L’ex sindaco (Pd) di Firenze ci racconta cosa significhi essere «schiacciati» dal circo mediatico giudiziario. Per cinque anni

Intervista a Leonardo Domenici che fu vittima dell'uso «"disinvolto" del materiale d’inchiesta da parte di magistrati e giornalisti» e fu additato dall'Espresso come esempio di connubio tra affari e politica

«Il circo mediatico-giudiziario è un meccanismo che ti schiaccia», spiega Leonardo Domenici a tempi.it: «Quando mi sono trovato dentro, ho avuto la consapevolezza di non avere i mezzi per uscirne». Per dieci anni Domenici è stato sindaco di Firenze. Nel 2008, un anno prima di passare il testimone a Matteo Renzi, alcuni componenti della sua giunta di centrosinistra furono accusati dai magistrati di aver elargito favori alla famiglia Ligresti. Benché il sindaco non fosse stato imputato di nulla, alcune sue conversazioni finirono sull’Espresso. A quelle accuse mediatiche, Domenici rispose con un «gesto di protesta clamoroso», incatenandosi all’entrata della sede del settimanale della famiglia De Benedetti, «per difendermi e per difendere chi si è trovato nella mia condizione, e attirare l’attenzione sull’uso “disinvolto” del materiale d’inchiesta da parte di magistrati e giornalisti».

Il processo di primo grado ha portato all’assoluzione di tutti gli imputati. A cosa sono servite le sue conversazioni intercettate?
A niente. Le intercettazioni che mi riguardano non avevano a che fare con i capi d’accusa. Erano materiale che faceva da corollario all’inchiesta. Tuttavia alcune di quelle conversazioni furono utilizzate dall’Espresso come esempio negativo del connubio tra affari e politica.

Quindi servirono soltanto ad orchestrare una campagna mediatica. Qual è l’effetto più deleterio di questi comportamenti mediatico-giudiziari?
L’alterazione del principio di giustizia. I tempi dei processi in Italia sono lunghissimi. Si è dovuto aspettare cinque anni per una sentenza di assoluzione. Purtroppo quando arriva la sentenza non ha lo stesso risalto del putiferio mediatico scatenatosi all’inizio dell’inchiesta. È come quando consegnano un avviso di garanzia: se le parole hanno un senso, vorrebbe garantire l’indagato, eppure, nei fatti, è propagandato dai media come se si trattasse di una condanna.

Il rapporto fra magistrati e giornalisti come dovrebbe essere regolato?
Bisogna porre fina a ogni rapporto distorto fra magistratura e sistema mediatico. Credo che a questo fenomeno debba rispondere non soltanto la politica ma anche il mondo della cultura, delle università, che dovrebbe riflettere sulle soluzioni. Io mi auguro che si parta dal principio di giustizia. Per quanto riguarda i media, l’obiettivo non dovrebbe essere soltanto quello di tutelare il soggetto che produce informazione, il giornalista, le cui garanzie non possono soverchiare quelle degli oggetti delle loro inchieste.

Il malfunzionamento della giustizia e le relazioni inappropriate fra media e magistrati sono frutto dell’inadeguatezza delle leggi o del comportamento di singoli pm, giudici e giornalisti?
Entrambe le cose. C’è un problema che riguarda la responsabilità e la deontologia, alle quali alcuni giornalisti e alcuni magistrati vengono meno. Per quanto riguarda la magistratura in generale – il pm, che secondo la Costituzione è un giudice e non l’avvocato dell’accusa – ha assunto in questi anni un ruolo pubblico che va ben al di là delle proprie funzioni. E ciò è andato a discapito delle garanzie della difesa.

Come si dovrebbero tutelare il diritto a un equo processo e le garanzie della difesa?
Occorrerebbe almeno una forma di separazione delle carriere fra magistratura giudicante e requirente, tutelando, con specifiche norme, i togati dalle intereferenze dell’esecutivo. Non penso che sia un problema. Poi, bisognerebbe attuare l’uguaglianza fra difesa e pm, equilibrando il ruolo del magistrato requirente con quello della controparte difensiva. Da ultimo bisognerebbe risolvere una volta per tutte il problema della nota debolezza del Giudice per le indagini preliminari nei confronti del Pm.

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