La conversione di Manzoni. Quando nacque l’aneddoto della chiesa di Saint-Roch?

Pubblichiamo il II capitolo del libro di Giovanni Fighera, "Promessi sposi. Dietro le quinte del grande romanzo", da pochi giorni in libreria.

I Promessi Sposi riesumano un Seicento che vide due antenati del Manzoni implicati in misfatti dell’epoca, due antenati che ebbero due destini ben diversi: Bernardino Visconti (nel romanzo l’Innominato) si convertì e si dedicò ad opere buone per espiare il male compiuto; Giacomo Maria Manzoni, proprietario della villa di Lecco ereditata dallo scrittore e impenitente fino alla fine, morì nel 1642, ancora sotto processo, accusato di un ennesimo delitto. Manzoni provava vergogna per i suoi antenati? Sentiva l’esigenza di espiare il male compiuto da Giacomo Maria? La scoperta delle origini infami della sua famiglia potrebbe essere la scaturigine della composizione del romanzo e della scelta del Seicento come epoca congeniale all’ambientazione della storia. E allora potrebbero sorgere alcune domande: se il manoscritto ritrovato alludesse in realtà ai documenti relativi alla storia dell’antenato lecchese? Oppure se il manoscritto fosse davvero esistito come testimonierebbe una lettera di Manzoni inviata all’amico Grossi (di cui non ci è rimasto l’autografo), pubblicata sulla rivista «La scintilla» nel 1888? Sono solo supposizioni non dimostrabili o anche realtà? Forse queste domande possono offrire un terreno nuovo d’indagine sul capolavoro manzoniano.  Un fatto è certo: non sono pochi gli spunti che le vite dell’Innominato e di Giacomo Maria Manzoni offrono alla storia.

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo di seguito il II capitolo del libro di Giovanni Fighera, Promessi sposi. Dietro le quinte del grande romanzo, edizioni Sugarco, da pochi giorni in libreria.

Parigi, aprile 1810

Il 2 aprile 1810 si celebravano nella capitale francese le nozze di Napoleone Bonaparte con Maria Luisa d’Austria. Lo scoppio di petardi provocò un fuggi fuggi generale tra la calca della folla accorsa in massa per l’evento. Preso da una crisi di agorafobia, dopo aver smarrito la moglie, Manzoni entrò nella Chiesa di Saint-Roch ove pregò Dio chiedendo il suo soccorso. Uscito dalla chiesa, ritrovò la moglie e si convertì.

Questo è l’aneddoto raccontato da sempre nelle scuole e sui libri di testo per spiegare la conversione dell’autore dei Promessi sposi.

Eppure se leggiamo le lettere del Manzoni, soprattutto quelle degli anni che intercorrono tra il 1809 e il 1811, comprendiamo che le informazioni che ricaviamo non coincidono con l’aneddotica di Saint-Roch.

Tra le milleottocento lettere scritte da Manzoni dall’età di diciotto anni fino alla morte, inviate ad amici, intellettuali, parenti e conoscenti, ce n’è una dell’ottobre 1809 che lo scrittore indirizzò a papa Pio VII:

S. S. Pio VII

mo Padre,

[Alessandro Manzoni] Cattolico del regno Italico, ed [Enrichetta Blondel] di Religione detta riformata della Comunione di Ginevra, riempite le formalità civili, sonosi congiunti in matrimonio innanzi ad un ministro della sud[dett]a Religione riformata. Da tal unione è nata una fanciulla la quale è stata battezzata cattolicamente, secondo il rito della S. Romana Chiesa. L’Oratore Cattolico […] ora è disposto a riparare il suo fallo secondo li principj della S. Religione Cattolica. Quindi è, che godendo Egli piena libertà dell’esercizio di sua Cattolica Religione, e dell’educazione della prole dell’uno, e dell’altro sesso, secondo la stessa Cattolica Religione, ed essendo rimosso ogni pericolo di sua sovversione, col consenso della sud[dett]a sua compagna, pentito del fallo commesso, implora dall’Autorità Apostolica un opportuno riparo, capace di render tranquilla la di lui Coscienza, e di cancellare ogni sinistra idea ne’ Cattolici, fra’ quali debbono ambedue legittimamente congiunti.

La lettera risaliva addirittura a sei mesi prima del matrimonio di Napoleone. Quattro mesi più tardi, il 15 febbraio 1810, Manzoni si risposò con rito cattolico. Testimone di nozze, nonché celebrante del matrimonio, fu l’abate Costaz, curato della parrocchia della Madeleine.

Le lettere del 1810 e del 1811 rendono conto delle tappe che riavvicinano la coppia alla religione cattolica.

Il 22 maggio 1810, dopo l’abiura di Enrichetta alla propria religione che provocò la collera della famiglia Blondel, Manzoni chiese all’abate giansenista Gaetano Giudici, stimato dai Blondel, di farsi intermediario per la riconciliazione. Enrichetta, assai sensibile e affezionata ai genitori, già incinta, soffrì immensamente per questo contrasto. Manzoni si disse disposto a incontrare in qualsiasi momento i suoceri e aggiunse che la moglie non si considerava colpevole di nulla «non avendo fatto altro che disporre liberamente della propria coscienza».

Il 29 giugno 1810 Manzoni informò Giudici che Enrichetta si era risoluta a entrare in seno alla Chiesa cattolica grazie all’aiuto dell’abate Eustachio Degola.

A quest’ultimo nel luglio 1810 Manzoni comunicò che il canonico Tosi aveva fatto visita a lui e alla madre Giulia promettendo di «preparare sollecitamente Enrichetta ai Sacramenti, ed alla Confermazione in ispecie». Da quel momento in poi Tosi divenne padre spirituale del Manzoni, incarico che tenne fino al 1823, quando fu eletto vescovo di Pavia e venne a quel punto sostituito da Giudici.

Nelle lettere del 1811 Manzoni comunicò a Tosi il senso di «profonda indegnità» che sentiva e, nel contempo, quanto poteva in lui operare «la Onnipotenza della Divina Grazia». Nel giugno 1811 Manzoni gli chiedeva «di pregare il buon Gesù» che non si stancasse «di farne risplendere i miracoli in un cuore» che ne aveva tanto bisogno.

Il 27 agosto 1811 Manzoni si recò dal padre spirituale per la confessione, che avvenne nel giorno di sant’Agostino (28 agosto), un grande convertito. Il giorno stesso Tosi scrisse a Degola:

Alessandro ha intrapresa la carriera con estrema docilità e sommessione; domani avremo ancora una lunga conferenza e, se il Signore conserva e accresce il lui le sue benedizioni, egli pure sarà per fare gran passi.

Nel numero delle lettere del 1810 e del 1811 non vi è, quindi, traccia dell’aneddoto della Chiesa di Saint Roch. Come si diffuse allora quell’episodio che non compare in alcun modo nei racconti di Manzoni, autore che fu invece (al contrario di quanto si è sempre scritto) assai prodigo di informazioni nel documentare le tappe del cammino di conversione suo e della moglie?

In realtà, l’aneddoto si diffuse solo dopo la sua morte. Il primo a divulgare l’episodio nella forma oggi conosciuta fu il giornalista e direttore di giornali Raffaello Barbiera che lo raccontò ne Il salotto della Contessa Maffei. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1895, riscosse un grande successo, tanto che raggiunse la sua quarta ristampa nello stesso anno; le edizioni continuarono ad essere numerose fino agli anni Quaranta del secolo scorso. Poi il saggio divenne testo conosciuto agli specialisti, importante testimonianza storica della società civile e della cultura italiana dell’Ottocento. Il salotto di Clara Maffei a Milano era il più importante in Italia nell’Ottocento, perché vi si radunavano intellettuali, artisti e pensatori italiani di prim’ordine e diveniva luogo di incontro fondamentale anche per scrittori europei di passaggio per il nostro Paese. La contessa Maffei, affabile e di grande carisma, era espertissima nel creare un luogo di accoglienza e di raffinatezza in cui le idee potessero trovare spazio di espressione e di comunicazione. Una miriade di personaggi, maschili e femminili, animava il salotto. Non possiamo qui non menzionare Honoré de Balzac, Verdi e Manzoni, assiduo frequentatore e grande amico della contessa. Barbiera, testimone in prima persona degli ultimi anni di vita del salotto, scrive nel capitolo XVII dedicato a Manzoni e Verdi:

Il Manzoni narrò un altro giorno alla Maffei come divenne credente. Il fatto di aver smarrito la moglie, Enrichetta Blondel, in una folla a Parigi, di essere entrato angosciato e tremante nella chiesa di San Rocco e di avere esclamato: «Dio, se esisti, rivelati a me, fammi trovare Enrichetta…» è perfettamente vero.

Quando Barbiera pubblicò il libro nel 1895, la Contessa Maffei era già morta da nove anni e non avrebbe certamente potuto contraddire o confutare.

Barbiera univa in un solo episodio la testimonianza di Giulio Carcano relativa ad una esperienza religiosa di Manzoni nella Chiesa di Saint-Roch (Vita di A. Manzoni, 1873)  e quella di Visconti Venosta che riferiva di un attacco d’ansia dello scrittore oppresso dalla folla a Parigi. Non vi è nessuna testimonianza di amici o di conoscenti di Manzoni o di Manzoni stesso che mise mai in relazione i due episodi: quello della Chiesa e della crisi di agorafobia.

L’epigrafe che ricorda la conversione di Manzoni nella Chiesa parigina fu poi apposta addirittura il 21 dicembre 1937.

Insomma, la conversione di Manzoni, per le testimonianze dirette che abbiamo, non avvenne in chiesa in maniera folgorante, come invece sarebbe avvenuto per Paul Claudel, scrittore materialista, amico e frequentatore di Mallarmé, Verlaine e Rimbaud che si convertì non ancora trentenne nel 1886, durante la messa di Natale celebrata a Notre Dame de Paris, ascoltando il Magnificat (anche se l’episodio è esito di un periodo di crisi e di travaglio).

Forse in qualche modo la conversione del letterato francese Paul Claudel ha influenzato la diffusione dell’aneddoto relativo al noto romanziere italiano proprio in una chiesa francese.

Fu lo stesso Claudel a raccontare quanto era accaduto il giorno di Natale. Recatosi ad assistere alla cerimonia non per fede, ma nella speranza di trovare spunti e ispirazione per la scrittura, poco soddisfatto della Messa solenne, Claudel era ritornato per i vespri. Il coro stava cantando il Magnificat. A questo punto accadde un fatto straordinario:

Io ero in piedi tra la folla, vicino al secondo pilastro rispetto all’ingresso del Coro, a destra, dalla parte della Sacrestia. In quel momento capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla. Improvvisamente ebbi il sentimento lacerante dell’innocenza, dell’eterna infanzia di Dio: una rivelazione ineffabile! Cercando – come ho spesso fatto – di ricostruire i momenti che seguirono quell’istante straordinario, ritrovo gli elementi seguenti che, tuttavia, formavano un solo lampo, un’arma sola di cui si serviva la Provvidenza divina per giungere finalmente ad aprire il cuore di un povero figlio disperato: «Come sono felici le persone che credono!». Ma era vero? Era proprio vero! Dio esiste, è qui. È qualcuno, un essere personale come me. Mi ama, mi chiama. Le lacrime e i singulti erano spuntati, mentre l’emozione era accresciuta ancor più dalla tenera melodia dell’Adeste, fideles».

Claudel ritornò a casa e prese in mano la Bibbia, iniziò a leggerla, percependo la dolcezza e, nel contempo, la forza delle parole tanto che continuavano a «risuonare nel suo cuore». Claudel scrisse riguardo a quei momenti:

Conoscevo la storia di Gesù solo per mezzo di Renan, fidandomi di questo impostore, mentre ignoravo persino che Egli si era detto «Figlio di Dio». Ogni parola, ogni linea smentiva, con maestosa semplicità, le impudenti affermazioni dell’apostata [Renan] e mi spalancavano gli occhi. È vero – lo confesso con il Centurione romano – che Gesù era il Figlio di Dio. Era a me, Paul, che egli si rivolgeva e mi prometteva il suo amore. Ma, nello stesso tempo, se non lo seguivo, mi lasciava la dannazione come unica alternativa. Ah, non avevo bisogno che mi si spiegasse che cosa era l’Inferno: vi avevo trascorso la mia stagione. Quelle poche ore mi erano bastate per farmi capire che l’Inferno è dovunque non c’è Cristo. Che me ne importava del resto del mondo, davanti a quest’Essere nuovo e prodigioso che mi si era svelato?

Claudel aveva letto La vita di Gesù di Ernest Renan (1823-1892), primo dei sette volumi della Storia del cristianesimo: Gesù vi era ritratto come uomo realmente storico, privo, però, di qualsiasi attributo di divinità. La conversione di Claudel fu radicale e modificò profondamente tutta la produzione letteraria successiva.

Anche per Manzoni la conversione rappresentò un cambiamento radicale in concomitanza del quale si verificò anche il suo passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo: miti pagani e leggende classiche lasciarono il posto alla produzione cristiana, di cui furono emblematici gli Inni sacri, le tragedie e I promessi sposi. Per Manzoni iniziò anche la stagione più prolifica della vita.

Manzoni avrebbe continuato a scrivere lettere fino al 1873, l’anno della morte. La penultima lettera, indirizzata a Felice Caivano Schipani il 25 febbraio 1873, può essere considerata una sorta di testamento spirituale che lo scrittore affida al destinatario, la consegna di un anziano che sta per congedarsi da questa vita a un giovane scrittore (all’epoca trentasettenne). Vi si legge:

La prego di farsi animo negli studi letterari, che certo son degni di lei. Perseverandovi, e sempre informandoli dell’elemento cristiano, ella vi otterrà il dovuto guiderdone. La lettura de’ classici le farà cogli anni acquistare quella forma di dire più schietta, che contribuirà a rendere migliori i suoi versi […]. Nel dramma ponga mente di non immolare alla scena la storia, e a questa la morale: il teatro dev’essere scuola di buon esempio.

Studio letterario e in primis dei classici, educazione cristiana, ricerca della verità dei fatti (la storia) e sequela del vero (la morale): Manzoni affidò ad altri quel testamento spirituale che nel carme In morte di Carlo Imbonati il compagno defunto della madre gli aveva consegnato. «Il santo Vero/ mai non tradir»: il credo del Manzoni ventenne sarebbe stato il sigillo di tutta la sua vita.

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