La Brianza di Virzì? Inventata da un toscano convinto che dentro ogni Suv si nasconda un assassino

Abbiamo visto "Il capitale umano", che racconta un'Italia inesistente costruita sulle solite proiezioni intellettuali tipo villetta a schiera = illusione sociale

Al cinema è uscito da giovedì Il capitale umano. Il nuovo film di Paolo Virzì vorrebbe essere una rappresentazione artistica della la realtà italiana, in particolare dei «ricchissimi diventati tali senza produrre lavoro, merci, ricchezza per il paese».

LA STORIA. «Ambientato nel paesaggio ostile della Brianza, dove i personaggi mostrano tutta la loro ingordigia di denaro e potere», come ha scritto Natalia Aspesi su Repubblica, il racconto si sviluppa a partire dalla vicende di un Suv che in una notte di inverno su una stradina buia investe una bicicletta guidata da un cameriere (il guidatore del Suv non si ferma a soccorrerlo). Questo evento deciderà il destino delle famiglie di Giovanni Bernaschi, speculatore, e di Dino Ossola, immobiliarista e cialtrone, nonché quello di due adolescenti con complicazioni emotive.

BRIANZOLI EGOISTI EVASORI. Il capitale umano è, secondo lo stesso Virzì, un noir. Volutamente girato tra «villette pretenziose» e «ville sontuose dai cancelli invalicabili», nell’intenzione del regista dovrebbe raccontare della gioventù tradita dai propri padri, degli italiani con «pochissimo senso civico», della borghesia «egoista e carente verso i bisogni degli altri», di un paese «plasmato dal berlusconismo, dagli ostentatori che rendono volgare la ricchezza e lo spreco, che fa dei truffatori e degli evasori dei martiri e degli eroi».

NOIR ESOTICO. Il regista livornese tenta di raccontare la complessità del “male italiano” con una riduzione cinematografica di un romanzo americano (Il Capitale Umano di Stephen Amidon), servendosi dell’aiuto di un casertano e di un romano per traslare in provincia di Monza e Brianza/Como una vicenda ambientata in origine nel Connecticut. Date le premesse, non può sorprendere che Virzì non abbia centrato l’obiettivo prefisso. Forse perché il Connecticut di Soros non è la Brianza del ragionier Fumagalli, della quale nel film, di reale, c’è soltanto il Resegone in secondo piano in un paio di inquadrature di pochi secondi. In questa prospettiva, è soltanto un dettaglio che non sia vero, come denuncia il film, che la provincia di Como non abbia teatri aperti (ne ha diciannove) e che la città Como non ne abbia soltanto uno, per di più chiuso, il Politeama, assurto da Virzì a «simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro».

IL BUIO OLTRE LA SIEPE. Per ottenere informazioni sull’esistenza dei teatri brianzoli bastava controllare su internet. Non sarebbe stato necessario nemmeno uno dei 700 mila euro che il ministero della Cultura italiano ha versato ai produttori del Capitale umano. Non è stato fatto e il regista ha giustificato l’errore sostenendo che la sua «Como non è davvero Como», e che la sua Brianza «non è ovviamente la Brianza». Dunque, logicamente, l’Italia di cui parla Virzì non è davvero l’Italia, ma, appunto, una «località immaginaria». E il film, ambientato in un paesaggio umano e urbano liberamente ispirato all’Italia, è la proiezione delle fobie di persone politicamente definite che associano il Suv all’assassino, la bicicletta alla vittima della strada, la villetta a schiera alle illusioni e delusioni sociali, l’adolescente alla lametta, l’immobiliarista al venditore di fumo, gli affari al malaffare, il profitto al male assoluto, trovando ispirati legami fra l’attrice ingenua e il colto professore universitario, la donna e la generosità,  il funzionario pubblico e il bene universale, il brianzolo e l’uomo nero. Solo in questo senso, un film cinico ben recitato, sceneggiato e diretto da una brava regia, si potrebbe salvare dall’irrealtà della sua storia e dalle sue fobie campate in aria.

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