La parabolina della felicità secondo l’agenda Onu

Il World Happiness Report 2021 premia anche nell'anno del Covid i paesi del Nord, Finlandia in testa. Propinandoci la solita minestra su fiducia, uguaglianza, sostenibilità

Oggi, 20 marzo, è la Giornata mondiale della felicità e prevedibile come il fervorino sui cambiamenti climatici (che infatti c’è stato), il World Happiness Report 2021 redatto in piena pandemia vede per il quarto anno consecutivo la Finlandia al primo posto della lista dei paesi più felici al mondo, seguita da Islanda, Danimarca, Svizzera e Paesi Bassi, Svezia, Germania e Norvegia.

Nulla di nuovo: sono anni che il Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite realizza un sondaggio per promuovere quale “felicità” quella percepita nei paradisi dell’eguaglianza e della sostenibilità in cui la gente si rimpinza di antidepressivi, le percentuali dei suicidi risultano doppie rispetto ai paesi in crisi decennale, si registrano più violenze sessuali (la Finlandia è maglia nera in Europa) e prosperano le famiglie “unipersonali”, leggi single che vivono da soli.

I paesi del Nord, felici nonostante Covid

Anni che sulla base delle autovalutazioni, recuperate dal Gallup World Poll per il rapporto, gli intervistati si sentono rivolgere domande tipo “ieri hai sorriso molto?”, ma anche “quanto ti senti libero da 1 a 10?”, “quanta corruzione percepisci nel tuo paese da 1 a 10?” e che alla fine – indagato il peso che questioni relative al Pil pro capite, aspettativa di vita, supporto sociale, fiducia, generosità eccetera hanno nella vita delle persone – si mixano le risposte e si tirano le somme. Per capirci, anche in questo report resta ai piedi della classifica l’Afghanistan, più infelice di Zimbabwe, Ruanda e Botswana. L’Italia, su 149 paesi, conquista un 25esimo posto, più infelice di Taiwan, Croazia e Arabia Saudita.

Tuttavia quest’anno, l’anno degli oltre 2 milioni di morti della pandemia, i ricercatori hanno preferito concentrarsi sulla “relazione tra benessere e Covid-19”, scoprendo che la top ten della classifica non mutava significativamente: i paesi più felici del 2019 lo sono stati anche nel 2020.

Il fattore fiducia e il portafoglio smarrito

Questione del fattore “fiducia”: lo spiega così il report, fiducia consolidata nelle istituzioni e nel prossimo che ha avuto un ruolo nella “protezione” dal virus, da qui il primato dei paesi del Nord dai robusti sistemi sanitari, dai governi efficienti e minori disparità sociali. Bene anche i paesi dell’Asia orientale e del Pacifico, quelli che avevano fatto tesoro di epidemie come la Sars, bene anche «i paesi con leader donne». Inoltre «presentiamo nuove prove sul potere della benevolenza attesa, misurata dalla misura in cui le persone pensano che i loro portafogli smarriti verrebbero restituiti se trovati da vicini, estranei o dalla polizia».

Alla fine, pur con le dovute differenze, tirate le somme «sorprendentemente non abbiamo rilevato un declino nel benessere generale, misurato sulla base della valutazione soggettiva delle persone e delle proprie vite», ha spiegato John Helliwell, docente dell’Università della British Columbia, tra gli autori del rapporto, «una possibile spiegazione è che la gente vede il Covid-19 come una minaccia comune ed esterna che colpisce tutti e questo ha generato un maggior senso di solidarietà ed empatia». E questo è il rapporto 2021. Poi c’è la presentazione del rapporto 2021.

«Il Covid ci ha dato una lezione sulla sostenibilità»

«Dobbiamo urgentemente imparare la lezione che ci ha dato il Covid»: lo ha detto Jeffrey Sachs, co-editore del World Happiness Report 2021 e direttore del Centro per lo sviluppo sostenibile della Columbia University. «La pandemia ci ricorda tutte le minacce globali ambientali che ci affliggono» e «il World Happiness Report 2021 ci ricorda che dobbiamo lavorare per il benessere piuttosto che per la mera ricchezza, che sarà davvero precaria se non miglioriamo il nostro modo di gestire la sfida dello sviluppo sostenibile». Gli ha fatto eco Andrea Illy, presidente di illycaffè e della Fondazione Ernesto Illy, partner della pubblicazione: «Riteniamo la felicità un prerequisito per qualsiasi transizione verso una società più sostenibile», «una responsabilità importante in un momento come questo, in cui il mondo intero si trova a combattere contro la pandemia, conseguenza globale tangibile del cambio climatico».

L’Agenda 2030 per l‘eudaimonia

Che c’entri il cambiamento climatico con la felicità lo spiega lo studio pubblicato su Nature co-firmato dallo stesso Sachs con Jan-Emmanuel De Neve, professore associato di economia presso la Saïd Business School e Direttore del Wellbeing Research Centre di Oxford. In sostanza per la ricerca lo sviluppo sostenibile rende le persone più felici e il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 incide sul benessere di ciascuno: «L’obiettivo finale della politica è il benessere, che gli antichi greci chiamavano eudaimonia – ha commentato Sachs -. Il nostro studio suggerisce che lo sviluppo sostenibile non è solo correlato al benessere, ma apparentemente a rendimenti marginali crescenti. Ciò è in contrasto con il reddito, che contribuisce al benessere con rendimenti marginali decrescenti».

Dall’etica secolare al clima

Qualche edizione fa Sachs e gli altri autori del World Happiness Report si preoccupavano di “Promuovere un’etica secolare”. Il principio è sempre lo stesso, preoccupandoci della felicità altrui e delle generazioni a venire realizziamo anche la nostra. Allora perché i paesi al momento più virtuosi e all’avanguardia annegano in antidepressivi, tassi di criminalità giovanile, separazioni, divorzi, disagio psicologico, nelle cliniche per la morte assistita o per l’autofecondazione artificiale? E che c’entra l’allusione a un capitalismo vorace con uno sciame virale partito da un mercato di Whuan e l’infelicità assoluta dell’Afghanistan?

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