo ci sarebbe molto da dire, ma vorrei provare a fornire un giudizio su un altro aspetto che viene adombrato dalle cronache di questi giorni ma che, a mio avviso, è ancor più importante. Si tratta della crisi della rappresentanza. Queste modalità, sempre più frequenti, in cui le organizzazioni di base tendono a bypassare le organizzazioni tradizionali, rappresentano un tema che pone al centro non solo il vulnus della rappresentanza ma anche quello relativo alle dinamiche della democrazia, palesandone la sua crisi.

Le nuove sigle

Quella che vediamo in questi giorni non è la protesta delle organizzazioni tradizionali come Confagricoltura, Coldiretti, Cia, le cooperative agricole che formalmente possono contare su milioni di aderenti. I soggetti in campo in questi giorni rispondono a nomi che sino a poche settimane fa non conoscevamo: “Riscatto Agricolo”, “Comitato degli agricoltori traditi”, “Ancora Italia” etc.

Tra i loro leader vi sono esponenti che, in passato, si erano già distinti per forme di protesta caotiche e tendenzialmente anarchiche. Per fare un esempio, Danilo Calvani, leader del “Comitato degli agricoltori traditi” era già stato uno dei leader del movimento dei forconi, così come altri esponenti oggi in evidenza, sono stati protagonisti dei movimenti di protesta di gruppi di sinistra e di destra. Non è difficile accostare queste forme “spontanee” che si stanno propagando in tutta Europa, con l’azione di quelli che furono chiamati in Francia i “Gilet gialli” o con altre forme di protesta antisistema.

Cosa sta dunque accadendo? Sul banco degli imputati non ci sono solo le Istituzioni europee, il governo nazionale, il ministro Lollobrigida, le Istituzioni territoriali (anche sotto il Pirellone hanno manifestato i trattori degli agricoltori), ma anche le realtà associative che per decenni sono state capaci di indirizzare le istanze, gli interessi, ma anche la protesta del mondo agricolo, dentro canali di rappresentanza istituzionale.

La domanda è ancora più interessante se allarghiamo l’orizzonte. Modalità analoghe vengono utilizzate anche a Malpensa dove la protesta ad oltranza è “gestita” dai sindacati di base che si contrappongono a Cgil, Cisl e Uil ma anche a soggetti come l’Ugl, classicamente di destra. Sono soggetti quindi difficili da collocare anche politicamente. È saltata nelle azioni della contestazione la distinzione tra destra e sinistra. Ciò che unisce questi fenomeni è la crisi della rappresentanza governata nelle forme tradizionali.

Cento teste, cento posizioni

Tutto questo è un bene? Io credo di no.

Per due ragioni.

La prima è che queste forme spontanee tendono a trascendere nei toni e nei contenuti polarizzandosi sulle forme più radicali, un po’ come sta accadendo in politica dove gli spazi di confronto tendono a restringersi, acuendo le posizioni più estreme.

La seconda è che questi fenomeni pongono in chiaro che per rappresentare gli interessi nella loro complessità occorre sempre un soggetto capace di fare sintesi. Il paradigma “cento teste, cento posizioni” rappresenta l’antitesi della rappresentanza. Senza sintesi non c’è rappresentanza. Quando non si riesce a trovare un canale istituzionale capace di incanalare la protesta all’interno delle regole democratiche, l’unico spazio che rimane è quello dell’urlo scomposto, della polarizzazione su schemi radicali, della schizofrenia movimentista.

Su questo dobbiamo riflettere e al contempo, da uomini delle Istituzioni, abbiamo l’obbligo di sostenere chi sta lavorando per far rientrare la protesta all’interno delle modalità democratiche. L’evanescenza della rappresentanza è un male che riguarda l’intero Paese.

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