Internazionale, il giornale dei giornali (poco urbi e molto orbi)

Internazionale letto da Antonio Gurrado
23/29 novembre 2012 – N.976 – Anno 20
Direttore: Giovanni De Mauro
Titolo: Gaza
Tipologia: Rotocalco
Periodicità: Settimanale
Prezzo: € 3,00
Pagine: 114
Pubblicità: 17%
Costo di ogni pagina: 2,63 centesimi

 

Internazionale intende essere il giornale dei giornali, in due maniere. La prima, la più immediata, consiste nell’operare una selezione di ciò che è stato stampato urbi et orbi nei giorni immediatamente precedenti, come ribadisce il sottotitolo della testata: “Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo”. In questo senso si tratta dunque del giornale dei giornali in quanto giornale fatto di pezzi di altri giornali. La seconda maniera è più sofisticata e dà la linea al settimanale. Consiste nell’indirizzare questa selezione – che, come tutte le selezioni, è per definizione parziale – verso una visione del mondo connotata precisamente secondo le intenzioni dei lettori dello stesso settimanale, in maniera tale da presentare loro ciò che più ritengono confacente. Quale sia il target è chiaro dalle pubblicità: Medici Senza Frontiere, Micro Mega, campagne di Altromercato, battaglie per il Climate Change, libri di Umberto Galimberti. In quest’altro senso dunque Internazionale è il giornale dei giornali con intento superlativo, un po’ come gli ebrei intendevano il Cantico dei Cantici, ossia qualcosa che fa parte di un insieme ma è meglio di tutti gli altri componenti dell’insieme medesimo.

Il mondo visto dall’Internazionale è molto diverso da come, ad esempio, posso vederlo io: è molto orbi e poco urbi. Ad esempio, nella raccolta di dispacci settimanali dai continenti, Africa e Medio Oriente vengono prima di Europa e Americhe; l’Europa, stando a questi medesimi dispacci, è composta da Russia, Croazia, Turchia, Irlanda e Francia. Questo è un pregio perché, se leggessi solo giornali che scrivono cose che so già, o che posso intuire in base alla mia prospettiva culturale, mi annoierei. Bisogna vedere se lo stesso accade per il pubblico medio del settimanale, quello che plausibilmente sarà andato in sollucchero scorgendo in apertura la foto-poster “Nobel con bacio”, in cui Obama oscula con San Suu Kyi la quale in realtà sembra piuttosto refrattaria. È un’immagine che per un attivista dei diritti umani – un ipotetico volontario di Medici Senza Frontiere abbonato a Micro Mega per sostenere Altromercato rallentando il riscaldamento globale mentre legge Umberto Galimberti – equivale a quello che sarebbe per me una foto di Jennifer Aniston che bacia Scarlett Johansson. Trattandosi di Nobel per la pace e non di Oscar per l’attrice più bona, bisogna convenire che una foto di Obama che bacia Van Rompuy sarebbe stata ben più scabrosa.

Ma Internazionale è un giornale serio, che non ha tempo per boutade come le mie. Consta di una sezione “Visti dagli altri”, in cui un giornalista straniero racconta l’Italia, in questo numero un’inchiesta albanese sui nostri rifiuti tossici; di vari lunghi reportage, nella fattispecie uno americano sul Re del Marocco, un altro, sempre americano, sul sistema di droni approntato da Obama (ecco perché San Suu Kyi si scansava) e uno sulla progressiva distruzione del patrimonio architettonico di Kashgar, nell’ex Turkmenistan Orientale: roba da orbi e non da urbi.

Menzion d’onore per una doppia pagina sulla pessima abitudine di dormire insieme a un partner. Una giornalista di Le Monde riferisce di una ricerca grazie alla quale degli scienziati hanno scoperto quello che io avevo scoperto senza finanziamenti, anzi spendendo non poco: ossia che dormire in un materasso stretto con una tizia che nel sonno si agita e russa non fa svegliare riposati al mattino successivo.

A parte questo, il punto forte del numero sono le nove pagine intitolate “Il mondo diseguale” che riprendono parte dello speciale dell’Economist sulle diseguaglianze. Qui si vede in opera la saggia strategia editoriale dell’Internazionale: con l’inserzione di foto in bianco e nero delle proteste di Occupy Wall Street (fra cui un geniale impiegato che risponde ai dimostranti col cartello “Occupate una scrivania”), gli articoli di un giornale economico di destra si colorano di tinte liberal nell’immaginario del lettore. Le parole restano le stesse ma il loro significato muta col contesto: è un esempio che andrebbe utilizzato nei manuali dei corsi di giornalismo, sempre ammesso che servano a qualcosa. Purtroppo un disguido ha rovinato il piano: per fatalità, la copertina dell’Internazionale che vedete qui sopra è risultata identica a quella del contemporaneo numero dell’Economist, rendendoli a prima vista indistinguibili dall’esterno. Se volete andare sul sicuro, sappiate che Internazionale è quello con dentro Tullio De Mauro.

L’ultima sezione del settimanale è infatti quella culturale, divisa secondo tradizione in cinema, libri, musica eccetera, ma con la peculiarità di offrire anche qui una prospettiva globale e straniante. Prendiamo i libri: il nuovo libro di Sergio Rizzo viene recensito dal corrispondente dall’Italia di un quotidiano tedesco; Goffredo Fofi invece si concentra su autori i cui cognomi finiscono in –ic; le recensioni ad autori mainstream come McEwan o Grossman sono tratte da quotidiani dei loro Paesi d’origine. Ottima l’idea di elencare in due colonne una decina di libri ricevuti ma non recensiti, che consente di cavarsi d’impiccio con gli editori senza svendersi in sperticati elogi a pioggia. Prendiamo anche i film: una tabella elenca le dieci novità in giro per le sale con un sistema di pallini in base ai giudizi del Daily Telegraph, del Figaro, del Globe and Mail, del Guardian, dell’Independent, di Libération, del Los Angeles Times, di Le Monde, del New York Times e del Washington Post. Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Canada: a quanto pare se si deve scegliere come passare una serata è meglio non fidarsi dei consigli di critici albanesi, iraniani e cinesi.

Vale, temo, anche per gli articoli; altrimenti il più gradevole a leggersi, e il meglio costruito, non sarebbe le lungo commento di Andrew O’Hagan su Jimmy Savile, uscito sulla London Review of Books. “Now then, now then” – come direbbe con aria di rimprovero lo stesso Savile – viene il sospetto che forse faccio bene a limitare il mio mondo a poche nazioni, più o meno le stesse della tabella cinematografica, e a essere il più possibile urbi evitando di disperdermi in luoghi esotici benché à la page.

Se avete ancora dubbi leggete le vignette, in fondo al settimanale. Quelle americane, quelle francesi, perfino quelle svizzere sono godibili. Le strisce tedesche o giapponesi risentono del tipico umorismo della nazione di appartenenza: è la maniera più politicamente corretta che abbia trovato per spiegarmi.

@AntonioGurrado

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