Insegnare ai figli dell’Isis «che esistono colori diversi dal nero»

È ciò che fanno le madri curde ogni mattina nelle carceri di Roj e al-Hol in Siria. «I bambini non hanno colpa di tutto questo. Voglio essere la loro maestra»

Un video di propaganda dell’Isis in cui è mostrato l’addestramento dei bambini, novembre 2015

Svuotare il mare con un secchiello è da sempre la metafora dei progetti impossibili, e quelli che hanno per obiettivo la de-radicalizzazione dei 68 mila familiari (perlopiù donne e bambini internati principalmente nel campo di al-Hol) dei 19 mila combattenti dell’Isis detenuti in una dozzina di carceri della cosiddetta Rojava (l’entità territoriale amministrata dalle forze curde nel nord-est della Siria) appartengono sicuramente a tale categoria.

L’insicurezza di un territorio dove le Fds (Forze democratiche siriane, egemonizzate dai curdi delle Ypg) devono fare fronte contemporaneamente agli attacchi delle milizie siriane filo-turche, dell’esercito turco e della guerriglia dell’Isis ancora molto attiva nella zona, la scarsità di risorse finanziarie, la natura embrionale dell’amministrazione (la Rojava non è riconosciuta da nessun paese al mondo), l’indisponibilità di quasi tutti gli stati a riprendersi i loro cittadini che sono andati a combattere con l’Isis in Siria e Iraq, rendono aleatori gli esiti dei programmi di de-radicalizzazione.

Sette maestre (vedove)

Ma quando le gocce che il secchiello vorrebbe cercare di sottrarre alla burrasca sono bambini in età di scuola materna, lo scetticismo lascia il posto a un sentimento di partecipazione.

Quando poi la notizia riguarda la sorte di 50 bambini figli di vedove e spose di combattenti dell’Isis imprigionate a loro volta per aver tentato di organizzare evasioni di massa dal campo di al-Hol e altri crimini, e il fatto che alcune delle sette maestre che si occupano di loro sono vedove di combattenti curdi rimasti uccisi nelle battaglie contro i terroristi dell’Isis, il sentimento di partecipazione si muta in commozione.

Musica, disegno, pittura

La struttura si chiama Centro Helat, si trova nei pressi di Hasakeh ed è finanziata dal governo di Sua Maestà britannica. Ogni mattina dalle carceri di Roj e al-Hol arrivano i bambini delle donne dell’Isis incarcerate per reati commessi nei campi dove sono confinate dopo l’imprigionamento o la morte in combattimento dei loro mariti.

L’inviato del Daily Telegraph Campbell MacDiarmid lo descrive come un edificio dove «le pareti sono decorate con immagini di Titti il canarino e delle principesse dei cartoni Disney, sormontate da filo spinato». All’interno i piccoli giocano con le costruzioni, con le quali creano collane, elicotteri e armi giocattolo…

Non c’è un programma di deradicalizzazione vero e proprio, si cerca semplicemente di abituare i bambini ai comportamenti infantili che l’Isis proibisce.

Spiega Viam Adar, comandante del battaglione femminile delle Ypg che protegge il centro: «Non si tratta tanto di impartire lezioni quanto di mostrare loro che ci sono anche colori diversi dal nero dell’Isis, e di esporli alla musica, di farli disegnare e dipingere».

Figli e madri

La manager del centro, signora Perwin Ali, entra nel dettaglio: «Abbiamo aperto questa struttura perché altrimenti i bambini resterebbero sempre in prigione. Non è colpa loro, stanno pagando il prezzo delle attività terroristiche delle loro mamme. I bambini stanno pagando il prezzo del conflitto ideologico fra noi e i loro genitori. Non distinguono il giusto dallo sbagliato. Anche se noi mostriamo di volere loro bene, vivono un conflitto interiore. A volte in carcere le madri li tengono svegli la notte per insegnare loro idee estremiste».

Per questo motivo le autorità prendono in considerazione l’ipotesi di trasformare il centro in un vero e proprio pensionato, dove i bambini resterebbero anche la notte. Ma i donatori non sono d’accordo. «Se non lo facciamo i progetti di deradicalizzazione finiranno in niente», si giustifica Perwin Ali. «In ogni caso non interromperemo completamente i rapporto fra figli e madri. Sarà loro permesso di visitarli ogni giorno».

Giocare coi figli dell’Isis

Anoud, una delle maestre, ha perduto quattro anni fa suo marito, ucciso in combattimento dall’Isis: «Sono onorata di poter svolgere un ruolo nell’aiutare questi bambini», dice. «Non faccio differenze fra loro e i miei due figli», due bambini di sei e sette anni che porta ogni mattina con sé e lascia giocare coi bambini delle famiglie dell’Isis.

Khala è un’altra delle maestre vedove con prole di guerriglieri curdi caduti in battaglia contro l’Isis: «I bambini non hanno colpa di tutto questo. Voglio essere la loro maestra. Vorrei cambiare il loro modo di pensare e aiutarli a diventare membri produttivi della società in futuro». Anche lei porta il figlio di 4 anni, orfano di padre, a giocare coi figli dell’Isis.

Quando saranno adulti

L’Aasne (l’amministrazione civile della Rojava) ha in mente di creare anche un centro per la riabilitazione degli adolescenti. Ma quello e il Centro Helat sarebbero davvero due gocce nel mare dei 27 mila minorenni che si trovano nei campi di confinamento per le famiglie dell’Isis.

«Potremmo riabilitare tutti questi bambini ed evitare di mandarli in prigione quando saranno adulti», commenta la manager Ali. «Ma c’è il problema dei finanziamenti. Bisogna trovare rapidamente delle soluzioni, perché i piccoli stanno crescendo velocemente e quando saranno più grandi sarà più difficile cambiare il loro modo di pensare».

5mila combattenti

L’8 novembre scorso un commando delle Fds, con l’assistenza delle forze speciali americane, ha sventato un tentato assalto alla prigione di Sina’a ad Hasakeh, che ospita circa 5 mila combattenti dell’Isis ed è il principale carcere curdo dove sono ristretti membri dell’organizzazione. Le forze antiterrorismo curde hanno sgominato la cellula incaricata di attaccare la prigione con un veicolo bomba e altri esplosivi. I

l giorno dopo l’Isis si è vendicata lanciando una mezza dozzina di attacchi contro postazioni delle Fds nella regione di Der Ezzor. Si calcola che l’Isis disponga ancora di 10 mila armati fra Siria e Iraq. Nella guerra contro il gruppo terroristico sunnita le Fds hanno perso fra il 2013 ed oggi 12 mila uomini, più 21 mila feriti.

Foto Ansa

Exit mobile version