La nostra reazione bellissima e sconfortante all’attentato di Manchester

#onelovemanchester. C’è qualcosa di anestetico, di rassegnato nel nostro modo di reagire, o troppa calma o forsennata paura

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Che cosa ci succede nell’animo dopo Manchester e Londra, dopo tutto quel che irrompe, dopo Nizza, dopo Berlino e naturalmente dopo l’anno nero di Parigi? Qualcosa succede, è inevitabile. La mappa delle città europee è la nostra mappa del cuore. L’Italia per adesso è risparmiata, ed è una vecchia storia la nostra (relativa) impermeabilità alle correnti truculente della storia moderna della violenza, tipo dirottamenti e attentati di matrice mediorientale, abbiamo fatto molto per tenerci al sicuro e insieme siamo terra di nessuno, oppure abbiamo fatto così poco che dobbiamo temere poco, ma senza stupidi sensi di impunità. Per come siamo fatti, per come ci dislochiamo, per come altri prende di petto la faccenda e si mette in prima linea, in qualche modo, ma non si sa fino a quando, possiamo sentirci rassicurati, un crocevia in apparenza lontano dalla linea del fronte. Però Londra, Manchester, Parigi, Berlino e Nizza sono roba di casa per la gioventù europea dell’Erasmus, quel che succede ha il segno del luogo d’abitudine e una presenza anche sentimentale fortissima.

Trovo insieme bellissimo e sconfortante che la reazione si concentri nel replay musicale, #onelovemanchester eccetera, con le arene di nuovo riempite e sognanti tra nuvole o bolle di marijuana. C’è qualcosa di coatto, di anestetico, di rassegnato e balordo nel nostro modo di reagire, o troppa calma o testa calda e forsennata paura. A vederla cupamente è come se i tifosi della sgangherata e tragica fuga di Torino chiedessero una nuova partita da festeggiare in piazza San Carlo. Serietà vorrebbe, come ha scritto giustamente Paolo Mieli, che ci venissero risparmiate le frasi a effetto, di circostanza. Non è vero che siamo tutti Charlie, non è vero che abbiamo tutti una dissacrante matita in mano per rifare le vignette che i fucilati di Parigi non rifaranno più, non è vero che Ariana Grande è grande perché piange e canta, e quasi nulla del dopo ha senso alla luce del prima, in particolare gli “ora basta” di Theresa May o le provocazioni grottesche di Trump contro il sindaco di Londra.

Qualcosa di stordente
A parte considerazioni politiche note, e l’invocazione di una strategia di intervento militare, economica e tecnologica, capace di affrontare il male alla sua radice, non in difesa ma in attacco, e mi rendo conto che sono cose che a ripeterle stancano, si consumano e logorano, non saprei che altra via prendere io stesso. Ma sento che offrire parole e musica in abbondanza a gente che uccide ogni senso di armonia o anche di dissonanza musicale, a gente che vive mentalmente oltre i confini dell’amore che noi promettiamo in cambio dell’odio, non è la risposta giusta, non risolve alcun problema, crea le premesse di una rassicurazione imperfetta, con un fondo torbido, morboso, che dovremmo riscattare con comportamenti diversi. La difesa del diritto all’evento, di fronte a eventi di tanto superiori con botti, sgozzamenti e travolgimenti, in attesa che imparino a usare i droni per scopi terroristici, ha qualcosa di stordente, ci allontana dall’intelligenza e dalla prudenza.

Chiudere le frontiere è una ovvia cretinata. Non risolve il problema decisivo, perché al novanta per cento questi casi di partito armato jihadista maturano dentro un’ondata che non è immigrazionista ma di insediamento, che ha già le sue robuste affiliazioni nelle periferie urbane e nella madrassa universale tollerata dal dialogo tra le religioni, un dogma intoccabile.

Sulla linea del subire
Anche la speranza che una competizione sul terreno della cultura, dell’istruzione, dell’educazione collettiva sortisca risultati a breve e medio termine mi sembra evanescente. Né d’altra parte ci troviamo di fronte a un caso in cui la coscrizione obbligatoria restaurata o la formazione di brigate internazionali per combattere l’odio e i suoi portatori avrebbero un seguito e un significato profondi.
Siamo sulla linea del subire, del prendere tempo, dell’interrogarsi laicamente e liberalmente mentre altri rispondono in nome del loro Dio, che è potenza di fuoco e splendore di tenebra, perché il risveglio della spiritualità politica islamica non è uno scherzo, non è una cosa criminale o anche solo terroristica – è tanto che ce lo diciamo di fronte a testimonianze inoppugnabili – è qualcosa che chiama in causa il nostro essere, qualcosa di più del nostro modo di vita e del nostro amore per la musica, chiama in causa il nostro non sapere più dirci cristiani, forse.

@ferrarailgrasso

Foto Ansa

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