La Buona scuola? Solo se “scuola libera”

Alla scuola va consegnata la libertà totale; la cultura politica ed egemone dello Stato centralistico non è più misura adatta. Lettera

Caro direttore, la nuova gestione della scuola, le non condizioni poste in essere, i molteplici tentativi sul territorio di imporre il pensiero unico “gender” e la pretesa di un insegnamento curricolare delle affettività a scuola, La negazione del diritto di convinzioni diverse, sempre più spesso avvalorati dalle amministrazioni pubbliche e da certa magistratura, il rifiuto del Crocifisso e gli atti blasfemi nei suoi confronti, ripropongono il problema della libertà e della pari dignità scolastica, tema sul quale occorre riflettere e trarre alcune considerazioni.

La proposta di riforma detta “la buona scuola”, se da un lato, rappresenta una significativa occasione per rivisitare questo ormai annoso e insoluto problema valutandolo in un contesto di concreto pluralismo istituzionale – tema che sembra non voler e non poter giungere a concreta soluzione – dall’altro lascia l’impressione di voler perseverare su una linea incerta e non del tutto condivisa. Il dibattito e l’analisi che la sottende presta il fianco a molteplici strozzature che mal si adattano a quella “libertà” che va garantita tanto alla scuola – sia statale che non statale, tutte pubbliche – quanto a genitori e insegnanti. Parlando di libertà e di parità, questi due termini vanno tenuti distinti: infatti essi non si identificano fra loro, né sono l’uno dell’altro riducibili. Non si può barattare le libertà con la parità, confondendo l’una con l’altra. E lo stesso sostegno economico – da riconoscersi alle persone e alle relative famiglie, i cui diritti costituzionali vanno totalmente tutelati, anche in materia scolastica, da una sana democrazia quale quella italiana vuole essere – non può limitare e condizionare né la libertà di educazione, né la libertà di insegnamento.

La “pari dignità” è cosa ben diversa dalla “parità”: essa riguarda la possibilità di trovare spazi concreti che consentano di dare alla “parità” un significato diverso dalla semplice replicazione di un modello, quello unico di Stato. La libertà deve comportare per la scuola – tutta la scuola, statale e non statale che sia – la possibilità di un agire “autonomo”, cioè di decidere e conseguentemente di operare secondo un proprio criterio di giudizio. I motivi a causa dei quali si chiede autonomia – e quindi completa libertà di azione – sono in primo luogo caratterizzati da una reazione:

* al centralismo statale, che ha lungamente colonizzato, e in defintiva continua a colonizzare la società civile, attribuendo allo Stato una eticità culturale e gestionale che non gli compiete; * alla burocratizzazione del sistema che impone standard inefficaci, inefficienti e non equi, coi quali lo Stato pretende di essere controllore e controllato nello stesso tempo, e quindi di assurgere a Stato etico; * alla standardizzazione culturale, frutto di una uniformità per via statuale, o meglio, governativa.

In secondo luogo, i motivi al fine dei quali si chiede autentica e completa autonomia sono riconducibili – particolarmente, anche se non soltanto nella scuola – all’esigenza di assumere all’interno dell’organizzazione:

* la funzone cosiddetta politica, cioè di auto-governo; * le funzioni di ordine decisionale ed esecutivo, e quindi la possibilità di una auto-gestione amministrariva, finanziaria, pedagogica e didattica; * le funzioni di integrazione sociale che riguardano, nel caso della scuola, l’articolazione di norme partecipative interne; * le funzioni di espressione culturale ed educativa necessarie allo sviluppo e alla promozione della propria identità, cioè funzioni di auto-identificazione.

Del resto se la società chiede uma mobilità di risorse e se questa mobilità può essere garantita soltanto dalla autonomia gestionale, è evidente che la scuola, per poter fornire servizi appropriati alle esigenze dei cosiddetti utenti, deve poter contare su un sistema organizzativo vario, meno burocratico e certamente autonomo nelle sue espressioni pedagogiche, didattiche, culturali e organizzative.

Va rilevato che in questa nuova fase di ripensamento del “comparto scuola” – da alcuni bonariamente considerata come un passo avanti – deve essere rimesso in discussione tutto, con la disattivazione di alcuni aspetti de-qualificanti, fra tutti quello dell’attribuzione al Ministero della P.I. – e alla burocrazia – di poter fare della scuola ciò che vuole, spesso in termini autoreferenziali, mediante molteplici decreti attuativi su temi i più disparati e continui rimaneggiamenti. La scuola, da “sistema nazionale” è trasformata in “sistema governativo”: ciò avviene – come ben evidenziato dal Cardinal Angelo Scola – attraverso una operazione articolata come se nulla di “educativo” possa avvenire fuori dalla scuola statale, e quindi come se tutto debba esservi compreso. Una impostazione, questa, fuori dal tempo e arroccata ad una ideologia statalista ormai obsoleta nelle sue motivazioni. Si informatizza il “mito della scuola unica” in nome di una presunta “equità” che di fatto impedisce l’attuazione di una piena libertà di educazione e di insegnamento”.

Non è in gioco il rapporto tra scuola statale e scuola non statale, tra “scuola laica” e “scuola cattolica”, ma – più semplicemente e, nello stesso tempo, più problematicamente – è in gioco la questione del rapporto tra sfera pubblica e trasmissione della cultura. Occorre affrontare seriamente e responsabilmente il problema di una non procrastinabile ridefinizione del rapporto fra Stato e cultura.

Va fortemente affermato che il sistema di educazione e di istruzione non va costruito a partire dagli interessi e dagli assetti istituzionali ed organizzativi della pubblica amministrazione, bensì a partire dai diritti dei cittadini singoli e associati. È questa una condizione che, se assunta nella sua concretezza, regola tanto la funzione dello Stato quanto la stessa dinamica democratica della nostra comunità nazionale.

Il problema di fondo del nostro sistema scolastico non sta tanto nel riordino dei percorsi o di altri aspetti inerenti la sua organizzazione, pur necessari, ma sta nello sviluppo dell’autonomia dei singoli e dei gruppi come espressione concreta di libertà. E ciò perché se è vero che i problemi della scuola italiana sono tanti e che nel settore scuola non sempre si può fare tutto e subito, il problema della libertà e del rispetto dei diritti dei cittadini in ordine alla libera scelta degli ambienti in cui perfezionare la propria crescita umana e culturale, e alla libera possibilità, per chi ne è capace, di proporre ed attivare percorsi scolastici educativi e formativi, è problema “prioritario”.

Se si vuole realizzare un sistema nazionale efficace ed efficiente, occorre applicare, anche nel campo dell’educazione, il principio delle “libertà realizzate”. Questo solo può dare piena soddisfazione al diritto-dovere all’educazione e all’istruzione dei figli da parte dei genitori e delle famiglie, e, a partire dalla maggiore età, a quello degli stessi studenti. Questo solo può anche ridare dignità professionale al corpo docente.

Va superato il “paradosso” insito nell’articolo 33 della Costituzione che detta al comma uno: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, ma subito si contraddice al comma due: “La Repubblica detta le norme generali dell’istruzione …”. Se “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegmanento” vuol dire che l’educazione, la cultura, la scuola, sono nate libere e che quindi devono potersi esprimere in un regime di piena libertà. Evidente il “paradosso”! Le norme generali e gli ordinamenti, suffragati da circolari ministeriali e burocratiche di indirizzo formativo, ledono la libertà, assoggettando arte, scienza, educazione, istruzione, cultura, scuola, ad imposizioni che la stessa Costituzione nega. Come dire: “Tu sei libero… però devi fare ciò che ti dico io”. Alla scuola va consegnata la libertà totale; la cultura politica ed egemone dello Stato centralistico non è più misura adatta.

Il 14 marzo scorso, alla Marcia non competitiva “Andemm al Domm” organizzata a Milano dalle scuole cattoliche in collaborazione con le scuole statali, con titolo “Liberi di educare la libertà”, il cardinal Angelo Scola ebbe ad avallare il diritto alla “scuola libera”, ad un sistema scolastico libero: “È necessario passare dal sistema paritario ad un sistema libero, ad una scuola libera, in cui i soggetti che vogliono fare scuola, possano fare scuola, sostenuti da un equo accreditamento dello Stato. Uno Stato deve governare il sistema scolastico, e non gestirlo. Suo compito è quello di controllare, garantire e sostenere l’iniziativa della società civile. Non possiamo continuare a manterene un pluralismo dentro la scuola dello Stato, ma dobbiamo arrivare ad un pluralismo di tutte scuole libere. Il pluralismo di scuole libere sarebbe un bene per tutto i Paese”.

Si tratta di quella “libertà”, di quella “autonomia”, tanto per le persone quanto per le scuole che, di fatto, non sono realizzate, e che sono condizionate da norme restrittive che ne impediscono il completo esercizio.

Giancarlo Tettamanti, Socio Fondatore Agesc

Foto scuola da Shutterstock

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