La guerra in Ucraina spinge la Svizzera a ripensare la propria “neutralità”

In nome della difesa dei valori liberali il governo elvetico vuole collaborare più attivamente con Nato e Ue. «Il conflitto sta accelerando la transizione verso una nuova era»

II presidente svizzero Ignazio Cassis a colloquio con il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal, lo scorso 5 luglio a Lugano (foto Ansa)

Tra i tanti effetti della guerra in Ucraina, c’è anche quello di aver portato alcuni Paesi a riformulare il concetto di “neutralità”. E’ il caso della Svezia e della Finlandia (Stati storicamente non allineati che hanno richiesto di aderire al Patto Atlantico), del Giappone (che ha inviato aiuti a Kiev e che ora discute se cambiare o meno la propria Costituzione “pacifista”) e anche della Svizzera. A Berna, infatti, si discute di come adeguare il tradizionale ruolo neutrale (utilissimo in questi decenni per mediare in aree di crisi tra Paesi che non dialogano tra loro, come ad esempio tra Iran e Stati Uniti o tra Iran e Arabia Saudita) ai nuovi e mutati contesti geopolitici di questa terza guerra mondiale a pezzi.  Sono due secoli che il Paese non partecipa a conflitti armati e che la sua Costituzione prevede solo il diritto all’autodifesa. Qualcosa però sta cambiando.

La «neutralità cooperativa» svizzera

Il presidente della Confederazione Elvetica, Ignazio Cassis, ha parlato nelle scorse settimane di “neutralità cooperativa” e due giorni fa, sul Tagesanzeiger, sono stati pubblicati ampi stralci di un documento inedito commissionato dal Governo svizzero che spiega come oggi la Svizzera voglia collaborare molto più attivamente con la NATO e l’UE ad esempio concedendo la possibilità di esercitazioni militari congiunte anche dentro i suoi confini, aderendo alle sanzioni internazionali come fatto ora nel conflitto in Ucraina e allentando le regole per la consegna di armi.

«Nei prossimi anni la difesa dei valori liberali sarà un compito fondamentale della sicurezza e della politica estera svizzera. Inoltre, soprattutto in Europa e nei Paesi anglosassoni, la comprensione della neutralità svizzera è diminuita», si legge. Non si può pensare di essere delle “monadi” nel cuore dell’Europa: è una scelta costosa e rischiosa, sia in termini di relazioni internazionali sia di sicurezza nazionale. Così Berna sta cambiando rotta. Lo si è visto con il congelamento dei conti degli oligarchi russi, un’assoluta novità per la Confederazione, che ha sempre mostrato una stretta connessione tra neutralità militare e neutralità fiscale.

Qualcosa era già cambiato

A onor del vero già dopo la caduta del Muro di Berlino, con la disgregazione dell’Unione Sovietica, qualcosa nella politica estera svizzera era mutato. Pur non sostenendo mai alcun conflitto armato, la Confederazione iniziò infatti ad allinearsi con le Nazioni Unite e con Bruxelles nelle sanzioni economiche a chi violava i diritti umani o il diritto internazionale (come in Ex Jugoslavia). Oggi cerca di fare un passo in più e, tra le altre cose, entrerà a far parte del Consiglio di Sicurezza ONU come membro non permanente il prossimo anno.

«La guerra in Ucraina sta accelerando la transizione verso una nuova era», si legge nel rapporto del ministero degli affari esteri svizzero. Non è più tempo, dicono a Berna, di una neutralità totale e integrale come quella mantenuta anche dopo il secondo conflitto mondiale. Ovviamente a livello politico la discussione è ancora aperta e il Parlamento svizzero deciderà nei prossimi mesi se mantenere lo status quo o se invece adottare una neutralità ad hoc che permetterebbe a Berna di valutare come muoversi caso per caso. «Siamo neutrali, non indifferenti», ha detto Cassis qualche mese fa.

Segno che la direzione è quella di salvaguardare un caposaldo della politica svizzera che garantisce un servizio diplomatico di mediazione internazionale di altissimo livello (al pari di quello reso dalla Santa Sede in diversi contesti complessi) ma al contempo cancellare dall’opinione pubblica l’idea di uno Stato fuori dal tempo, curvo su sé stesso e sui propri interessi particolari. Non dappertutto è così, Austria, Malta e Irlanda ad esempio non hanno fatto – per ora – alcuna concessione in questo senso e sono tre tra i Paesi più neutrali al mondo. Ma non v’è dubbio che il vento stia cambiando. E soffia verso l’Atlantico.

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