Come invertire la rotta radical ambientalista dell’Unione Europea

La scorsa settimana sono stato due giorni a Bruxelles con una delegazione di Regione Lombardia insieme al presidente Fontana e agli assessori Guidesi e Maione. Lo scopo degli incontri al Parlamento Europeo, al Comitato delle Regioni e alla Commissione Ue era quello di rappresentare il punto di vista della Lombardia e di altre regioni europee – da quelle del bacino padano, alla Comunidad de Madrid, dalla Catalunya alla Stiria, alle 12 Province Olandesi – sulla bozza di nuova direttiva europea per la qualità dell’aria.

Infatti, la proposta di direttiva presentata lo scorso ottobre dalla Commissione e ora in discussione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle Regioni introduce limiti sugli inquinanti così restrittivi che per le nostre regioni non sarebbero raggiungibili neppure con un taglio dell’80% delle emissioni.

Ma cosa significherebbe ridurre dell’80% le emissioni di polveri sottili (PM10, PM2,5) e biossido di azoto (NO2)? Basti questo dato: una riduzione di tale portata non sarebbe tecnicamente fattibile neppure con l’eliminazione del 75% dei veicoli circolanti e la trasformazione del rimanente 25% in veicoli a emissioni zero e contemporaneamente la chiusura del 75% delle attività produttive, del 75% degli impianti di riscaldamento civile e del 60% degli allevamenti.

È del tutto evidente che queste misure sarebbero impossibili oltre che irrazionali!

Che cosa dunque può portare l’Unione europea ad assumere provvedimenti che in alcuni territori sono così impraticabili e ad essere praticamente sorda alla richiesta di tenere in conto tali specificità?

La risposta non può che essere una: l’ideologia, la prevalenza di una visione ideologica dell’ambientalismo sulla realtà.

È evidente infatti che, poiché tali misure non sono realizzabili, tuttalpiù la conseguenza sarà che il nostro Paese, e in particolare i territori più coinvolti, verrà ulteriormente sottoposto a procedure di infrazione e condanne della Corte di Giustizia europea e quindi dovrà pagare sanzioni per centinaia di milioni di euro all’anno, ma questo ovviamente non consentirà il raggiungimento dei limiti previsti. Né la riduzione dei rischi indotti sulla salute.

Il tema si fa ancor più incomprensibile se si considera la quantità di emissioni pro capite, che è il dato più corretto per misurare gli effetti delle politiche di riduzione degli inquinanti. Bene, in Lombardia le emissioni pro capite sono circa 1/3 della media europea e 1/2 di quella italiana! Dunque i nostri territori non rientrano nei limiti stabiliti, non perché non sono stati virtuosi nella riduzione delle emissioni. Al contrario siamo tra le aree più virtuose d’Europa e nessuno può dire, come ci è stato ricordato a Bruxelles, che “bisogna fare i compiti a casa”.

Noi i compiti li abbiamo già fatti e continuiamo a farli e a migliorare! Ma non possiamo fare nulla per contrastare il fatto di avere la più bassa circolazione dei venti di tutta Europa, di essere chiusi su tre lati dalle Alpi e dagli Appennini, di avere in inverno l’inversione termica che schiaccia gli inquinanti al suolo e li mantiene negli strati bassi dell’atmosfera.

Cosa può fare la politica su tutto questo? Forse, come qualcuno aveva proposto decenni fa, abbattere il Colle Turchino per consentire ai venti che arrivano dal mare di entrare in pianura padana. Ma al di là della eccentricità della proposta, cosa ne sarebbe del microclima che ha permesso nei secoli lo sviluppo di così tante colture e prodotti tipici nelle nostre pianure e vallate?

L’esempio su cui mi sono dilungato della Direttiva sulla Qualità dell’aria potrebbe essere replicato per altri provvedimenti in corso di discussione a Bruxelles: dal blocco della vendita di veicoli con motori endotermici nel 2035 alla Direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici (la cosiddetta direttiva Case Green); dalla Direttiva sul packaging, che introduce un favor per il riuso al posto del riciclo (su cui in Italia siamo tra i più avanzati al mondo), a quelle sui prodotti agricoli con il previsto via libera a carne sintetica, farine di insetti, e ad una etichettatura (il cosiddetto Nutriscore) basata su criteri per i quali la Coca Zero è verde e il Grana Padano o il Prosciutto di Parma è rosso.

Cosa possiamo dunque proporre per superare questa visione ideologica e restituire razionalità e realismo alle misure dell’Unione Europea? A mio giudizio dobbiamo innanzitutto scardinare l’approccio che tende a considerare in modo uniforme tutti i territori dell’Europa, in favore di una modalità che tenga conto delle specificità territoriali considerando le entità di inquinanti generati in ogni territorio.

Su questo punto la politica può realmente esercitare il suo ruolo di indirizzo e coordinamento “sterilizzando” fattori strutturali come le condizioni orografiche e meteo-climatiche su cui la politica non può nulla. Questo approccio che in Europa viene chiamato “Valutazione dell’impatto territoriale” delle politiche, è stato per molto tempo un “cavallo di battaglia” della Commissione (il cosiddetto TÍA, territorial Impact Assessment) ma oggi, sugli argomenti relativi alla transizione ecologica questo metodo e sembra esser stato dimenticato.

C’è poi una seconda e più radicale valutazione politica. È evidente che questo approccio è la conseguenza anche di uno scenario politico europeo che oggi vede la Commissione governata da un’alleanza tra Popolari e Socialisti. Avvicinandosi le elezioni Europee, che si svolgeranno tra circa un anno, ogni partito cerca di ottenere provvedimenti che possa poi sbandierare in campagna elettorale. La sinistra ha scelto i temi legati all’ambientalismo “radicale” quali bandiere da preferire.

A me sembra del tutto evidente che quando saremo chiamati alle elezioni Europee la scelta non sarà solo legata ad una preferenza di natura politica ma avremo sulle spalle anche la responsabilità di determinare quale maggioranza governerà l’Europa nei prossimi anni, dunque quale sarà l’indirizzo politico della Commissione e del Parlamento sui temi decisivi sul nostro futuro, come la sostenibilità e la transizione ecologica.

Per questo invito tutti a riflettere in questo ultimo anno sulle scelte da fare. Personalmente sono convinto che un’asse europeo che dovesse spostarsi verso un’alleanza tra Popolari e Conservatori garantirebbe un approccio più realista e razionale, capace di incidere concretamente sulla realtà governandone sensatamente i processi.

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