La lezione della Sicilia: «La politica riparta dal basso»

Giuseppe Di Fazio, giornalista de La Sicilia, rilegge i dati del voto alle regionali: «C'è sfiducia nella politica. Se non c'è stata la rivoluzione lo si deve ad una rete sociale. È da lì che bisogna ripartire»

«Oggi che il giocattolo s’è rotto, sarebbe un gioco puerile riproporre lo stesso film con nuovi attori»: lo scrive Giuseppe Di Fazio, caporedattore del quotidiano La Sicilia, a conclusione di una lunga analisi sulle pagine locali delle vicende politiche siciliane e non solo. Si potrebbe davvero sintetizzare così la grande lezione impartita alla politica italiana dalle elezioni siciliane, e da quello che poi è seguito (a cominciare dallo scandalo che ha coinvolto Antonio Di Pietro, e travolto il “manipulitismo” su cui si fonda il suo partito. Il giocattolo rotto a cui si riferisce Di Fazio): una lezione dove la prima cosa che si osserva, però, è la dimenticanza storica dei partiti, che non ricordano ormai più nemmeno le proprie stesse origini.

Perché? Cosa dice il primo grande dato, l’astensionismo elevato, delle regionali siciliane?
L’astensionismo di oggi ha un aspetto di rifiuto di una politica ritenuta lontana dai problemi della gente e soprattutto il rifiuto di partiti lontani della gente. Eppure i partiti in Italia sono nati dal popolo e lo erano tanto il Partito popolare di Sturzo come quello socialista e poi comunista. Nella seconda repubblica li abbiamo visti diventare partiti di plastica, legati solo al carisma di un leader, e oggi li troviamo lontani. In Sicilia una quota così alta di astensionismo ci ricorda che abbiamo vissuto un altro periodo di astensionismo nei primi decenni post unitari. All’epoca l’astensione non era una scelta ma una costrizione, perché il parlamento poteva essere eletto solo dai notabili. Sappiamo bene cosa abbia significato. Ma quell’astensionismo fu “attivo”, perché le masse popolari rimaste fuori dal parlamento si attrezzarono anche attraverso i partiti per rispondere ai problemi della società. Tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 c’è stato un fiorire di casse rurali, cooperative di operai e contadine nate e sostenute dai partiti popolare e socialista. Nacque un’assistenza concreta, diversa da quella abbiamo visto in questi anni. La lezione che ci dà l’astensionismo attuale è che bisogna tornare a costruire risposte credibili dal basso, dalla società.

Dall’astensione sembrerebbe di capire che la società non vuole costruire, ma esprimere un voto di protesta.
Partiamo da un dato: si è astenuto il 52 per cento degli aventi diritto al voto, e un altro 20 per cento ha votato per partiti di protesta o scheda bianca. Significa che più del 70 per cento degli elettori mostra una posizione critica. Questa posizione può avere due sbocchi. Uno è dire “basta, la politica è cattiva ed non redimibile”. Quindi un lasciarsi andare, il ripararsi in un individualismo per trovare risposte ai problemi. Il secondo sbocco è cominciare a creare dal basso delle risposte ai problemi del territorio e del paese, che sono gravissimi. Ci sono delle buone pratiche già in atto, dei tentativi che bisogna sostenere. Alcuni anni fa gli ambasciatori di Germania e Inghilterra vennero in Sicilia a fare una visita. In conferenza stampa, di fronte ai dati della disoccupazione nudi e crudi, sono stati loro a domandare ai giornalisti: «Come mai non accade la rivoluzione?». Non accade perché, nonostante tutto, in Sicilia c’è una rete di solidarietà che finora ha resistito e ha permesso alla società civile di vivere. Una rete che va dalle cooperative sociali al banco alimentare, comprende associazioni laiche e cattoliche: tutte insieme hanno permesso la sopravvivenza ai siciliani.

Pensa che Crocetta sosterrà questa “rete dal basso”?
Su questo si gioca il futuro della politica siciliana. In una regione con un buco da 18 miliardi, con comuni come Catania e Messina che rischiano il fallimento, pensare di gestire il rilancio dal centro è fallimentare. O si innescano e favoriscono meccanismi dal basso o è il nulla, perché il neopresidente troverà le casse della regione vuote. Crocetta ha parlato in campagna elettorale di sostegno al volontariato: non mi esprimo in anticipo, lo si giudicherà alla prova dei fatti. Un dirigente regionale esterno costa come la sovvenzione di un anno intero al Banco alimentare che sostiene 200 mila famiglie: vediamo quanto il nuovo governo tiene davvero al volontariato.

Tornando all’analisi del voto: come mai Gianfranco Micciché, candidato presidente, è risultato solo il terzo tra i votati della sua lista? C’è stata una fuga dei voti verso Crocetta?
Su Micciché ha pesato molto l’alleanza con l’Mpa, ma verificando sulle somme finali non c’è stata una fuga di voti a sostegno di Crocetta. Semmai l’Mpa come Micciché hanno pagato gli effetti della politica di Raffaele Lombardo sulla Sicilia, effetti profondamente critici per l’economia e la società siciliana.

Con chi si alleerà Crocetta per trovare una maggioranza a suo sostegno?
L’ipotesi più praticabile al momento, anche se la più rischiosa, è di non cercare alleanze precostituite come aveva fatto Lombardo nella precedente legislatura, ma sul programma e sulle singole iniziative. Questa è la condizione posta ad esempio da M5s. Crocetta farà delle leggi e, di volta in volta, cercherà la maggioranza. Questo renderà il cammino parlamentare accidentato e rischioso, per cui non è da escludere che, qualora il tentativo non andasse in porto, si vada al voto anticipato.

Cosa ne pensa dei nomi che circolano per la nuova giunta, da Lucia Borsellino a Franco Battiato, passando per Giancarlo Caselli? Nomine vip o di reale utilità per la Sicilia?
La novità nella gestione della regione, più che nella squadra degli assessori, si giocherà nella squadra dei dirigenti. Pensiamo infatti ad un Battiato assessore alla Cultura, con un bilancio a zero per il suo assessorato, e un uomo che di sicuro è un grande artista, ma che non ha esperienza di gestione: la vera differenza la possono fare i dirigenti.

Che attualmente però sono tutti fedelissimi di Lombardo, nominati e strapagati in questi anni.
Crocetta sicuramente azzererà tutti i dirigenti nominati da Lombardo. Molti dei ritardi per l’accesso ai fondi europei sono di responsabilità proprio di questa burocrazia regionale. I grandi nomi che Crocetta vuole per la sua giunta possono essere utili ad avere un interlocuzione con Roma, ma hanno senso solo se con loro c’è personale qualificato nella dirigenza degli assessorati.

Come commenta le notizie sull’astensione della mafia? Una bufala o un problema reale? Ingroia sostiene che possa essere un segnale di Cosa Nostra, per intessere nuovi patti Stato-mafia.
Certo il 52 per cento di astenuti comprende anche i residenti dei quartieri più popolari, le fasce emarginate e quelle realtà in mano alla criminalità organizzata. Ma anche questo astensionismo ha una sua ragion d’essere: la presa di coscienza che la politica è in crisi. Un ente regionale in crisi, che non ha nulla da dare, diventa inappetibile anche per la mafia.

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