Israele-Palestina. «Abu Mazen parla di pace con il Papa, ma poi si accorda con i terroristi di Hamas»

Intervista a Carlo Panella, esperto di Medio Oriente: «Impossibile proseguire le trattative di pace mentre si governa insieme a chi non riconosce lo Stato ebraico»

«L’accordo di governo tra Fatah e Hamas è una rottura delle trattative di pace con Israele. Un attacco all’Egitto di Al Sisi». Carlo Panella, esperto di Medio Oriente e penna de Il Foglio, spiega a tempi.it che le mosse di Abu Mazen allontanano ogni possibilità di risoluzione della questione israelo-palestinese. La benedizione concessa dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese al “governo di unità nazionale”, composto dal suo partito, Fatah, e i terroristi di Hamas (gli stessi che insegnano in televisione ai bambini a sparare su tutti gli ebrei), «è degno di una delle peggiori mosse di Arafat», secondo Panella. «Questa è la prima volta che Abu Mazen imita le decisioni sciagurate del suo predecessore. Prima, parla di pace con il Papa, dice che andrà a pregare a San Pietro, e poi, al posto di trattare con Tel Aviv, si accorda con i suoi peggiori nemici, i terroristi, autori delle peggiori stragi di civili in Israele».

Panella, l’accordo per un governo di unità nazionale fra Hamas e Fatah pone fine a ogni speranza sui colloqui di pace con Israele?
I colloqui sono immobili da anni perché gli occidentali si rifiutano di fare pressioni e affrontare il problema centrale della questione israelo-palestinese: il riconoscimento dello Stato ebraico e di Israele da parte dei palestinesi. Finché l’Europa, gli Stati Uniti e l’amministrazione Obama, completamente allo sbando in politica estera, non affrontano il nodo, fallirà qualsiasi tentativo di pacificazione. Questo è il punto problematico di ogni trattativa. Hamas, certamente, non riconoscerà mai Israele. Avrebbe dovuto farlo Fatah. Purtroppo ha preso un’altra decisione. Cioè di creare un governo anti-israeliano, anti-egiziano, che salva i Fratelli Mussulmani e guarda alla Turchia di Tahip Erdogan, che non a caso è stato il primo a congratularsi per l’accordo.

Perché è così difficile parlare di riconoscimento di Israele?
Non è un problema che riguarda la terra, ma di fondamentalismo religioso e ideologia. I fondamentalisti propagandano una visione teologico-apocalittica che riguarda Gerusalemme e lo Stato ebraico. Negano persino che sia mai esistito il tempio di Salomone. Anche i politici palestinesi, lungi dal voler raggiungere accordi politici, si adeguano a questa visione. Impongono in politica la verità musulmana.

Cioè?
Per fare un esempio, il Papa in Palestina è stato costretto a dire messa davanti a un Gesù bambino avvolto nella kefiah. Non è un gesto di pace da parte dei politici palestinesi, ma una provocazione aberrante e allo stesso tempo simbolica. Secondo la storia, Gesù era ebreo e agiva in continuità con l’ebraismo. Mettergli la kefiah è un modo per appropriarsene, falsificare la sua storia e negare la continuità fra ebraismo e cristianesimo. Questo è il gioco dei politicanti palestinesi. Secondo costoro né Israele né il tempio di Salomone sarebbero mai esistiti. Sostengono che Abramo sia il primo musulmano e quindi Gerusalemme è loro. Per questo si rifiutano di riconoscere Israele. Se fosse solo un problema di pace in cambio di terra, sarebbe già stato risolto.

Perché l’occidente non fa pressioni sui paesi che non riconoscono Israele?
Per ragioni economiche e politiche. Ci si rifiuta di imporre a quei paesi l’unico aut aut ragionevole perché si possa parlare di pace: o riconoscete lo Stato di Israele oppure non conviene nemmeno trattare. I politici di 53 nazioni musulmane continuano invece a imporre la loro pregiudiziale teologico-apocalittica sul riconoscimento dello Stato ebraico.

Non c’è da sperare che Abu Mazen si ricreda?
Non credo tornerà indietro. Il presidente dell’Anp non riesce a sbloccare i colloqui perché non riesce a riconoscere lo Stato ebraico. Ha fatto un gesto increscioso, subito approvato dagli Stati Uniti e dall’amministrazione Obama, ormai in stato di ebbrezza permanente, che darà frutti amari.

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