Intervista – Botta e risposta con artista e curatore: Suzanne Lacy e Fabio Cavallucci contro ogni violenza

La mostra Suzanne Lacy. Gender Agendas, aperta al Museo Pecci di Milano fino al 6 gennaio 2015, offre per la prima volta in Europa un’ampia presentazione delle opere dell’artista di Los Angeles, conosciuta come uno degli autori che fin dai primi anni Settanta, nella West Coast, hanno compiuto un lavoro cruciale mescolando l’arte emergente con l’impegno sociale, con un interesse particolare all’indagine sulla condizione femminile. Curata da Fabio Cavallucci, ecco come artista e curatore rispondono alle nostre curiosità.

Già dagli anni ’70 Suzanne Lacy è attiva nel creare opere d’arte che attraverso gli strumenti della contemporaneità – istallazioni, video, performance – trasmettono il suo impegno pubblico e il suo interesse alle tematiche sociali e urbane, con particolare attenzione alla condizione delle donne. In che modo si è evoluto il suo percorso artistico?

Fabio Cavallucci: Ciò che mi pare interessante del suo percorso è il fatto che ha avviato un’attività artistica “relazionale” ante-litteram. Nei suoi lavori, almeno a partire dal 1977, ha coinvolto, oltre ad altri artisti, anche il pubblico e i media. Prendiamo il caso di In Mourning and In Rage, un’azione del 1977, quando, nel dicembre, una dopo l’altra dieci donne vennero strangolate a Los Angeles da un serial killer. Suzanne Lacy e Leslie Labowitz invitarono sessanta donne a seguire un carro funebre fino al Municipio di Los Angeles. Lì, dieci donne vestite di nero presero la parola una dopo l’altra per segnalare dieci diversi tipi di violenze, meno drammatiche, più comuni, quotidiane, a cui le donne erano sottoposte: violenze familiari, sessuali, ecc. L’idea era di mostrare come fatti tragici, quali le morti per mano dell’anonimo strangolatore, non erano altro che la punta dell’iceberg di una base di violenze minori, ma non per questo meno incisive, su cui le violenze maggiori, crescevano. La performance creò grande eco nei media, e rappresenta dunque un esempio eccellente di arte pubblica. Su questa linea Suzanne Lacy ha continuato a lavorare fino ad oggi.

 Sulla base di quale criterio sono state scelte le opere ospitate al museo Pecci, e in che modo sono state disposte?

Fabio Cavallucci: Sono state scelte opere  della linee “femminista” di Suzanne Lacy. A onor del vero non è questo, per quanto maggioritario, l’unico interesse dell’artista, che negli anni ha realizzato anche opere che toccano i temi del razzismo, dell’esclusione, delle minoranze, e via di seguito. Ma nella mostra milanese si è preferito includere solo i progetti che toccano i temi dell’emancipazione della donna, dell’opposizione alla violenza di genere, dell’anzianità femminile. Si tratta di argomenti che pure dopo molti decenni mantengono una forte attualità. Basti pensare ai casi di “femminicidio” ogni anno in Italia.
Per quanto riguarda l’allestimento, poi, si è discusso molto con l’artista nel tentativo di trovare la forma migliore di presentazione pubblica. Si tratta perlopiù di attività performative, che dunque terminano nel momento in cui sono realizzate. Il problema è come tradurre in durata la performance. In mostra si trovano diversi esempi di possibile traduzione: dalla narrazione, al video, alla foto, all’oggetto che è stato usato durante l’azione.

La condizione femminile è un tema “caldo” a cui tieni molto. Discriminazioni e abusi (fisici o di potere) sono presenti nella quotidianità delle donne, che devono sopportarli e affrontarli. In che modo sensibilizzi il tuo pubblico su questa tematica? Quali sono le opere che, nella mostra milanese, sottolineano meglio questo soggetto?

Suzanne Lacy: E’ un tema naturalmente difficile, perché è relativo alla limitazione della libertà di un individuo, sia che si tratti di discriminazione, che di violenza, che di minaccia di una violenza, è un’ingiustizia di cui dobbiamo tenere conto. Non è una novità per le donne, ma dagli anni ’70 è diventato pubblico, grazie all’attivismo delle femministe. Adesso, anche a causa di internet, apprendiamo che è un fenomeno globale: siamo a conoscenza degli strupi delle donne in India e rispondiamo con manifestazioni a Londra. Credo che il pubblico sia consapevole di queste tematiche. Gli artisti rappresentano il modo per tirarle fuori, e anche i giornalisti, gli attivisti e i politici. E’ responsabilità comune quella di porre fine ai comportamenti violenti tra gli uomini.

La mostra“Three weeks in May” tocca il problema degli atti di violenza. Cosa vorresti dire alle donne vittime?

Suzanne Lacy: Non conosco le donne che sono state violentate durante le “Tre settimane di maggio” nel 1977, ma conosco amiche, acquirenti e studenti che hanno subito violenza, e la prima cosa che dico sempre è che non è stata colpa loro. Le donne hanno interiorizzato che in qualche modo loro sono colpevoli delle violenze a loro dirette, ma queste violenze sono anche relative ad altri campi, come quello economico.

Come le tue opere possono essere un veicolo positivo per sensibilizzare il pubblico? 

Suzanne Lacy: Credo che l’arte sia importante in quanto è un modo per aumentare la consapevolezza e portare l’attenzione su un tema, ma è altrettanto importante per gli artisti lavorare con attivisti, insegnanti e politici, per esempio, per creare un programma migliore per i bambini, per portare alcuni cambiamenti nelle leggi e per chiedere una maggiore equità nella sfera sociale.

@ARTempi_

Exit mobile version