Che islam vuole il Pd?

«Perché il sindaco di Milano Sala dialoga solo con la parte ideologizzata dell'islam? Di che cosa ha paura?». Parla la musulmana Maryan Ismail, donna di sinistra e progressista, che il Pd ha liquidato con «un calcio nel sedere»

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«Prima che l’islam muoia, ucciso dagli stessi musulmani, c’è bisogno che si alzino voci desiderose di preservare la spiritualità e la bellezza di questa religione». Se l’islam riuscirà a superare la crisi mortale in cui è sprofondato, sarà grazie a uomini e donne come Maryan Ismail. Nata a Mogadiscio nel 1959, musulmana sufi che porta il nome della madre di Gesù, donna di sinistra e progressista, antropologa, Ismail è la storica portavoce della comunità somala di Milano. Il coraggio di andare controcorrente e la voglia di combattere li ha ereditati in famiglia. Figlia di un politico e diplomatico oppositore del regime di Siad Barre, è scappata con la famiglia in Italia, che l’ha accolta come rifugiata politica. Ismail ha provato sulla sua pelle il dolore e lo sconcerto per i crimini dei jihadisti: il 27 marzo dell’anno scorso, infatti, i terroristi di al Shabaab hanno ucciso suo fratello, Yusuf Mohamed Ismail Bari-Bari, ambasciatore somalo all’Onu.

Fiera avversatrice dell’islam politico, nonostante fosse iscritta al Partito democratico e facesse parte della segreteria metropolitana, l’anno scorso si è opposta al bando realizzato dalla giunta Pisapia per costruire una o più moschee a Milano. Il bando era stato vinto dal Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano), l’associazione che ha invitato a Milano Tariq Ramadan, il nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani e da molti considerato il principale promotore delle sue idee in Europa. Il suo coordinatore, Davide Piccardo, ha anche elogiato su Facebook il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, dopo che questi, in seguito al golpe fallito poche settimane fa, ha fatto arrestare decine di migliaia di persone e ha sospeso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Per la sua opposizione al bando, Ismail è stata accusata di «apostasia» ma non si è tirata indietro. Candidata come consigliere nella lista di Giuseppe Sala, ha abbandonato il Pd dopo che il partito, invece che su di lei, ha puntato tutto su Sumaya Abdel Qader, leader affermata della galassia Ucoii (Unione comunità islamiche italiane) e del Caim. In una lettera di fuoco, pubblicata anche dal Corriere della Sera, ha chiesto al premier Matteo Renzi perché il Pd abbia «scelto di interloquire con la parte minoritaria ortodossa ed oscurantista dell’islam». Le «numerose minacce di morte» ricevute per la sua presa di posizione non l’hanno fermata e così ha presentato insieme a Stefano Parisi e Matteo Forte, entrambi in consiglio comunale di Milano nelle file dell’opposizione, il “Forum delle idee e del confronto”, ideato per dare spazio a quei musulmani che «non si riconoscono nell’islam politico e ideologizzato». Ripercorrendo la sua vicenda con Tempi, non si risparmia frecciate all’attuale sindaco meneghino: «Come mai il sindaco di Milano Sala non vuole dialogare con tutto l’islam, ma solo con la parte ideologizzata? Di che cosa ha paura?».

Da dove nasce il Forum delle idee e del confronto?
È una vecchia idea che ci ronza in testa da anni, da quando ci siamo resi conto che non eravamo organizzati e quindi non avevamo voce in capitolo né rappresentanza.

A chi si riferisce parlando al plurale?
A tutti i cittadini e cittadine musulmani, di diverse confessioni islamiche, di Milano e non solo, che vogliano ragionare in termini di progresso e modernità rispetto a una religione che oggi viene utilizzata per promuovere il terrorismo. Voglio uno spazio per tutti quei musulmani che rifiutano l’islam politico.

Questo è un progetto che ha portato avanti da sola?
No, ne ho parlato anche con i consiglieri comunali Stefano Parisi e Matteo Forte. Anche loro sono d’accordo sulla necessità di una struttura rappresentativa che dia voce a chi vuole preservare la bellezza e la spiritualità dell’islam. Prima che questa religione venga uccisa dagli stessi musulmani.

Il suo discorso è molto simile a quello fatto dal vicepresidente degli imam di Francia, Hocine Drouiche, che si è dimesso dopo l’attentato di Nizza in polemica con tanti colleghi imam sulla necessità di una riforma dell’islam. «Non possiamo negare il problema dell’estremismo islamico», ha detto.
L’islam politicizzato e ideologizzato rappresenta solo il 18 per cento dell’islam. Ma è l’unico che ha voce in capitolo e viene ascoltato. Eppure ci sono tante persone moderate, laiche, che vogliono una religione spirituale liturgica e basta. E noi dobbiamo dire questa cosa forte e chiaro. Queste persone sono anche quelle che si ribellano a quanto sta accadendo, magari ognuno nella propria bacheca, ma la loro voce non passa dai media. Siamo troppo frammentati, abbiamo bisogno di una comunicazione corale.

A che pro?
In modo tale che possiamo dissociarci dal terrorismo ed essere ascoltati, così che poi qualsiasi musulmano di buona volontà possa riconoscersi. Attualmente l’islam politico è l’unico a trovare spazio e a costruire una narrazione sull’islam.

A Milano la giunta Pisapia ha dialogato molto con il Caim di Davide Piccardo. Non si sente rappresentata dal Caim?
No. Io non sto dicendo che il Caim o l’Ucoii siano centri di eversione. Non sto dicendo che debbano sparire. È giusto che rappresentino chi la pensa come loro. Ma tutti devono sapere che ci sono musulmani senza veli e senza barbe, che pregano il venerdì o cinque volte al giorno, che vogliono fare il Ramadan senza esibirsi in abiti folkloristici e che non indossano divise ideologiche, come l’hijab. Questi musulmani ci sono e devono alzare la voce.

Perché il Pd non ha appoggiato questo suo programma?
È dal 2011 che io cerco di ragionare insieme al Pd, da quando è venuto fuori il progetto di costruire una moschea.

Lei è a favore della costruzione di una moschea?
Certo, anche i musulmani hanno diritto alla libertà di culto garantita dalla Costituzione italiana. Non voglio pregare in un capannone né in un sottoscala. Ma una moschea deve essere costruita in modo trasparente e inclusivo di tutti i musulmani. Non può essere gestita da una sola parte dell’islam.

Lei è la storica portavoce della comunità somala di Milano. Pisapia non l’ha ascoltata quando ha deciso di indire un bando per la costruzione di una moschea nel capoluogo lombardo?
No. Ho inviato email, ho fatto telefonate, ho richiesto appuntamenti. Nessuno ci ha mai risposto. Solo una volta qualcuno si è preso la briga di contattarmi: era un incontro per chiedere la nostra disponibilità economica. Ma la nostra comunità di soldi non ne ha. A parte questo incontro, nessuna risposta istituzionale. Non è corretto.

Alla fine il bando è stato vinto dal Caim.
Esatto e io ho fatto notare che non era adeguato per le esigenze della comunità islamica di Milano. Ma il mio partito non mi ha mai ascoltato, così come non è stato lasciato spazio alle tante componenti dell’islam milanese. Ho fatto presente più volte che, per quanto riguarda la moschea, bisognava stare attenti alla separazione tra politica e religione, che non bisognava appaltarla all’islam ideologizzato, che bisognava mettere al centro le donne, che era importante che nel direttorio ci fossero tutte le anime presenti in città.

E cosa le ha risposto il suo partito?
Mi hanno quasi epurata, mi hanno dato un bel calcio nel sedere. Questo non mi sembra il modo corretto per affrontare i problemi e le istanze di cittadini che, come me, pagano le tasse. Perché si dà un calcio nel sedere ad alcune comunità islamiche e se ne accolgono altre?

Poi però il bando è finito in un nulla di fatto. E si è ripartiti con Beppe Sala.
Io pensavo che avessero capito. L’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino (nominato da Pisapia e riconfermato da Sala, ndr) disse anche che bisognava ripensare tutti insieme alla moschea, oltre che dal punto di vista economico, anche da quello sociale.

Tutto bene insomma.
Sì, fino alla presentazione delle liste elettorali, nelle quali è stata inserita la candidatura di Sumaya Abdel Qader.

Sala non conosceva le simpatie dei parenti di Sumaya per i terroristi di Hamas o le frequentazioni con chi predica la distruzione di Israele e l’islam più conservatore?
L’hanno presentata come una donna capace di dialogo nell’islam, una donna “aperta” solo perché aveva partecipato a una biciclettata. Ma lei non ha mai fatto nulla per il partito, non ha neanche la tessera, da anni è stipendiata dal Comune come mediatrice culturale e questa retribuzione pubblica è l’unica attività che mi risulti.

Alla fine Sumaya, sempre vistosamente velata, è entrata in Consiglio comunale e Ismail no.
Guardi, io sono una donna di sinistra, ho appoggiato la legge Cirinnà, dal 2005 ogni 25 aprile sfilo con la comunità ebraica perché penso che l’antisemitismo non possa far parte del Dna di uno Stato democratico e laico, ero un quadro dirigente del partito, ne ho condiviso battaglie e scelte, ero nella segreteria metropolitana e sono stata svilita in questo modo.

Chi ha detto che lei doveva essere l’unica musulmana in lista?
Nessuno, per me potevamo anche essere in 30 ma il Pd non può scegliere quel tipo di islam politicizzato. È evidente che l’hanno scelta solo per seguire il discorso della moschea dopo il blocco del bando. Lei stessa lo ha detto in una delle prime interviste ma non mi risulta abbia alcuna delega. Noi musulmani potremmo anche non volere discutere con lei. A meno che non rinunci alla sua appartenenza politica e si metta al servizio di tutta la comunità islamica. Cosa che, evidentemente, non può fare.

Ora ha trovato una buona sponda politica in Parisi?
Parisi l’ho incontrato proprio alla sfilata del 25 aprile. Lui si è mostrato interessato alle mie idee e dopo che ho scritto la mia lettera di dimissioni dal Pd al Corriere, lui mi ha contattato chiedendomi di collaborare. Io ho accettato, anche perché nel frattempo ero stata convocata dal ministro dell’Interno Angelino Alfano a partecipare al tavolo di dialogo tra comunità islamiche e governo. Poiché mi è stato assegnato il compito di dialogare con le istituzioni, l’ho fatto parlando con Parisi, che è uomo delle istituzioni.

A maggior ragione avrà parlato con il sindaco Sala, allora.
Invece no, perché il sindaco Sala, per il quale mi sono battuta e che ho appoggiato, non ha mai risposto al mio appello. Sala non ha mai aperto bocca.

Perché?
Questa è una domanda che deve porre al sindaco, non a me. Io non me lo spiego e non faccio dietrologie, non sono abituata. Però, se posso consigliare, la domanda dovrebbe essere questa: come mai il sindaco non vuole dialogare con tutto l’islam? Di che cosa ha paura?

Allarghiamo di nuovo il campo. Il mondo musulmano è in crisi?
È un momento storicamente molto importante per l’islam, che nonostante sembri potente è davvero una religione molto fragile, vicina all’implosione. Non riusciamo infatti a sopportare questa tensione legata alla religione e il terrorismo sta devastando le coscienze di tanti musulmani. Quello che il ministro Alfano sta cercando di fare è un aiuto.

Al contrario, molti considerano le regole e i paletti proposti come una discriminazione.
No, regole condivise ci servono. Alfano si è munito di un pool di studiosi dell’islam incaricato di fare proposte, sulle quali confrontarsi con le comunità islamiche. Nessuno al tavolo ha avuto niente da obiettare, ad esempio, sulla necessità che gli imam predichino in italiano. Nessuno ha protestato sull’importanza di controllare le moschee. Non so se qualcosa è cambiato dopo, ma durante la discussione eravamo tutti d’accordo.

Avete parlato anche di finanziamenti delle moschee?
Ne parleremo a settembre, quando affronteremo il tema dei luoghi di culto. Non è facile questo processo perché l’islam non ha un Papa e bisogna trovare intese con diverse realtà. Ma questa è la strada giusta.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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