In che senso lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ci riguarda

L’Artificial Intelligence Act, l'impegno per un uso responsabile dell'Ai, il ruolo degli educatori e l'importanza del pensiero critico. Cosa possiamo fare per non farci travolgere dalla rivoluzione di ChatGpt

Un momento di un forum sull’intelligenza artificiale organizzato da Baidu a Pechino, lo scorso ottobre (foto Ansa)

Nell’articolo pubblicato lo scorso 20 novembre si sottolineava come non fosse procrastinabile l’inizio di un lavoro serio sull’intelligenza artificiale generativa che coinvolgesse chiunque abbia oggi compiti educativi.

Sono passate solo poche settimane da allora, eppure il licenziamento del “padre” di ChatGPT, Sam Altman, da parte del CdA e il suo immediatamente successivo reintegro con la totale sostituzione del board che lo aveva sfiduciato fa intuire come intorno all’intelligenza artificiale si stiano sviluppando interessi economici che ne renderanno la diffusione incredibilmente pervasiva e con una rapidità mai sperimentata prima nella storia umana.

Come non subire la rivoluzione dell’intelligenza artificiale

Qualcuno potrebbe chiedersi, cosa possono fare un uomo o una donna comuni che non vogliano subire questa rivoluzione tecnologica? Come possiamo aiutare noi stessi e i nostri giovani a un uso attivo e non passivo della tecnologia?

Una ipotesi di risposta arriva dal documento chiamato “Rome Call for Ethic AI” firmato a Città del Vaticano per la prima volta il 28 Febbraio 2020 (si avete letto bene, 2020) da alcune delle più importanti aziende tecnologiche del mondo (Microsoft e IBM per citarne due) e da esponenti rappresentativi delle tre religioni monoteiste (cristiani, ebrei e musulmani) che, seguendo l’iniziativa di Papa Francesco, si sono uniti e insieme hanno preso l’impegno di richiedere uno sviluppo dell’intelligenza artificiale che abbia questi tre obiettivi: 1) Sia al servizio della persona e dell’umanità intera. 2) Rispetti la dignità di ogni persona così che tutti possano beneficiare dell’avanzamento della tecnologia. 3) Non abbia il solo scopo di generare profitto o la graduale sostituzione delle persone nei luoghi di lavoro.

La visione “algoretica” dell’intelligenza artificiale

Per raggiungere l’obiettivo viene dedicato un intero capitolo all’aspetto educativo e si invita a uno sviluppo di algoritmi che fin dall’inizio abbiano una visione “algoretica”, termine coniato da Paolo Benanti nel 2017 e citato da Giorgia Meloni, primo leader mondiale a farlo, all’assemblea delle Nazioni unite del settembre scorso.

Ogni tentativo legislativo di questi ultimi mesi prende spunto dai principi contenuti in questo documento.

Uno degli aspetti più significativi è che, se da un lato oggi si iniziano a vendere sistemi che hanno lo scopo di identificare testi e documenti preparati dall’intelligenza artificiale così da punire i ragazzi che le usano, questo testo non invita in alcun punto a metterle al bando o a vietarne l’uso per qualche categoria di persone ma quello che chiede è un impegno per un suo uso responsabile.

Se è indubbiamente vero che la maggior parte di noi non ha la possibilità di incidere sullo sviluppo di questi algoritmi, è d’altra parte vero allo stesso modo che invece tutti possiamo lavorare ad un loro utilizzo che non atrofizzi il nostro pensiero ma lo esalti.

Un’intelligenza artificiale al servizio della persona

Cosa vuol dire per un insegnante o un genitore di ragazzi adolescenti? Che l’intelligenza artificiale sia al servizio della persona e dell’umanità vuol dire non starci di fronte acriticamente accettando come “fatto indubbiamente vero” ciò che ci dice.

Perché non sfidare i ragazzi ad analizzare un testo su un contenuto che conoscono e che sia stato generato da ChatGpt chiedendo loro di commentarlo, correggerlo e amplificarne i contenuti in base a ciò che hanno studiato? Perché non usare l’intelligenza artificiale in modo cauto e “guidato” da noi adulti per aiutare nell’apprendimento? Perché non far ragionare i più giovani su questi temi e sull’effetto che hanno su di loro?

Paolo Benanti in un suo recente articolo pone una interessante riflessione sugli effetti che l’intelligenza artificiale avrà sul mercato del lavoro: acquistare oggi una calcolatrice che sappia fare la radice quadrata costa 1€, acquistare un braccio meccanico robotico che sappia aprire una porta costa invece centinaia di migliaia di euro. Le competenze per calcolare la radice quadrata di un numero si apprendono durante le scuole medie, quelle per aprire una porta fin dai primissimi anni di vita.

L’impatto dell’Ai sul lavoro e l’Artificial Intelligence Act

Diversamente dalla rivoluzione industriale di fine Ottocento con cui viene impropriamente paragonata, l’intelligenza artificiale impatta e impatterà i lavori ad alto livello cognitivo: giornalisti, scrittori, artisti, ingegneri, medici, economisti, avvocati, psicologi, ricercatori, insegnanti.

Come si fa, per rispondere al terzo punto della Rome Call, a svilupparla in un modo che eviti la graduale sostituzione delle persone nei luoghi di lavoro quando, per propria natura, sembra inevitabile lo faccia?

Se è indubbiamente vero e urgente che i paesi devono rapidamente arrivare a una sua regolamentazione internazionalmente valida il più velocemente possibile (e l’annuncio dell’accordo politico sull’Artificial Intelligence Act, la bozza di legge europea per regolare il settore dell’intelligenza artificiale, è un passo in questa direzione), è altrettanto vero che tutti possiamo lavorare per esaltare i due aspetti che continueranno a differenziare l’uomo dalle macchine: lo sviluppo di un pensiero critico e creativo che non si limiti ad accettare acriticamente ciò che gli viene detto ed ambisca al bene della società, e quello di competenze relazionali che mettano insieme le persone e non le allontanino.

Henry Ford scriveva che «ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo». Ciò che è in grado di costruire un gruppo di persone capace di lavorare insieme è e resterà più della somma dei singoli talenti e delle singole conoscenze, anche di quelle di una macchina.

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